Io vorrei porre l'accento sulla storia di Bruno Concina.
La sceneggiatura di questa storia secondo me è un vero capolavoro. La forza e la ricchezza dei dialoghi è sicuramente la migliore eredità che Concina raccoglie da Martina; giusto qualche esempio,
esecrato dagli onesti... / deriso dagli stessi delinquenti... / Zitto tu, pappagallo!, [...]
i cassieri si umettino le labbra e comincino a contare, i discorsi continuamente spezzati e melodrammatici nei momenti di ansia. Cioè io leggendo questa storia me la sono proprio gustata, non solo per via dell'intrigo, pure accattivante e imprevedibile, e dei disegni semplicemente divini (fatto caso a come "respirano"?), ma proprio per un "gusto della lettura" per cui ciò che accade è sempre rilevante, anche se si tratta dell'ennesima scenata del sindaco, per la maniera in cui è costruita e presentata.
È un pugno di storie conciniane tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta ad avere questa caratteristica: Il misterioso beneficio maleficio, L'epopea a scoppio ritardato... Già a metà degli Ottanta qualcosa è cambiato: le storie sono sempre originali, ma non ci sento più quel "sapore costante".
E poi Topolino: mah, sarà anche perfettino, ma a me diverte un sacco. Arguto, mordace, ironico, dotato di carattere e di gusti suoi (e pensate alla scena in cui sembra voler strangolare Pippo per via dei fagioli). Secondo me il problema del "Topolino perfettino" non è che risolve i casi prima degli altri, ma proprio che non esiste, è solo una macchina per mandare avanti la narrazione: faccina stupita per la prima metà della storia, faccina decisa per la seconda, e fine. Qui invece il caso lo risolve eccome, e fa tutto da solo, ma va' se non è un simpaticone.
Il brillìo negli occhi che gli dà De Vita è insormontabile.