Difficilmente mi lascio scappare il
Topolino di Natale, specie quando decide di diventare "tematico" e di rendere festoso l'intero fascicolo, contribuendo così all'atmosfera natalizia che tanto mi piace trovare un po' ovunque, in questo periodo.
A lettura ultimata devo però convenire che il numero presenta 3 storie su 5 ampiamente dimenticabili: La storia di Olaf ha la funzione e la qualità che anni fa avevano le analoghe storielline con Bambi e altri personaggi tratti dai lungometraggi d'animazione. Oltre a testimoniare ulteriormente, se mai ce ne fosse bisogno, l'inesauribile carica del successo di Frozen, non fa.
Il Natale in giallo si presenta come una storia noiosetta, con sviluppi della trama risibili se non proprio ridicoli
(la scenetta tra i due ispettori e i bambini, goffissima, ma anche il ladro che se ne va in giro con la refurtiva del precedente furto in tasca...)
e che non lascia nulla una volta conclusa, se non la vaga piacevolezza dei disegni di
Lara Molinari.
Decisamente bislacca, sconclusionata e priva di una sua logicità è
Il pacchetto pacchiano: già l'idea di regalare un incarto, per quanto particolare, senza regalo è tirata per i capelli, ma il fatto che l'intera trama verta sul tentativo di eliminare ogni pacchetto un minimo originale o kitsch non fa che peggiorare una situazione già surreale. Non so quanto questi effetti fossero voluti da
Matteo Venerus, fatto sta che non sono piacevoli e non costituiscono una storia riuscita né avvincente. Anche i disegni di
Michele Mazzon non brillano, attestandosi a una copia dello stile di Luciano Gatto.
A salvare il numero ci pensano, per fortuna, le due storie in apertura.
Zio Paperone e il nuovo Canto di Natale è infatti una storia molto piacevole e ben scritta; certo,
Marco Bosco non inventa molto visto che il canovaccio segue molto fedelmente quello del
Christmas Carol di
Charles Dickens, ma l'attualizzazione della novella con una piccola e calzante frecciatina all'eccesso di "vita in rete" si rivela efficace, ficcante e funzionale alla storia. Paperone si riconferma il personaggio adatto per vestire i panni del burbero individualista capace di convertirsi, e grazie al tratto guizzante di
Silvia Ziche lo Zione gode di ancora maggiore slancio.
Apprezzabile poi che le sequenze ambientate nei Natali del passato richiamino personaggi e situazioni visualizzati nella
$aga di Don Rosa: normalmente non anelo a queste strizzatine d'occhio e men che meno all'istituzionalizzazione di un canone, ma in questo contesto mi ha fatto piacere.
Topolino e il pupazzo perduto è invece una storia a bivi di
Vito Stabile, la seconda della sua carriera di sceneggiatore. Con quella di Paperinik aveva dimostrato di saper usare molto bene il meccanismo e di "giocarci" lui stesso, non rendendo i bivi fini a se stessi ma giustificando bene la cosa. Noto con piacere che la cosa avviene anche in questo caso, ma non è certo questo l'unico pregio della storia: gag e battute non mancano e rendono ben ritmata lo sviluppo (anzi, gli sviluppi), il cast è ricco e diversificato, gli scenari sono diversi e ben presentati e l'atmosfera natalizia si avverte in più occasioni. Anche qui il filo rosso è il regalo di Natale, ma contrariamente alla storia di Venerus qui il dono non è un semplice oggetto simulacro delle Feste, ma un concretizzarsi dell'affetto di Topolino per Minni e una quest che impegna il protagonista per tutta la vigilia.
Perfino i disegni di
Marco Mazzarello sembrano acquistare più dinamicità del solito, trascinati dagli eventi: alcuni suoi Topolino sono plastici e belli da vedere, per esempio, mentre per esempio Paperone - protagonista di un momento citazionista così inaspettato e fuori contesto da essere una piccola perla di genialità - torna ad essere più rigido.
Forse non tutte le "strade" sono godibili allo stesso modo, ma generalmente siamo su buonissimi livelli e questa è sicuramente la storia migliore dell'albo.