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The Moody Blues

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MarioCX
Diabolico Vendicatore
PolliceSu

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PolliceSu
    The Moody Blues
    Sabato 3 Feb 2018, 19:08:30
    Negli anni molti utenti sono scomparsi (io compreso a tratti!) mentre altri, che dieci o quindici anni fa non c'erano, sono arrivati.
    Facciamo quindi un bel post di pop music, mi sono detto, chissà che non ci sia qualche nuovo avventore con cui condividere un po' di riff, di scale pentatoniche e passioni viniliche assortite.

    Ordunque, da dove iniziare?
    Da una notizia mesta e una lieta che riguardano lo stesso gruppo: il 4 gennaio di quest'anno, neppure un mese fa, ha lasciato questa valle di lacrime Ray Thomas, flautista, songwriter e una delle voci della storica british band "The Moody Blues". E' di questi giorni la notizia che la stessa band entrerà a far parte della "Rock'n'Roll hall of fame", un riconoscimento ambito e più che meritato.

    Ma chi erano i "The Moody Blues"?

    I Moodies ebbero un primo periodo, a cavallo tra il 1964 e il 1966, in cui esordirono proponendosi come pallidi interpreti di quel genere errebi rappresentato assai meglio da più convincenti e scafati artisti del genere.
    Citare gli Stones è scontato.

    Ma fu col 1967 e l'ingresso in formazione di Justin Hayward e John Lodge (uno dei dimissionari della prima formazione, Danny Laine, raggiungerà gli Wings del Macca nel 1971) che la musica cambiò registro.
    Il primo album del nuovo combo, considerato il primo vero album dei Moody Blues, è un tassello fondamentale per capire il 1967.
    "Days Of Future Passed", questo il titolo, non è più psichedelia ma non è ancora progressive, almeno non nell'accezione formale ed egemone che il termine ha assunto in questi ultimi anni.

    E' un disco nato col gruppo alla canna del gas, con la forza della disperazione accogliendo dalla Decca la proposta di fare un album dimostrativo per magnificare le meraviglie del nuovo e "rivoluzionario" sistema audio denominato "New Deramic Sound" da cui il nome della sottoetichetta "Deram".

    I Moodies, in quel frangente, riescono almeno a dribblare l'imposizione della Decca che avrebbe voluto una versione rock de "La Sinfonia Del Nuovo Mondo" di Dvořák e danno origine ad un'opera propria che dell'intento originario ha conservato l'impostazione barocca e orchestrale, ma utilizzando musiche originali scritte dai membri medesimi del gruppo in particolare dal dotatissimo compositore Justin Hayward provvisto di una delle voci più belle (e poco celebrate) della storia della musica rock.

    C'è un brano di quell'album che è universalmente conosciuto. Lo conosce la proverbiale casalinga di Voghera, lo conosce il porco di Rovigo e lo conosce il varano di Komodo.
    Si tratta di "Nights In White Satin" uno dei brani più celebri del dopoguerra, se non lo avete mai sentito nominare provate ad ascoltarlo su youtube e vedrete che lo conoscete anche voi, magari per averlo sentito via Nomadi nell'agghiacciante cover italiana titolata "Ho Difeso Il Mio Amore".

    Dopo quel disco di cui è bene ricordare anche la magnifica "Tuesday Afternoon", il gruppo seppe fare di meglio e il successivo "In Search Of Lost Chord" (1968) è sicuramente il primo vero capolavoro.
    Dalle atmosfere suggestive di "Voices In The Sky" all'ode a Timothy Leary il teoreta dell'LSD, "Legend Of A Mind" alla magia di "The Actor" e "Best Way To Travel" questo disco è come il maiale, non si butta via niente.
    Forse il brano più celebre è quello meno interessante, "Ride My See-Saw", noto anche in Italia per via di una reclame degli anni settanta che la utilizzò.

    Sulla stessa qualità, ma con nuances più vicini a quel progressive che verrà, si pongono i successivi "On A Threshold Of A Dream" e "To Our Children's Children's Children" entrambi del 1969.
    Elencare la sequenza di brani bellissimi e suggestivi ha poco senso, ma così al volo mi vengono in mente "Have You Heard" e "Are You Sitting Comfortably?" del primo e "Gipsy" e "Watching and Waiting" del secondo, ma sto facendo un torto a tutte le altre.
    Quello che posso fare è consigliarveli tutti se non li conoscete e se siete assetati di belle ed indimenticabili costruzioni melodiche.

    A seguire ancora dischi di pregio anche se forse un po' meno a fuoco ma non privi di brani memorabili: "A Question Of Balance" (1970), "Every Good Boy Deserves Favour" (1971) (aaaah....The Story in Your Eyes che bella!) e buon ultimo "Seventh Sojourn" del 1972 con la magnifica "For My Lady" composta proprio dal povero Ray Thomas che ci ha lasciati pochi giorni fa e la grandiosa ed epica "Isn't Life Strange" di John Lodge.

    Dopo un estenuante tour, durato tutto il 1973, all'inizio del 1974 i Moodies si sciolgono.
    Si riuniranno nel 1978 per incidere "Octave" che adoro (ascoltare almeno "The Day We Meet Again" per credere) ma che sarà l'ultimo con lo storico tastierista (mago del Mellotron) Mike Pinder che abbandonerà per dedicarsi alla famiglia.

    Partiranno nel 1979-80 per un lungo e trionfale tour di come back assumendo al posto di Pinder il tastierista svizzero Patrick Moraz, noto per aver fatto parte della formazione degli Yes di "Relayer" al posto di Rick Wakeman.

    Con Moraz i Moodies incideranno "Long Distance Voyager" (1981), un grande album, l'ultima grande opera dei Moody Blues, caratterizzato da un suono più aggressivo, adatto agli anni '80.
    "The Voice", "Gemini Dream" e "Nervous" sono le nuove gemme.
    Pensate che lo comprai nel giugno del 1981 a 16 anni...

    Ci saranno ancora altri dischi di livello dignitoso, ma lontani dalle vette raggiunte nel periodo 1967-72 e poi 1978-81.
    "The Present" del 1983 è forse quello meno interessante, un po' meglio il successivo "The Other Side of Life" del 1986 e meglio ancora "Sur La Mer" del 1988 con le belle pop songs "I Know You're Out There Somewhere" e "No More Lies" entrambe di Justin Hayward.

    Entriamo negli anni '90 e siamo agli spareggi.
    Patrick Moraz viene licenziato in seguito a poco felici dichiarazioni rilasciate dallo stesso ad una rivista musicale inglese e "Keys of the Kingdom" del 1991 presenta una formazione a quattro.
    Non è male, forse meglio dei dischi immediatamente precedenti: "Lean On Me (Tonight)" e "Shadows On The Wall", entrambe di John Lodge, saranno riproposte, assieme ai vecchi classici, nei live act dei vent'anni (e oltre) a seguire.
    Dovranno passare otto anni per avere un nuovo album di inediti e "Strange Times" (1999) è davvero un disco fiacco e privo del benché minimo appeal. Forse l'unico album dei Moody Blues da evitare come la peste.

    Epilogo.

    Ray Thomas lascerà il gruppo nel 2002 per problemi di salute e purtroppo morirà 16 anni dopo.
    I Moodies restanti si sposteranno a Genova e nello studio Mulinetti di Recco gestito da Alberto Parodi incideranno un disco di cover natalizie "December" nel 2003 (ah...la senilità...) e proseguiranno a fare lunghi e remunerativi tour soprattutto negli USA fino ai giorni nostri.

    Curiosità.

    Justin Hayward da oltre vent'anni frequenta Genova e ha inciso i suoi album solisti in loco nello studio già citato poco sopra.
    La copertina del suo ultimo disco solista "Spirits of the Western Sky" (2013) presenta nella sua gatefold interna una fotografia di Genova probabilmente scattata dalla collina di Castelletto.
    Gli studi si sono trasferiti nella zona genovese di Quezzi proprio sotto casa di un mio collega pure lui fan del gruppo.
    Purtroppo mi dice di non aver mai incontrato il biondo Justin...

    Se volete farvi un idea dell'arte dei Moody Blues e avete in tasca i denari per un solo disco, puntate sullo splendido live del 1993 "Live At Red Rocks" nell'edizione luxe testimonianza di un leggendario concerto tenuto dal gruppo nel settembre del 1992 nella suggestiva cornice delle "Red Rocks" nel Colorado, sorta di strepitoso anfiteatro naturale.
    Esiste pure il DVD e vi assicuro che lo spettacolo è da pelle d'oca.

    Ciao!
    ...ho la febbre, ma ti porto fuori a bere...

     

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