Piccole Grandi Papere, al di fuori dell'intento celebrativo, è ormai il tipico appuntamento firmato Bosco-Ziche che vede protagoniste Paperina, Brigitta, Miss Paperett e Nonna Papera, stavolta accompagnate anche da Paperetta Yè Yè, personaggio che tolte le storie omaggio o le storie in costume ha ben poche possibilità di dire qualcosa nel Topolino attuale. Al momento non c'è altro da dire, in quanto prima puntata ha il compito di presentare situazioni e personaggi e ci riesce con un bel ritmo. Unico neo, il "mattonoso" nella prima vignetta di pagina 17 non si può proprio leggere: dacché l'intento di Bosco era quello di paragonare il peso del libro a quello dell'argomento di cui tratta, forse avrebbe potuto elaborare una battuta ben più efficace. Sarebbe buona cosa evitare di sporcare il linguaggio con termini così grossolani, considerato soprattutto che non sono poche le volte in cui vengono evidenziate in grassetto le parole altisonanti di modo da farle risultare inusuali. Già il linguaggio è carico di ambiguità (e la storia di Vitaliano dello scorso numero, su cui forse riuscirò finalmente a dire qualcosa nel topic del Topolino 3266, lo dimostra perfettamente), figuriamoci poi ad imbarbarirlo con espressioni vaghe o di basso livello. Poiché in media il livello di produzione scritta non è proprio il massimo, e assodato che siamo tutti consapevoli dell'impoverimento della nostra lingua, forse i testi in generale dovrebbero suggerire in qualche modo un utilizzo corretto delle parole se non servono a rendere l'idea di una particolare realtà (non mi pare che le papere si esprimano grossolanamente lungo tutta la vicenda) o se non vengono adoperati con uno scopo particolare, invece di ricorrere ai paroloni solo quando si vuole creare un effetto puramente comico, o forse bisognerebbe anche piantarla di abusare del grassetto per sottolinearli.
Ottima, invece, la storia di Faraci, che ha il pregio di recuperare Giuseppe Tubi al di fuori delle parodie o di inutili remake e di renderlo il fulcro di una vicenda che sacrifica il lato comico per restituire un po' di risalto all'ispettore Manetta che, non va dimenticato, è uno dei più vecchi personaggi di Topolinia (anche più vecchio di molti abitanti di Paperopoli, ci sarebbe da precisare). Tutti i personaggi, inoltre, si amalgamano bene al contesto e sono vere e proprie creature viventi anziché pupazzi asserviti a certi schemi fissi. Da notare, infine, come Faraci non mostri mai Manetta al di fuori di un edificio, unica giustificazione che, razionalmente, si potrebbe dare per l'ormai evidente assenza del sigaro, IL tratto peculiare del personaggio. Nonostante questo, è la storia migliore del numero: queste sono le storie che davvero apprezzo sul mondo di Topolinia.
Faccini costruisce una breve simpatica e senza molte pretese che gioca su vignette che contrappongono il quotidiano con l'assurdo. Un vero peccato che i malcapitati si siano limitati a berciare, seppur immaginaria, un Archimede picchiato da un bellimbusto con un fiocco rosa, una schiera di ballerini con tutù rosa, un suonatore di piva e delle fascinose muratrici, e costretto a confessare dopo essere stato riempito di comici lividi sarebbe stato divertentissimo. Questo fatto cattura non poco l'attenzione perché, pur trattandosi di un'illusione, si vuole mantenere comunque un certo clima di politicamente corretto che guasta l'effetto comico: è divertente vedere le trasformazioni bislacche e per niente intuitive dei vari personaggi, tuttavia il picco lo si sarebbe potuto raggiungere mediante la comicità fisica, se no in quelle vignette si accumulano delle aspettative che poi rimangono disattese.
La storia incentrata su Battista vorrebbe essere un esordio ispirato di un autore che sembra riconoscersi nel protagonista o nell'idillico paesello montano in cui si svolge gran parte della vicenda, tuttavia non è esente da difetti, anzi, da questi si evince che la penna di Deninotti necessiti ancora di tanto esercizio. Mi sento di ascriverlo nella categoria degli scrittori che hanno degli ottimi spunti ma poi si fanno trasportare da loro stessi, cosa che accade dal momento in cui Battista si immerge in quel locus amoenus, e, pertanto, si dimenticano di ciò che avevano fissato in partenza e della narrazione di cui avevano abbozzato sviluppo e conclusione: lo spunto, infatti, è perfetto e ottimamente sceneggiato, lo scambio di battute tra Paperone e Battista è ben architettato. Peccato, tuttavia, che da quel punto in poi le ambiziose premesse che indubbiamente erano state poste si perdano con un insieme di scelte discutibili, talché si potrebbe descriverne l'andamento mediante una parabola concava: la parte iniziale è un crescendo che si assesta su un valore massimo, da quel punto in poi si sarebbe portati a credere che si debba salire ulteriormente, e invece si continua a decrescere punto dopo punto, tra Battista che certamente non disdegna il lauto guadagno per mettersi gioiosamente a disposizione dei clienti, il disinteressato aiuto dei compaesani, la fasulla caccia al tesoro, il ritorno di Battista sui suoi passi e la conferenza stampa che banalizza il rapporto tra il maggiordomo e Paperone, e questo è secondo me il problema più grave. Encomiabile il fatto che Deninotti abbia voluto dare al racconto introspezione, tuttavia avrebbe potuto farlo mediante i pensieri di Battista o inquadrature che da sole avrebbero detto molto di più: la conferenza stampa, onestamente, non c'entra proprio nulla con quello che viene raccontato, fosse stato anche per mostrare la reciproca stima che l'uno ha dell'altro. Ecco, forse anche questo è un difetto tipico di molti scrittori alle prime armi: il volere, cioè, a tutti i costi fare del sentimentalismo per risultare profondi. Però, ripeto, il punto di partenza è davvero ben scritto e quindi sono certo che questo autore avrà modo di riscattarsi in futuro.
Se non ricordo male anche Mazzoleni all'inizio aveva tante belle idee non sempre supportate da solide sceneggiature, ed ecco che, storia dopo storia, ne scrive una in cui tutto si incastra bene, pur partendo da uno spunto molto classico contro quello più originale di Deninotti: Paperino e il segreto degli impavidi restituisce quella determinazione e quell'egocentrismo ormai soppiantati dalla componente accidiosa, una Paperina e un Pico funzionali allo svolgimento e non solo di contorno e, soprattutto, soluzioni di continuità che si amalgamano alla perfezione con quello che viene raccontato e che invitano il lettore a guardare con più attenzione le vignette e che invitano ad una gradita rilettura. Probabilmente è una coincidenza che venga contrapposta l'ambiziosa sceneggiatura di un esordiente ad una più classica ma ben orchestrata di un autore che si è fatto le ossa col passare del tempo, tuttavia questo mi ha fatto riflettere tanto su quella che è un'evidente evoluzione e che, ovviamente, auguro anche a Deninotti.
Per quanto riguarda il comparto grafico, invece, la Ziche e Faccini sono come sempre una garanzia. La Persinotto non è da meno anche se ancora sussiste il ripasso della china troppo pesante. Bravo anche Zanchi, il cui stile sono certo che prendeva una deviazione più particolare rispetto a quello un po' classicheggiante seppur dinamico che utilizza. Su Gatto, invece, penso che l'età parli da sola, e pertanto non aggiungo altro, poiché l'ammirazione è davvero tanta: che siano fumetti, cartoni, videogiochi o film, non sono tanti quei personaggi che accompagnano una persona tutta la vita, e già questo dovrebbe invitare a non banalizzarli in quei quattro luoghi comuni che anche i lettori meno esperti ormai conoscono.