Altezza notevole, occhi penetranti, impermeabile; grosso naso a tartufo. Se dovessimo tracciare un identikit del commissario Topalbano non potremmo adoperare altri termini: un po’ per il setting grafico d’esordio, così caratteristico e a tempo stesso disneyano, un po’ per come il suo impatto ha avuto risonanza nell’immaginario di Topolinia. Nel tempo il baldo poliziotto di "Vigatta" si è elevato a personaggio universo: si è fatto carico di un microcosmo autonomo e ha interagito con Mickey soltanto per pura deformazione, demolendo ogni cliché ed evitando certi imbarazzanti "furti di professione" comunque possibili.
E i risultati, in questo terzo volume di Disney Noir, si vedono sin dall’inizio. Per realizzare La promessa del gatto, Francesco Artibani va ben oltre il semplice concetto di parodia e immerge Topolino in un contesto urbano maturo, dove le parole mafia e doppiogioco sono tuttora all’ordine del giorno. Una carta vincente, ma non certo l’unica: anche il ricco cast di aiutanti, cattivi e comparse briose facilita l’approccio, così come le matite di Giorgio Cavazzano e Giampaolo Soldati, e i colori di Mirka Andolfo. Il tratto di Cavazzano in particolar modo inquadra la bella isola del Mediterraneo come una terra sì martoriata dal crimine, ma sempre fieramente radicata alla tradizione, dalla quale è faticoso separarsi anche una volta giunti alla parola fine. E dev’essere così anche per Topalbano, chiamato ad agire in trasferta (e dove se non negli Stati Uniti?) nell’ideale e diametralmente opposto sequel, sempre opera di Artibani. Lo zio d’America è un’altra avventura valida, memorabile per la scelta di tematiche non proprio usuali ai canoni di liceità, come vizio del gioco e concussione. A voler ben guardare la sceneggiatura pecca un filino in arditezza: il tipico ritmo in crescendo viene stravolto da un finale affrettato e privo di spunti per la continuazione del ciclo, poi in seguito pubblicata, ma esclusa da quest’albo per mere cause di foliazione.
La sua estromissione lascia però spazio a un mondo narrativo molto simile che su parecchi fronti ne è stato il diretto precursore: MMMM. Nel caso di Estrelita è ancora una volta Artibani a trarre le fila della vicenda, imbastendo quello che forse è l’intrigo più ardito dei tre proposti, ma a tempo stesso il più effimero, risoltosi in poche vignette per mezzo di un colpo di scena che rivelare darebbe noie al lettore. Interessante da notare è la pubblicazione così ravvicinata delle due serie, seppur per piccoli frammenti; i punti in comune abbondano e il fine ultimo è il medesimo: ricondurre Topolino sul ring per fargli arguire i propri limiti, i propri errori e le proprie debolezze. Renderlo cattivo. E chissà che in futuro il magazine del mistero non ritorni a nuova vita, anche alla luce del successo di Topalbano.
E poi... che altro offre questo terzo numero di Disney Noir? Ampio spazio viene dato agli articoli a corredo delle storie, una buona presentazione di Estrelita e un lungo e ben curato editoriale sul genere giallo nel Bel Paese. Acquisto, insomma, caldamente consigliato: una gradevole antologia del Topo, dello stilema noir e di uno dei più grandi sceneggiatori che via via negli anni ha coniugato i due elementi.
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