Topolino e la popolarità ingombrante di Edrighi/Tosolini è un'ottima storia che esplora in maniera credibile e per niente banale il legame tra Basettoni e Topolino e sulla "complicità" che permette loro di risolvere i più disparati misteri. Non è solo un poliziesco ma fa spazio anche ad un minimo di introspezione tra le varie spiegazioni che risultano parte integrante della trama senza che si avverta quella sensazione di panariana memoria in cui il ritmo si ferma per cercare di far quadrare l'intreccio. Manetta e Rock Sassi vengono caratterizzati a dovere, un po' tonti ma comunque in grado di fare il proprio lavoro, e anche Macchia Nera non risente troppo della sua nuova partner sentimentale criminale, per quanto non riesca proprio a figurarmelo. L'unico neo è il finale, troppo sbrigativo: si è sacrificata, così, una bella scena d'azione in cui Topolino e Basettoni avrebbero potuto collaborare per catturare i due criminale.
Ottimi disegni di Tosolini, anche se la capigliatura della dottoressa Hume - fa sorridere che una scienziata abbia proprio quel cognome, sospetto che sia una frecciatina voluta - non mi piace proprio, sembra uno scarabocchio informe, e di vignetta in vignetta cambia pure il taglio.
Paperino e la predizione succosa vede un Mazzarello in calo dal punto di vista espressivo, più ispirato, invece, per quanto riguarda il lato paesaggistico, dare forma ad un soggetto piuttosto buono che, nuovamente, perde di charme per via delle lunghe spiegazioni che arrestano proprio la narrazione: mi riferisco, in particolare, alle cinque tavole che precedono il finale dove si vorrebbe puntare al (telefonato) colpo di scena, però appena arriva non riesce a catturare perché le troppe delucidazioni precedenti ne hanno allentato il ritmo. Che il colpevole non fosse quello che sembrava esserlo in primo luogo era evidente, andando ad esclusione, salvo inattese comparse dell'ultimo minuto, rimaneva solo una possibilità, al che mi chiedo: è davvero necessario in ogni storia infilarci sempre un colpo di scena che vorrebbe stupire il lettore? Anche nella storia precedente vengono date delle spiegazioni, però nell'organizzazione delle vignette e nella gestione del ritmo si incastrano quantomeno in modo ottimale, senza che ci siano sbalzi eccessivi: in Paperino e la marionetta simbiotica non c'era un effettivo colpevole a sorpresa, eppure, anziché seguire un'azione lineare e vedere all'opera Paperino e Archimede, si è puntato al passare subito alla cattura dei Bassotti e a fermare poi la narrazione, che non era terminata perché dovevano seguire altre tavole in cui Paperone spiegava com'era riuscito a risistemare le figuracce subite, per giustificarsi con loro sul modo in cui li avevano rintracciati; in Paperino e l'occupazione blasonata, invece, in una trama molto classica ma sempre efficace se ben giocata sulle gaffe, si inserisce il colpo di scena per punire Paperino della sua avventatezza e del suo essersi fatto aiutare da Battista: non è nuovo Panaro in queste fastidiose "punizioni moraleggianti" per alcuni personaggi, anche in un'altra storia in cui Paperino per sbaglio aveva dato via un oggetto prezioso di Paperone ne faceva le spese, o ancora in Zio Paperone e la cena dei cento Rockerduck deve perdere la scommessa perché, facendo leva sull'orgoglio di Paperone, lo ha "raggirato" per danneggiarlo economicamente, e guarda caso solo perché Paperone doveva vincere, quindi anche se non aveva rispettato le condizioni è come se le avesse rispettate perché non ha scucito un soldo per le pietanze.
Non è un caso che queste note stonate danneggino l'indubbia qualità delle sue sceneggiature, al punto che sono diventati dei veri e propri tòpos della produzione dei suoi ultimi dieci anni: uno spunto classico che, improvvisamente, risente del colpo di scena infarcito di eccessive spiegazioni, oppure del castigo morale immotivato. E dire che, in determinate circostanze, stando sul classico si riuscirebbe anche a fare meglio di quanto si farebbe ricorrendo a forzature o stravolgimenti: questa storia non aveva bisogno di creare aspettative, che fosse l'uno o l'altro il colpevole, poteva benissimo essere un'improvvisata vicenda bucolica di Paperino e Paperoga dai dialoghi vivaci e senza cali di ritmo, e il tutto avrebbe funzionato alla perfezione. Allo stesso modo Paperino e l'occupazione blasonata di cui ho parlato lo scorso numero: bastavano le gag fisiche da sé a reggere tutto l'intreccio, del Paperino che fa la figura barbina allo scopo proprio di "punirlo" e di metterlo in ridicolo, riducendolo così in uno stato peggiore di quello usuale, non rido minimamente, del Paperino che intrattiene combinando disastri comici tra gatto, piatti e quant'altro rido sicuramente di più: pur portando al medesimo finale, queste due situazioni differiscono per il modo in cui il lettore si rapporta al personaggio e, soprattutto, per il comico.
WhizzKids, invece, riconferma le perplessità provate settimana scorsa, ovvero che la storia sia indubbiamente indirizzata ad un pubblico infantile, e per rendersene conto basta osservare l'eccessivo sentimentalismo che contorna la vicenda supereroistica: da una parte un Paperino premuroso ai limiti del ridicolo, dall'altra sponda la masochistica cotta di Qui, che sicuramente (visto il target di riferimento) dovrà avere a tutti i costi un lieto fine perché la forza dell'amore deve sempre trionfare e vincere le avversità e solite menate idealistiche che si fanno a riguardo, che a mio modo di vedere è uno degli insegnamenti più pericolosi che si possa dare, e che tra l'altro banalizza in sé il concetto di amore, però prima di partire per la tangente con una delle mie solite filippiche a riguardo dell'argomento, voglio dare a Vito il beneficio del dubbio e sperare, rimanendo comunque scettico per via dell'impostazione di certe vignette, che nelle prossime puntate non si arrivi esattamente a questo tipo di risultato. Resta comunque problematico il modo in cui si pone la questione e la si affronta, ma è un cruccio che si porta dietro una visione certamente errata di tale concetto.
Chiusa la parentesi, il vero problema sta nelle premesse: l'unico modo per mandare i nipotini contro quei tre piattissimi pendagli da forca nella ricerca delle pietre senza coinvolgere Archimede o altre figure adulte è proprio quella di trasformare tutti in supereroi e, allo stesso modo di One Piece, relegare ciascuno al proprio "scontro del destino" con la trama che è costretta a fermarsi per far spazio ad ogni scontro. Peccato che questo non sia One Piece e che si sarebbe potuta imbastire, a scapito della "quotidianità" dei nipotini, una vera e propria ricerca archeologica a cui avrebbero preso parte Archimede da una parte e il padre dei tre marmocchi dall'altra: sarebbe stata tutta un'altra storia, di questo ne sono consapevole, però almeno sarebbe stata una storia per tutti in cui chiunque avrebbe potuto trovarvi qualcosa, che è poi una componente imprescindibile e che testimonia la versatilità del Topolino, e non bisogna mai dimenticarlo: cosa può dire ad un giovane o ad un adulto Qui contro un coso (mi rifiuto di chiamarlo personaggio) informe che può esercitare un controllo mentale sulle persone che, guarda caso, svanisce non appena questi si allontana? E, allo stesso modo, dubito che i succitati si rivedranno in quella cotta di Qui, soprattutto quando (si spera di no) sarà magicamente corrisposta.
Però, ripeto: purtroppo il mio pensiero corrisponde poco ai vent'anni che mi porto dietro, e quindi non riesco proprio a non guardare con freddezza e dissenso queste trovate, mentre sono sicuro che a qualcuno molto più giovane, o semplicemente a una persona più sensibile del sottoscritto, questa storia potrà pure piacere, e, volendo, anche divertire.
Urbano meno simile a Turconi, fortunatamente: speriamo che mantenga la sua cifra anche nelle prossime puntate, è sempre una gioia per gli occhi.