Non ne sapevo niente del Topolino Junior fino a ieri, e ora che mi sono informato sono ancora più scettico su quello che sarà il futuro della testata: lo spin-off in questione è un allegato mensile e nulla di più, ne uscirà uno su una media di quattro/cinque numeri di Topolino al mese, quindi è impensabile che innalzeranno improvvisamente il livello di maturità delle storie, visto e tenuto conto che quella di Panaro presente nel numero in questione è stata scritta nel gennaio 2017 e pubblicata solo ora; inoltre, posto che la testata in allegato non sia stata un'uscita dell'ultimo secondo, non mi spiego come mai i WhizzKids non siano stati relegati proprio lì: va bene che una sola puntata copre più dei due terzi dello spazio consentito (poco più di una trentina di pagine), però quello sarebbe stato il suo luogo ideale, non dicono nulla nemmeno ad un ragazzino delle medie, tra poco, magari ai bambini dai quattro ai sei anni sarebbe piaciuta di più.
Insomma, non dico di scorgervi una contraddizione, però se alla fine su entrambe le testate sussistono storie indirizzate unicamente ad un pubblico di infanti, allora vuol dire che quello è l'unico e solo target di riferimento che si vuole catturare, il che sarebbe piuttosto triste se si volgesse un attimo lo sguardo indietro e si guardasse a quella che è stata la storia di questa testata, gli autori che vi hanno contribuito e, soprattutto, le storie che ci hanno regalato: non è solo una questione di storie per tutti né di individuare molteplici livelli di lettura, quanto di dilettare tutti. Onestamente, a me della morale trita e ritrita, dell'insegnamento a tutti i costi presente non me ne faccio niente, e non dovrebbe essere quello lo scopo principale, bensì si dovrebbe puntare a far divertire, e dal comico poi indurre delle riflessioni, se proprio si vuole.
Servirebbe un cambiamento radicale, sia nell'atteggiamento con cui si scrive sia nelle soluzioni narrative che si propongo, ma finché lo scopo è arrivare soprattutto ai bambini (e il recente restyling della testata lo prova senza bisogno di ulteriori dimostrazioni), sarà quasi impossibile sperare di trovare veramente un'innalzamento di contenuti a favore di un pubblico più ampio ed eterogeneo.
Chiuso questo discorso, prima di lasciare il mio commento sulle storie del numero in questione, vorrei sottolineare il seguente fatto: è una scorrettezza grave scrivere in copertina "6 storie a fumetti inedite" quando una di queste è in realtà divisa in due tempi. Un conto è quando la storia si spezza in più episodi racchiusi in più numeri, un conto è quando nello stesso numero viene smembrata la medesima. Non è la prima volta che capita, però bisognerebbe stare attenti perché suona da presa in giro per chi il fumetto lo compra.
Direi di partire dal fondo, con il terzo episodio di WhizzKids, ben più problematico del precedente per via di alcune discutibili scelte narrative.
In primo luogo, si decide di affrontare la tematica del sentirsi incompresi, che ci azzecca ben poco con Quo, il quale, piuttosto, viene denigrato per la sua presunta saccenza e bollato come un "noioso saputello", mentre Chu Peng coltiva una passione non corrisposta dalla società in cui si ritrova a vivere, e prima ancora non approvata dalla sua famiglia, quindi con un minimo di attenzione ci si accorge subito che sono due situazioni completamente distinte e sconnesse tra loro, e perciò si vorrebbe costituire una forzata empatia col nipotino in questione. A peggiorare le cose, compare un abusato quanto efficace insegnamento - inseguire i propri sogni rimanendo sempre se stessi - banalizzato, tuttavia, da una pessima scelta narrativa, che consiste nel dare al ragazzino la "giusta occasione" per ribaltare la sua situazione, facendo cambiare a tutti tempestivamente idea sul suo conto: insomma, come in ogni storia destinata ad un pubblico di bambini, tutto si deve sempre concludere a tarallucci e vino, quando in questo caso si sarebbe anche potuto, che ne so, abbozzare l'inizio di un percorso da intraprendere con un po' di sforzi e, soprattutto, tempo? Stabile non è proprio il tipo da sacrificare le infinite sfumature di grigio per proporre una visione delle cose giocata sull'opposizione di bianco e di nero, si nota proprio un abbassamento nel livello dei contenuti che mi porta proprio a domandare come mai questa storia non sia stata relegata al Topolino Junior, perché quello è il posto che meglio le compete.
In secondo luogo, la gestione narrativa dell'episodio svela le fragili fondamenta su cui poggia la saga in questione, nonché, nuovamente, su quale sia il già noto target di riferimento: l'antagonista di turno è l'essenza di tutto questo, dovrebbe essere un maestro della chimica e della genetica, e invece tutto quello che fa è tirare due cazzotti in croce, con Quo, che tra i tre ha i poteri più patetici, che ci combatte si e no per QUATTRO vignette, dopodiché, giusto per rasentare il ridicolo ed innalzare il livello d'infantilità del tutto, compare a caso un gigantesco dragone volante, Quo per sbaglio si lascia scappare lo zaffiro, se ne accorge ma sembra far finta di nulla, e dopo qualche pagina improvvisamente se ne ricorda, proprio quando ormai è troppo tardi e il tizio, che è comparso più o meno in quattro pagine, ha vinto senza aver combinato niente di niente. E mentre tutto questo accade, guarda caso i robot nipoti di Archimede hanno lo scopo di ribaltare le difficoltà dei nipotini, senza che questi al momento abbiano fatto qualcosa: certo, mancano ancora due puntate, che guarda caso verranno pubblicate entrambe nel numero successivo, però ormai si è capito che il sentimentalismo e lo psicologismo presenti nella storia non competono proprio a Vito, il quale ha palesemente dovuto abbassare la qualità dei dialoghi e delle situazioni per renderle "appetibili" (?) ad un pubblico più giovanile. Eppure non si capisce cosa voglia davvero essere questa saga: vuole parlare di Qui Quo e Qua improbabili supereroi? Eppure hanno poteri ridicoli, antagonisti senza forma né carisma, e i loro scontri non si possono neanche definire tali, talmente sono brevi ed irrilevanti a confronto della lunghezza complessiva di ciascun episodio. Vuole parlare di alcuni disagi giovanili su cui ci sono passati tutti? E allora perché imbastire la vicenda supereroistica e relegare questo a dei robot controllati da Archimede? Ci credo che poi le cose finiranno bene, Qui tornerà e Clarissa gli dirà di aver scoperto un interesse nei suoi riguardi, Quo verrà rivalutato dai suoi compagni senza aver fatto qualcosa...
Voglio sperare vivamente in Qua, che non sembra avere particolari problemi rispetto agli altri due, e nell'ultimo dei tre maramaldi, o quantomeno in un ribaltamento dei giochi, anche se, ripeto, troppe cose mi lasciano fin troppo dubbioso, nonché contrariato.
Un'altra storia di cui vorrei parlare, invece, è Paperino e la fortunissima calamitosa di Carlo Panaro, il quale ha voluto condividere con noi il processo creativo che l'ha portato ad elaborarne la sceneggiatura, ricordandoci, giustamente, che i personaggi Disney sono anche delle maschere che mettono in scena un vero e proprio teatro, in cui più che recitare vivono al nostro stesso modo, magari marcando con tanta ironia certi vizi e certe virtù.
Poste le ottime premesse, la storia ha un grosso problema, ovvero viene raccontata nel medesimo modo di tutte le altre: il punto di partenza molto classico, lo svolgimento ripetitivo, il "colpo di scena" infarcito di spiegazioni. Se si vuole fare una storia introspettiva, a mio modo di vedere, lo schema dovrebbe essere un minimo stravolto per far spazio a delle vignette che parlino senza bisogno di spiegazioni ulteriori, o quantomeno ridurre i dialoghi a testi più incisivi, più taglienti. A titolo d'esempio, prendiamo proprio la parte conclusiva: Paperone deve rendere conto al lettore di quello che è accaduto, e cosa fa? Si mette a parlare con Battista in maniera innaturale dicendogli quello che noi avremmo dovuto sapere. Perché, ad esempio, non condensare questo spiegone con una vignetta in cui da lontano Paperone, rivolto di profilo, osserva soddisfatto la scena pensando "Finalmente hai capito quale sia la tua vera fortuna!" o varianti? In quel momento il lettore avrebbe subito capito che c'era lo zampino di Paperone, e invece si va troppo per le lunghe e in modo troppo forzato, come se Battista non ne sapesse niente, e invece lui lo sa ma non è necessario dirlo, così come non sarebbe necessario che Paperone renda ulteriormente artefatta la storia con delle spiegazioni che potrebbero essere benissimo riassunte nel giro di una, massimo due vignette. Perché, infatti, l'altro grande problema è proprio quello di aver inscenato per giorni un'intera serie di improbabili colpi di fortuna per Paperino, e di aver protratto per trenta tavole una vicenda per cui ne sarebbero bastate giusto venti: capisco che possa sembrare bello mostrare che in fondo Paperone nutre un sincero affetto nei riguardi del nipote, però a quel punto si sarebbe dovuto tagliare un po' sui vari colpi di fortuna e puntare di più sull'introspezione di Paperino, che non è neanche troppo marcata, complici anche i disegni di Amendola che non si prestano proprio: un Pastrovicchio o un Mottura sarebbero stati perfetti, avrebbero proposto dei tagli d'impatto, Amendola è troppo classicheggiante e soprattutto statico nelle inquadrature.
In ogni caso, apprezzo davvero la genesi della storia, però l'introspezione va affrontata in altro modo, non basta costruire improvvisamente una nuova vita per Paperino ricca di sostanze ma svuotata di affetti, se poi si tratta di seguire un canovaccio fin troppo abusato: è lo stile che non si presta al risultato che si vuole conseguire, così come per fare una storia comica come voleva essere Paperino e l'occupazione blasonata si doveva adottare un altro modo di procedere, invece di ricorrere nuovamente a quello esposto.
Non basta parlare di sentimenti per poter fare una storia profonda e bella: contano, soprattutto, il modo e il come vengono trattati, altrimenti chiunque ne potrebbe parlare, anche dicendo le stesse cose che altri presentano in modo più incisivo o raffinato: nel fumetto fanno la differenza l'espressività sia stilistica sia artistica, ovverosia la modalità di espressione (nel linguaggio) e di rappresentazione (nel visivo).
Poiché non ho ancora letto Topolinia 28802, voglio spendere giusto due parole sulle due rimanenti storie: Zio Paperone racconta... è piuttosto traballante se si opera un confronto tra i vari episodi, però inscena bene la teatralità e la persuasività narrativa del personaggio in questione, quindi è quel tipo di breve che non mi dispiace, che non fa ridere ma intrattiene quei due minuti che servono per leggerla, dopodiché si passa oltre perché ha esaurito il suo scopo. I Bassotti e l'epopea campagnola, invece, è la tipica storia che vorrebbe far ridere andando a riutilizzare più volte le varianti della stessa situazione: alla terza il lettore si stufa perché manca del tutto la comicità fisica. Può far ridere una volta il Bassotto che si spaventa per un tranquillissimo Fiuto Joe, alla seconda e poi alla terza, se non c'è uno straccio di vignetta in cui sbatte contro un muro, inciampa o viene salato sul portacoda, non si ride proprio più. E anche qui, non capisco proprio perché nemmeno i Bassotti possano avere questo privilegio, visto che sono dei furfanti incalliti: finché le gag fisiche saranno del tutto assenti, o addirittura coperte da gigantesche onomatopee, far ridere sarà sempre più difficile, soprattutto in storie di questo genere. Ottavio Panaro fa però un ottimo lavoro, almeno in questo la storia si salva.