Graditissimo il ritorno di Mastantuono sulle pagine del Topolino: la sua matita espressiva è caratterizzata da una pulizia delle vignette assai encomiabile, una vera e propria gioia visiva. Allo stesso modo, sono contento di ritrovare Bum Bum Ghigno, un valido personaggio che beneficia di queste sue saltuarie apparizioni, pur riconoscendogli una certa versatilità che in genere non si applica ai vari comprimari quali Pico De Paperis o Filo Sganga.
A proposito di Bum Bum e il distintivo sospirato, invece, si nota un positivo distacco da quelle derive infantili che hanno pervaso i recenti numeri di Topolino, con lo sceneggiatore che ripropone la propria creatura in tutta la sua essenza, evitando che i personaggi e le situazioni si pieghino a favore di un certo buonismo fin troppo imperante, anzi, la comicità dei dialoghi è brillante, soprattutto se rapportata a quella piuttosto spicciola di Gagnor che gioca troppo sugli stessi luoghi comuni o sulle medesime contrapposizioni. In particolare, ho osservato con somma gioia che i testi di Mastantuono, rispetto a quelli di altri sceneggiatori, sono più incisivi e ben si amalgamano con le scenette che vogliono rappresentare, regalando un bell'effetto umoristico che da troppo tempo mancava sulle pagine del Topolino, laddove si puntava piuttosto a far ridere a parole o con storpiature.
Insomma, una storia che può piacere anche ad un pubblico più grandicello perché nella sua leggerezza non si trascina in cadute di stile ma racconta a tutti gli effetti qualcosa, e lo fa soprattutto con tanta verve e umorismo, elementi che nell'universo Disney non devono mai mancare. Sicuramente si avverte un cambio di qualità quando sia ai testi sia ai disegni c'è dietro la medesima persona, tuttavia questo mette in luce quella "dialettica" tra sceneggiatura e disegni che andavo esponendo in un mio precedente commento: entrambi concorrono alla forza della rappresentazione, però l'una non può fare il lavoro dell'altra, e per questo si devono relazionare, non a caso, quando accade che una delle due parti non è all'altezza, si ha sempre l'impressione che manchi qualcosa o, in alternativa, che si poteva fare di più.
Paperinik e l'ultima pizza di Bosco/Gula è una storia che mi ha lasciato piuttosto perplesso, soprattutto dal punto di vista comico, come se mancasse un elemento di incisività che la caratterizzasse appieno. Credibili le caratterizzazioni di Paperone e Rockerduck, con quest'ultimo che non si adagia sugli allori e pensa di controbattere ai tentativi del primo di sorpassarlo, mentre Paperinik mi è apparso alquanto impotente davanti alle circostanze, anche un po' macchietta a tratti. Insomma, è un po' una commistione di elementi buoni e altri un po' traballanti in un contesto di critica abbastanza riuscito sul concetto di immagini, perciò, pur scorrendo, restituisce un'impressione di potenziale sprecato. Gula è valido ma i suoi personaggi hanno una varietà assai povera di espressioni, gira e rigira sono sempre le stesse.
Gambò, Jeanne-Trude e i moli galleggianti è il nuovo episodio dedicato all'arte sulle pagine del Topolino, stavolta ambientato nella Topolinia contemporanea. Per quanto Gambadilegno e Trudy siano ben scritti e frizzanti nei propri ruoli, Gagnor quando si tratta del contemporaneo esagera troppo a livello umoristico, e quel poco che riesce a veicolare a livello contenutistico è sin troppo povero, per non dire acritico e disinformato, poiché soffocato da continui acronimi, storpiature e distorsioni di carattere artistico - i soliti commenti banali senza un minimo sforzo di pensiero come mi capita spesso di sentire in giro, insomma: non che abbia simpatia per tutta l'arte contemporanea (ad esempio solo con la riflessione di Merleau-Ponty sono riuscito a trovare un modo per capire Matisse, che non ha mai riscosso un mio apprezzamento), però ritengo che abbia stufato questo continuo fare ironia sul tutto che diventa arte senza che ci sia dietro una tecnica o un "prodotto geniale", nonché il prendere di mira le avanguardie, le tendenze informali e l'arte contemporanea come se fossero qualcosa di infondato ed inconcludente, come se dietro non ci fosse alcun processo teorico: è già tanto che non abbia letto il classico "avrei potuto farlo anche io". E quando si tratta di parlare di arte, ahimé, non si riesce a farlo se non in termini didascalici, come se si dovesse sospendere la narrazione per trattare di questioni che, per come vengono presentate, potrebbero essere demandate agli striminziti editoriali, che a loro volta non si sforzano più di tanto di approfondire le tematiche, limitandosi a dire quelle due cose in croce che bene o male tutti potrebbero sapere sull'argomento: si è sprecata, insomma, l'occasione per stimolare la curiosità dei lettori dandogli dei piccoli spunti da poter approfondire autonomamente. E su questo punto insisto particolarmente perché queste si sono rivelate più che altro storie in costume dove di arte si parla in pillole poco sostanziose, addirittura velenose quando si tratta dell'arte del Novecento: a questo punto avrei preferito un lavoro a più mani dove dietro vi fosse un esperto del settore, in modo da proporre dei riferimenti un minimo più raffinati ed interessanti.
La Perissinotto fa un ottimo lavoro, ma non basta a risollevare le sorti di questa storia: se fosse questa la conclusione del ciclo, sarebbe piuttosto deludente, tuttavia, volendo considerare di quanti argomenti ancora si potrebbero affrontare, e tenuto comunque conto di come se ne è parlato, forse sarebbe proprio il caso di fermarsi qui, prima che nei prossimi episodi la comicità spicciola soffochi tutto l'impianto della serie.
Nulla di particolare la breve di Sisti, invece, con un Soffritti meno ispirato rispetto a quello della Topodissea, mentre la straniera Zio Paperone e il processo di Halloween è davvero inconcludente nelle sue trenta tavole, di cui si apprezzano solo i disegni di Fecchi. Attesa, invece, per la storia di Casty sul prossimo numero, speriamo che porti una bella ventata che spazzi via il costante buonismo dei numeri precedenti, che per fortuna qui non ho ritrovato più di tanto.