Oh, ecco un buon Topolino, finalmente!
Nelle scorse settimane, infatti, i singoli numeri erano sorretti solamente da una storia, che giustificava in qualche modo l’acquisto del relativo albo, e tutto il resto non mi aveva detto praticamente nulla, in una piattezza diffusa e soffusa abbastanza preoccupante.
Una volta tanto capita però un “Topo” discreto in linea generale, anche per quanto riguarda le rubriche.
Si parte subito piuttosto bene con Zio Paperone e i tempi del Klondike. Pietro Zemelo non inventa nulla, per l’ossatura della sua storia, e attinge a piene mani da quelle suggestioni relative alla possibilità di cambiare qualcosa del proprio passato e relative conseguenze, con una spruzzata di approfondimento all’animo più “umano” dello Zione. Ma lo fa dannatamente bene. L’ambientazione dello Yukon non è fine a sé stessa per accalappiare i donrosiani incalliti, ma è ben contestualizzata all’interno dell’intreccio, e il Paperone che vi agisce è genuino, ben raccontato e credibile. Buona l’idea del vecchio amico e dello sciroppo d’acero come sorta di magica Madeleine di Proust.
Ma quello che rende la storia degna d’attenzione sono soprattutto gli splendidi disegni di Fabio Celoni, che mancava da troppo sulle pagine di Topolino: ogni vignetta è finemente cesellata, ricca di dettagli raffigurati con la linea guizzante e carezzevole dell’artista. Paperone è meraviglioso, sia nei panni attuali che in quelli giovanili, e così le curatissime ed eteree atmosfere innevate del Klondike. Una parte importante di questo fascino estetico è data dalla colorazione, supervisionata dallo stesso Celoni, che offre un cromatismo efficace e di grande qualità, accompagnando perfettamente i disegni.
Tavole che sono una vera opera d’arte.
Mickey Mouseau e lo scatto di soppiatto è un’altra storia che ho gradito molto. Roberto Gagnor firma un altro tassello del suo lungo progetto della Storia dell’arte di Topolino e lo fa, stavolta, parlando di fotografia e in particolare omaggiando Justin Trudeau. La storia ha un soggetto molto semplice e una conclusione più che lineare, ma lo sceneggiatore la riempie di trovate esilaranti davvero riuscite, di battute simpatiche e di un visibile – ma senza essere pedante – inno al valore e alla poesia di uno scatto fotografico.
Ho riso genuinamente in più punti, passando minuti piacevoli di lettura: lo sviluppo ha un buon ritmo tra inseguimenti e furti, e questo ovvia a un soggetto molto basico.
Molto bravo Luca Usai ai disegni: anche se la tecnica ad acquerello per raffigurare le fotografie non ha potuto essere riprodotta – come rivelato dallo stesso disegnatore su Facebook – le vignette con gli scatti in b/n sono comunque suggestive e spiccano rispetto a quelle normali. E anche quelle normali funzionano bene, con lo stile morbido e rotondo tipico di Usai.
Giuseppe Zironi scrive e disegna invece Superpippo e Indiana Pipps e l’alleanza piramidale: l’insolito team-up poteva dare esiti disastrosi, invece l’autore dimostra – come già in passato – un certo talento nell’usare i personaggi disneyani. I due pippidi collaborano per evitare che un’antica piramide possa emergere dalle sabbie e scatenare gravi pericoli al pianeta. Il “terreno” narrativo su cui ci si muove è quindi prettamente quello di Indiana, cioè archeologico, e in tal senso introdurre il cugino di Pippo solo a storia inoltrata l’ho trovata una finezza apprezzabile, ma l’elemento “fantascientifico” garantisce che anche il supereroe si trovi a suo agio nella storia. I due personaggi si muovono bene insieme, e i disegni sono validi: devo ancora capire quanto mi piaccia il tratto nervoso, sottile e quasi stilizzato che il disegnatore ha adottato da qualche anno, rispetto a quello più morbido di una ventina d’anni fa, ma è sicuramente molto personale (anche se forse ne guadagna solitamente più Topolino, qui assente, che le figure pippesche).
Spiace però che la trama, al di là dello spunto iniziale gradevole, non riesca ad andare oltre al solito, irrinunciabile Kranz con tanto di travestimenti. L’azione presente è buona, il ritmo buono, ma quel villain è ormai così svalutato da non costituire una minaccia credibile, purtroppo, il che disinnesca un po’ il confronto finale.
Pico e la contesa del capannone soffre un po’ il fatto di essere nata dall’idea di una classe di ragazzini delle medie: cerca di parlare di un tema giovane, desiderio condivisibile da parte dei piccoli lettori, ma come troppo spesso accade tradurre queste istanze in una storia Disney non è affatto semplice, e soprattutto non si riesce ad andare oltre il semplice e trito sberleffo delle parlate giovanili e, come in questo caso, dei dissing fra rapper di strada. Roberto Gagnor si trova ad operare su temi delicati, e molto radicati nel tessuto urbano attuale, ma trattare argomenti del genere vuol dire parlare di determinate cose che su Topolino non si possono nemmeno sfiorare, e nemmeno nessuno si sognerebbe di chiederlo. Il risultato così è monco, e lo sceneggiatore che nello stesso numero ha offerto una buona storia sulla fotografia qui presenta un collage di giochi di parole e di trovate bislacche al servizio di una trama risibile. Senza infamia e senza lode i disegni di Paolo De Lorenzi, particolarmente spento rispetto ai suoi esordi.
Sulla breve dei Bassotti nulla da dire. Sarebbe come sparare sulla croce rossa. Nel 2019 abbiamo ancora i ladri che dopo essersi mossi sottoterra riemergono in polizia invece che in banca………………………………….
Ma non lasciamo che due storielline rovinino l’impressione generale sull’albo, che come visto per il resto offre buon intrattenimento a fumetti. E non solo: risulta molto interessante l’intervista di Francesca Agrati ad Alex Bellini per la sua missione di sensibilizzazione contro l’inquinamento degli oceani per colpa della plastica, così come quella della giovane Toporeporter a Regina Baresi, visto che pur da non amante del calcio mi fa sempre piacere quando si dà spazio alla realtà femminile di questo e altri sport, troppo spesso dimenticata.
L’articolo sulla corsa all’oro aveva tutti gli elementi per costituire un buon pezzo… peccato che Santo Scarcella lo affronti in modo confusionario, partendo da quella del Klondike per poi fare un excursus anche su quella della California e di altre, mancando così l’obiettivo di approfondire per bene l’argomento. Lo specchietto sull’esperienza di Paperone è anch’esso poco centrato, non tanto perché “mescola le fonti” ma perché parte dall’esperienza fluviale del giovane Scrooge, che poco c’azzecca con la gold rush. Occasione sprecata, quindi, e in fondo sarebbero bastate due pagine in più per rendere il tutto più organico, magari riducendo lo spazio allo strambo e irrinunciabile test…