Dopo diversi numeri sottotono e poco ispirati - spiacente, ma Orgoglio e Pregiudizio, romanzo o trasposizione che sia, non incontra proprio il mio gusto - finalmente eccone uno in grado di trasmettere quella pluralità di stili con cui Topolino può arrivare davvero a tutti quanti, facendoli sorridere, intrattenere, e riflettere. Penso, in particolar modo, a Zio Paperone e i tempi del Klondike, una collaborazione tanto sentita quanto splendida tra Zemelo e Celoni, con un Paperone magistrale e lontano da quei forzati nonché patetici sentimentalismi su cui si è insistito di recente. La dinamica curva di Celoni dialoga in maniera naturale con l'essenziale ma profonda parola di Zemelo, sicché certe parlano da sole senza bisogno di aggiungere quell'eccesso di spiegazioni che ne rovina la potenza espressiva: la tavola di pagina 19 è un esempio lampante, vuoi per i dialoghi concisi, vuoi per le inquadrature evocative, lascia trapelare una maturità che il Topolino sembrava essersi lasciata dietro, sacrificando la rappresentazione del mezzo, che di per sé è una compenetrazione tra sceneggiatura e disegni, per far parlare più del dovuto i personaggi, senza concedere al lettore il beneficio di penetrare dentro la storia per comprenderne i silenzi celati tra una vignetta e l'altra e farsi un'idea propria - il che è un processo immediato che costruiamo quando ci approcciamo ad una storia, non a caso renderne l'idea a parole è complicato. La storia, inoltre, si presta a parecchi piani di lettura, a partire dal bellissimo richiamo alla madeleine di Proust, spaziando poi per il Paperone che strizza l'occhio a Barks e Don Rosa: insomma, la forza del racconto è tale da renderla davvero alla portata di tutti. Avremmo davvero bisogno di più storie di questa risma sulle pagine del Topolino.
Segue, poi, un'ottima storia di Zironi che strizza l'occhio ai più classici fumetti della DC e della Marvel - di cui sono un grande appassionato - sia nello stile narrativo, sia nella disposizione delle vignette, con i personaggi che escono dai contorni e le onomatopee che emergono con prepotenza. Indiana Pipps e Pippo contribuiscono entrambi allo sviluppo della storia, con il primo più nelle retrovie del secondo per costruire un minimo di suspense, però era palese che Kranz sarebbe comparso, e questa è l'unica nota "dolente" del racconto: comprendo le motivazioni di Zironi, introdurre un nemico apposito avrebbe comportato un aumento del numero di tavole, e quindi un dannoso rallentamento dei tempi narrativi, che di per sé sono fluidi e ben congeniali, tuttavia - e nel dire questo non penso solo a lui - Kranz è un contraltare troppo piatto di Indiana, è un nemico senza carisma - grave mancanza per un antagonista che si rispetti - che è comodo da tirar fuori per avere una forma di opposizione al protagonista, però, visto proprio il tono supereroistico di fondo, sarebbe stato opportuno un avversario più incisivo del solito tizio che mira ad arricchirsi. Però, come detto sopra, capisco le difficoltà dell'autore a mantenere un ritmo di per sé uniforme, quindi più che un difetto vero e proprio è solo una constatazione sul fatto che diventi naturale per ogni autore che debba trattare con Indiana Pipps pensare a Kranz come antagonista di turno senza preoccuparsi di dargli una caratterizzazione un minimo interessante.
Volendo passar sopra alla storia della Banda Bassotti, che per ovvie ragioni non svolge alcun compito al di fuori di compromettere la già risibile dignità dei personaggi in questione, segue Gagnor con ben due suoi lavori, l'uno relativo al ciclo della storia dell'arte, l'altro frutto di una collaborazione con una classe scolastica.
Mickey Mouseau e lo scatto di soppiatto ha i soliti problemi delle ultime storie del ciclo: trama semplicistica - il ladro che di prima mattina era ancora nei paraggi della casa di Topolino? - e didascalica laddove vuole parlare di arte. Evito di farla lunga perché ho sempre pensato che fosse un'iniziativa piena di potenziale ma sprecata nella sua realizzazione: forse Gagnor a questo giro insiste meno del solito sulle battute, però nel momento in cui dissemina in alcune vignette l'idea della fotografia come forma d'arte - un tema ancora oggi in discussione, nonché di non poco conto - lo fa con quell'approssimazione tale da renderla secondaria. Eppure dovrebbe essere un omaggio al fotografo Doisneau e alla sua opera, e allora perché non si riesce a raggiungere quella profondità narrativa che è riuscita, invece, a Zemelo e Celoni? Perché si deve parlare di arte in termini così banali? Una delle occasione più sprecate assieme alla storia di Hokusai per aprire gli orizzonti dei lettori a concetti meno scontati del solito voler catturare la bellezza e la semplicità delle cose circostanti, che è un argomento che ormai ha fatto il suo tempo e ha ben poco da dire, purtroppo, nella nostra società.
Conclude Pico de Paperis e la contesa del capannone, storia che ho apprezzato solo per le presenze di Pico De Paperis e di Rockerduck, per il resto Gagnor mette alla berlina tutto quanto col suo tipico accumulo di comicità verbale, e il risultato è davvero altalenante: per quanto Pico sia centrato e ben inserito in quell'insolita realtà, l'autore lo fa parlare quasi sempre col cliché delle lauree improbabili, e allo stesso modo fa esprimere le due fazioni di "giovani artisti". Insomma, è vero che parlare di determinate tematiche sul Topolino è davvero complicato, però affrontarle facendo ironia sui soliti luoghi comuni non le rende giustizia, e non è detto che possa piacere a tutti. Evitabile, in conclusione, se non per i bei disegni di De Lorenzi.