La copertina di Topolino #3300 è accattivante e attraente, tanto per il segno pulito di Andrea Freccero, quanto per l'evocativa scena rappresentata, che suggerisce una bella avventura movimentata e fuori porta.
Così è: Paperino e il bastone tubetano è una avventura di paperi pura e genuina, scritta con il miglior spirito disneyano e una tra le prove migliori di Vito Stabile, almeno degli ultimi tempi. La struttura è classicamente barksiana e ha il pregio di avere un Paperino come motore dell'avventura, e non semplicemente trascinato da Zio Paperone, il quale è invece a sua volta soggetto a ricatto in un piacevole ribaltamento dei ruoli. Lo spunto di base è interessante, l'idea dello sport inventato è simpatica anche perché nel corso della storia viene ben costruito, con tanto di regole spiegate in modo semplice e riuscito, e il rapporto tra zio e nipote è raccontato con capacità dallo sceneggiatore.
Gastone forse è inserito un po' forzatamente, anche se ha il suo scopo all'interno dell'incipit, ma è davvero una minuzia di poco conto.
Potrebbe essere quasi una "storia d'altri tempi", se gli elementi dell'era moderna non la contestualizzassero nell'oggi: trovo significativo e intelligente che i nipotini non consultino il Manuale delle Giovani Marmotte ma internet sul loro smartphone, così come il basare il ricatto di Paperino ai danni dello Zione attraverso la minaccia di far girare sui social un video compromettente. Si tratta di elementi inseriti in maniera assolutamente naturale nel flusso del racconto, che la immettono coerentemente nel tempo presente e si coniugano perfettamente con un impianto narrativo classico.
La storia risulta piacevolissima anche da guardare, grazie ai disegni di uno Stefano Zanchi veramente ottimo: il tratto di ispirazione frecceriana è guizzante e i personaggi ne guadagnano in plasticità e in un aspetto vivo e molto comunicativo. È un segno fresco, sottile (in tal senso valorizzato dall'inchiostrazione) che, tanto per i due protagonisti quanto per i personaggi di contorno, accentua la dinamicità dei movimenti. Non male anche gli evocativi fondali della vicenda, e soprattutto la costruzione della tavola, molto libera ma sempre senza eccedere inutilmente: vignette doppie molto basse, le tre vignette della striscia centrale più alta, riquadri che si incastonano su quadruple... tanti accorgimenti al servizio del ritmo della narrazione, che esulano dalla classica griglia e offrono un risultato estetico e comunicativo molto fresco.
Il resto del numero? Interessante l'intervista a Linda Raimondo, sotto diversi aspetti, e plaudo alle rubriche Techno News e Mondo Disney che mi ricordano quelle analoghe presenti nei Topolino degli anni Novanta.
La storia posta in chiusura, Zio Paperone e la palandrana auto-adattante di Giulio D'Antona non è malaccio, si inserisce nel filone delle invenzioni di Archimede messe in commercio da Paperone che poi causano problemi e lo fa senza aggiungere né togliere nulla a questo tipo di racconti, senza la pretesa di voler fare chissà cosa con il plot di turno. L'idea alla base di quest'ennesima impresa commerciale, inoltre, è abbastanza valida da permettere di costruire uno sviluppo in grado di incuriosire e la storia così si fa leggere. Il suo vero neo sono i disegni di Marco Meloni: anonimi, poco armoniosi, ripetitivi e in alcune vignette quasi tirati via.