Complesso trarre le fila in un mosaico tanto esteso e variegato quale il mondo disneiano, in un'arcata che coinvolge decenni e si squaderna su diversi continenti abbracciando culture e sensibilità e contesti talvolta radicalmente opposti fra loro.
Restringendo il campo di indagine al mondo rappresentato nel fumetto italiano, mi parrebbe di individuare una certa tendenza conservatrice di fondo che trova una sua esplicita incarnazione nel basso bordone dello status quo: tutto può cambiare a patto che nulla cambi; questa aderenza intrinseca alla costruzione stessa delle storie, quasi paradigma inviolabile, mi sembra incarni se non valori strettamente di destra, quantomeno una decisa inclinazione al conservatorismo. A questo aspetto formalistico, si aggiunge poi un approccio contenutistico estremamente prudente nell'accettare certi mutamenti della contemporaneità, soprattutto di carattere sociale, approccio che pare quasi conoscere un ulteriore irrigidimento negli ultimi anni e che ancora mi porta a considerare questa letteratura come decisamente informata di valori conservatori.
Tanto per uscir fuor di teoria e metter della carne sotto ai denti, porterò a esempio un ottimo lavoro di lettura sociale come "Paperino e il dollaro fatale" (la Secchi/Guerrini IP-3200-1): quanto accade all'angolo di via delle Topaie e via del Rusco, cuore del quartiere Tormento, immagine spietata e assolutamente non filtrata di tante periferie metropolitane del mondo, incide in maniera assolutamente marginale nelle vite dei protagonisti, i quali, attraverso approcci diversi ma tutti allo stesso grado retorici, disquisiscono sulle magnifiche sorti e progressive del futuro di questi sfortunati.
Allo slancio apparentemente gratuito dei tre paperini, motivato però unicamente dalle sventure individuali di un amico, fa da contraltare l'approccio assolutamente borghese e tartufesco della zia, tutta charities mirate a confermarne lo status sociale; da una parte l'amministrazione comunale fa allegramente spallucce nel più plateale menefreghismo ammantato di qualche spruzzata di arte oratoria e di leguleismo d'accatto dall'altra l'uomo comune, incarnato da Paperino, non essendo in grado di vedere oltre il proprio becco, si mette la coscienza a posto con l'idea di donare alla causa un dollaro, fra l'altro nemmeno raccolto dalle proprie tasche. E' il capitale l'unico in grado di fornire soluzioni, il mercato e' l'unica risposta concreta al rilancio di quel quartiere degradato, un centro commerciale che dia possibilità autentiche al bisogno di posti di lavoro, di infrastrutture, di riassetto della situazione urbanistica e il piano e' bello che pronto, senza fronzoli ne sofisticherie retoriche, sulla scrivania del plutocrate. Non siamo qui molto distanti dalla società di Reagan e della Thatcher. Sullo sfondo restano gli abitanti di questo quartiere cui è tolta qualsiasi possibilità di riscatto e la cui vita, e l'eventuale miglioramento delle condizioni della stessa, sono totalmente affidati alle mani di lontani demiurghi appollaiati nell'Olimpo della loro società borghese. Tutto quel che segue, il bambino che offre la soluzione con i ragnetti magnetici e si guadagna un investimento a perdere per la ricostruzione del quartiere, e' ovviamente pura favola (realismo magico da Miracolo a Milano) nella quale non credono nemmeno gli autori.