SPOILER ALERT!
Leggevo da qualche parte che le opinioni di un critico, il quale ritiene che la Dreamworks sia superiore alla Pixar. Le sue motivazioni? Ne cito una fra le tutte (una più discutibile dell’altra): la Pixar non ha mai fatto fiabe, al contrario della Dreamworks, la cui fortuna è cominciata proprio con esse, seppure in una parodia. Ora, non sono certo qui per gettare fango sulla casa madre di Shrek, ma in che altro modo si possono chiamare i film Pixar? Film in grado di appassionare grandi e piccini, film che si rivelano ogni volta un trionfo di idee e di fantasia, e che, anche se giunti al secondo sequel, hanno sempre qualcosa di raccontare. E mica robetta.
Con Toy Story 3 ne abbiamo la piena conferma. Cos’altro poteva mai avere da raccontare una saga con protagonisti dei semplici balocchi animati? A quanto pare, TANTO.
Un emozionante e nostalgico flashback ci introduce nella situzione attuale. Andy è cresciuto, deve andare al college e deve decidere la sorte dei suoi vecchi giocattoli, i superstiti Woody, Buzz Lightyear, Jessie, Bullseye, Mr. e Mrs. Potato, Slinky, Rex, Hamm, i tre alieni verdi e la Barbie di Molly. Una serie di circostanze farà finire i nostri eroi all’interno di un asilo, il Sunnyside, un luogo apparentemente felice e solare. Qui faranno la conoscenza di nuovi giocattoli, tra cui spiccano il coccoloso orso Lotso (che profuma di fragole, eh) e l’irresistibile Ken, vanitoso e pieno di sé. Tutto bene fin qui, almeno finchè i giocattoli non sperimentano la compagnia dei bambini della stanza dell’asilo in cui si sono sistemati. Seguirà una girandola di avventura ed emozioni (e citazioni) che ci porteranno al grandioso finale.
Ciò che mi ha piacevolmente stupito è stata l’atmosfera noir che si respira nella parte centrale del film, in cui veniamo a conoscenza del lato oscuro di Lotso, e del suo passato. E infatti, fra i nuovi personaggi che compaiono in questo sequel, indubbiamente l’orso fucsia è quello meglio riuscito, poiché la sua è una malignità sincera e terribile, come può esserlo solo quella causata da un cuore infranto. Un personaggio complesso e violento, quindi, ma dallo straordinario appeal. Il racconto di Chuckles il Clown, poi, è semplicemente perfetto ed efficacissimo.
Tra gli altri personaggi, meritano una menzione Bimbo, il bambolotto succube di Lotso, e l’inquietante e grottesca Scimmia, che si occupa della videosorveglianza dell’asilo-carcere. Il bello del film è che riesce perfettamente a mescolare momenti drammatici, ma non troppo, e momenti di grande comicità, come la “conversione” in spagnolo di Buzz, la ridicola sfilata di Ken o le tragicomiche avventure di Mr. Tacos, per citarne alcuni. Ma è lo scontro finale il vero momento clou di tutto il film, o forse di tutta la saga. Una discesa tra le fiamme di proporzioni epiche che ricorda molto da vicino il finale della fiaba del Soldatino di Stagno di Andersen. Davvero molto commovente, tanto che ormai non ci speravo più nel lieto fine. Ma alla fine c’è stato anche quello. Ed è quanto di più liberatorio si potesse sperare. Perchè è un nuovo inizio. E chissà che a quei geni della Pixar un giorno non venga in mente di aggiungere un 4 accanto al titolo "Toy Story".