L'Asinello (The Small One) 1978
Quando si parla del ricambio generazionale avvenuto in Disney nei primi anni '80, che si riflesse nella lavorazione di
Red & Toby, ci si dimentica spesso che, tra i Nove Vecchi, i collaboratori stretti di Walt, e le nuove leve, rappresentate da talenti del calibro di Glen Keane, Andreas Deja ed Eric Goldberg, vi fu una sparuta schiera di artisti che lavorarono agli Studios Disney nel corso degli anni '70. Di questa "generazione di mezzo", la personalità di maggior spicco è di gran lunga Don Bluth, talentuoso animatore che, al suo arrivo in Disney, divise in due gruppi quelli che ci lavoravano: c'era chi lo vedeva come un novello Walt Disney, capace di coordinare e di far presa sui suoi collaboratori, e chi, al contrario, lo riteneva uno spudorato arrivista, desideroso di prendere il comando del reparto animazione. Ma esulando dalle questioni aziendali, c'è da dire che lo stile di Bluth appare alquanto singolare e non perfettamente in linea con quella che è la poetica disneyana. E se c'è un prodotto che esprime appieno gli aspetti peculiari di questo artista, questo è proprio
L'Asinello.
Prima ed unica regia disneyana di Don Bluth (se escludiamo la gestione del comparto animato in
Elliot, il Drago Invisibile),
The Small One rientra tra le opere più atipiche degli Studios: uscito negli USA nel dicembre del 1978, abbinato ad una riedizione di
Pinocchio, presenta nei credits una miriade di nomi piuttosto sconosciuti, appartenenti a quella generazione di mezzo di cui faceva parte lo stesso Bluth e che, all'indomani del passaggio di consegne avvenuto con
Red & Toby, lascerà pian piano la Disney. La storia del mediometraggio, usato come tappabuchi produttivo in quei quattro anni che separano
Le Avventure di Bianca & Bernie dallo stesso
Red & Toby, è abbastanza semplice ma, allo stesso tempo, terribilmente intensa: nella Palestina dell'occupazione romana, un bambino è costretto a vendere un vecchio asinello con cui è cresciuto, Piccolo, che, ormai, non riesce più a sostenere il peso della fatica della proprie mansioni. Si capisce, quindi, quanto sia pesante e malinconica l'aria che si respira fin dall'inizio del corto, forse il più commovente della filmografia disneyana assieme al successivo
La Piccola Fiammiferaia. La singolarità del mediometraggio, però, non si ferma qui ed, anzi, si estende anche all'animazione: eccezion fatta per il bambino, copia sputata di Mowgli, e per Piccolo, che presenta una mimica facciale assai simile a quella di Eliott e che precorre quella di Quasimodo, i personaggi sono tratteggiati perlopiù in maniera caricaturale, quando non fotorealistica (nel caso del padre, del soldato e del conciatore), un trattamento che accentua ancor di più il disagio per un mondo dipinto come buffo e grottesco ma anche crudo e realistico. La regia di Bluth, in questo senso, si rivela assolutamente azzeccata, facendo procedere di pari passo la narrazione materiale con quella emozionale. Di pecche, però, ce ne sono eccome e quella che risalta maggiormente è la scelta di affidare gli interludi comici, nelle intenzioni volti a sdrammatizzare l'atmosfera, all'inutilissimo terzetto di mercanti, personaggi davvero poco riusciti e a dir poco grotteschi, ai quali, però, è affidato uno dei tre brani musicali del mediometraggio, la malposta e ripetitiva
The Merchant's Song, scritta dallo stesso Bluth, che precorre il cattivo uso delle canzoni che l'animatore farà nei suoi lavori successivi. Assai migliori sono, invece, gli altri due pezzi,
Small One, malinconicissimo brano che accompagna i credits, che ci mostrano l'intenso rapporto tra il bambino ed il suo asinello, e che, attraverso un reprise, fungerà anche da chiusa del corto, e la delicata ma intrinsecamente triste
A Friendly Face, dal cantato poco orecchiabile, ed unica canzone a non essere scritta da Don Bluth. Alle strumentali, troviamo, invece, Robert F. Brunner, compositore disneyano di vecchia data che si era occupato principalmente di film live-action e qui al suo unico lavoro in animazione.
Nonostante il finale dai richiami religiosi, la storia natalizia de
L'Asinello non appare affatto pretestuosa ed, anzi, dimostra una volta di più come l'animazione non sia assolutamente un ambito prettamente umoristico, un insegnamento che il mondo del cinema ha recepito nuovamente solo negli ultimissimi anni. Dal canto suo, Don Bluth, terminata la lavorazione di
Red & Toby, lasciò la Disney, portandosi dietro mezzo studio d'animazione ed aprendo una propria casa cinematografica che, nel corso degli anni '80, si rivelò essere una pericolosa concorrente per una Disney insicura, appena uscita da una crisi, dirigenziale ed artistica, durata quasi vent'anni. Ma, aldilà delle successive vicende aziendali, quel che ci resta è un capolavoro di semplicità ed umanità che, esattamente come
Pinocchio, ci spinge a sperare e ad avere fede. E la presenza della Stella della dei Desideri in chiusura, mascherata da Stella Cometa, pare dirci proprio questo.