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Cortometraggi Disney

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Astrus
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    Re: Cortometraggi Disney
    Risposta #120: Domenica 23 Dic 2012, 07:02:51
    Pigs Is Pigs 1954

    A partire dalla metà degli anni '50, la produzione degli shorts fuori serie è soggetta ad un profondo cambiamento. Se finora ogni Special Cartoon era stato prodotto dallo stesso team che si occupava dei lungometraggi, capitanato dai Nove Vecchi, d'ora innanzi il testimone passa nelle (pur capaci) mani del reparto addetto agli shorts, che aveva già realizzato quella piccola perla di Morris, the Midget Moose. In soldoni, se prima i corti fuori serie erano ritenuti un evento, meritevole di un lavoro animato ineccepibile, adesso divengono shorts regolari, prodotti in gran quantità e, quindi, soggetti a bruschi sbalzi qualitativi. Ma se c'è un caso in cui l'animazione economica calza a pennello alla storia che racconta, questo è proprio Pigs Is Pigs. Curato graficamente da John Sibley, il corto è un altro piccolo capolavoro, che vede alla regia il vulcanico Jack Kinney che firma nuovamente un prodotto fortemente satirico. Se l'anno precedente il suo bersaglio era stato il mondo dello sport (nel simpatico corto Football Now and Then), stavolta ad essere preso di mira è il mondo della burocrazia, dipinto come inefficiente e in mano a personaggi incompetenti. Vittima di un paradossale errore burocratico è il povero agente ferroviario Mike Flannery, fin troppo ligio alle regole, che si ritroverà sommerso da una montagna di porcellini d'India: la storia in sè (tratta da un racconto di Elias Parker Butler), è, quindi, assolutamente demenziale e, in questo, aiutano soprattutto i disegni, spigolosi e tirati via. ma aldilà della vicenda in sè, sono le trovate ad essere assolutamente esilaranti, dai porcellini d'India che figliano in continuazione al consiglio d'amministrazione, passando per la sequenza migliore di tutte, quella che mostra l'iter burocratico che segue la richiesta fatta da Flannery alla società ferroviaria, accompagnata in sottofondo dal The Irish Washerwoman, il tipico tema irlandese, che presenta anche un cantato, con tanto di rime, che racconta la vicenda.
    Purtroppo, come molti altri corti del periodo, anche Pigs Is Pigs non è disponibile in Italia, se non in una vecchia VHS ormsi introvabile.

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    Astrus
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      Re: Cortometraggi Disney
      Risposta #121: Lunedì 24 Dic 2012, 00:10:18
      Casey Bats Again 1954

      Il concetto di continuity è fondamentalmente estraneo al mondo Disney. E se nel fumetto casi isolati ce ne sono stati (le storie di Gottfredson, il progetto PK), nell'animazione, escludendo i recenti cheapquels, di norma non v'è traccia di qualcosa del genere. Uno dei motivi è che Walt stesso era contrario al concetto di sequel, al riutilizzo di setting, storie e personaggi. Ma di eccezioni ce ne sono comunque. Le più vistose sono sicuramente il 29° e il il 38° Classico Disney, Bianca e Bernie nella Terra dei Canguri e Fantasia 2000, che, però, non erano seguiti in senso stretto, quanto piuttosto film che riproponevano elementi già visti nelle opere prime. E' ai cortometraggi che bisogna guardare per trovare un qualche accenno di continuity, come, ad esempio, nei primi 4 corti dei Tre Porcellini. Ma, al contrario di questi, Casey Bats Again non è una mera riproposizione di cose già viste, quanto una vera e propria storia originale strettamente collegata a quella precedente, nella fattispecie il segmento Casey at the Bat di Musica Maestro, che ci mostra le vicende dello sfortunato battitore, desideroso di trasmettere la passione del baseball ai propri figli maschi. Maschi che non arriveranno mai, con somma delusione di Casey, che diverrà padre di ben nove femmine. Una storia simpatica, in fin dei conti, che consente di mettere in scena un innumerevole serie di gag. A dirigere il corto ritroviamo il bravo Jack Kinney, mentre co-autore della storia è il fratello Dick, futuro sceneggiatore di fumetti. Fred Moore firma, invece, quello che sarà uno dei suoi ultimi lavori prima della sua tragica morte, dimostrando ancora una volta di essere abilissimo nel rendere le figure femminili, a cui conferisce degli inquietanti occhietti blu. Caso più unico che raro, Casey Bats Again è, poi, uno dei pochi corti fuori serie del periodo ad aver goduto di una versione italiana, presente come contenuto speciale nel DVD de Lo Scrigno delle Sette Perle, dove, in realtà, non sarebbe dovuto essere. Questo corto, infatti, era originariamente previsto come extra del DVD di Musica Maestro, mai editato qui da noi. Una bella fortuna, quindi, anche perchè il doppiaggio italiano è stato realizzato appositamente per questa uscita e mantiene la narrazione in rima dell'originale, risultando un po' forzato qua e là, ma dimostrando la fedeltà di questa edizione.
      « Ultima modifica: Lunedì 24 Dic 2012, 01:10:17 da JAMPY318 »

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        Re: Cortometraggi Disney
        Risposta #122: Martedì 1 Gen 2013, 08:57:42
        Social Lion 1954

        Se gli anni '40 erano stati il decennio della comicità slapstick, che si esprimeva in una serie di corti alla lunga monotoni, i '50 furono anni all'insegna di uno sperimentalismo non solo grafico, ma anche tematico. In special modo, prese piede un tipo di umorismo deliziosamente satirico, che aveva avuto il proprio antesignano nella serie di Pippo che, dalla fine degli anni '40, si focalizzò sulla presa in giro dell'uomo medio, impersonato dall'alter-ego di Goofy, l'impiegato George Geef. A dirigere quelli shorts era spesso e volentieri il regista Jack Kinney che, una volta chiusa la serie nel 1953, diresse una manciata di cortometraggi assolutamente memorabili, quali Football Now and Then, Pigs Is Pigs e Casey Bats Again. Ed è su quella stessa lunghezza d'onda che si pone anche Social Lion, un dissacrante sberleffo alla moderna società metropolitana. A metterne in luce i difetti è un leone graficamente identico al Lambert del'omonimo corto di due anni prima, che viene portato dall'Africa fino in America. Le gag, quindi, si sprecano in quello che è uno degli ultimi Special Cartoon curati dal reparto lungometraggistico. All'animazione troviamo infatti il veterano Norman Ferguson, storico interprete di Pluto, che ci propone una metropoli assai stilizzata, ma ben riuscita, in cui si muovono personaggi assolutamente consoni al setting, caratterizzati da un tratto spigoloso o abbozzato. E tutto questo non fa altro che mettere in luce l'eccezionale animazione del leone, simbolo di un'epoca che sta tramontando. Un prodotto emblematico, quindi, Social Lion, che chiude idealmente il filone satirico della Disney che verrà ben presto rimpiazzato dalle produzioni didattiche, che, però, non sempre proporranno una qualità grafica ed artistica tanto elevata e raffinata.
        « Ultima modifica: Martedì 1 Gen 2013, 08:57:54 da JAMPY318 »

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          Risposta #123: Martedì 1 Gen 2013, 21:07:57
          Hooked Bear 1956

          Tra tutti gli antagonisti animali che vennero affibbiati a Paperino nei corti della propria serie, l'orso Humprey (da noi Onofrio o Gelsomino) è di sicuro quello che ha riscosso maggior successo. Comparso per la prima volta nel corto Rugged Bear (1953), in cui si intrufolava nella casa di un Paperino cacciatore fingendosi un tappeto, il personaggio di Humprey fu da subito utilizzato massicciamente nella serie Donald Duck, in cui, tra uno short e l'altro, gli venne costruito un intero microcosmo attorno, abitato da altri orsi e a capo del quale vi era il severo ranger Ocarina. Gli elementi per poter realizzare una serie su di lui c'erano tutti e d'altronde non sarebbe stata la prima volta che un comprimario di Paperino assurgesse a protagonista, dato che i ben più celebri Cip & Ciop avevano già avuto tre shorts appositamente dedicatigli. Ma a metà degli anni '50 il mercato dei corti cinematografici versava in cattive acque e, quindi, inaugurare una nuova serie mentre altre, assai longeve, chiudevano non sarebbe stata una mossa astuta. Fu così che si decise di sfruttare il contenitore di miscellanea per eccellenza dell'animazione disneyana, vale a dire la serie degli Special Cartoon che nel 1956 ospitò due corti con Humprey protagonista. Il primo di questi, Hooked Bear, propone una vicenda assai semplice, che vede l'orso tentare in tutti i modi di catturare qualche pesce mentre il ranger Ocarina si occupa di ripopolare il lago per la stagione della pesca. Naturalmente il piatto forte del corto sono le simpatiche gag che lo animano ed in cui risulta determinante la recitazione dell'orso, dai modi, a volte, fin troppo frenetici ed esasperati, accentuati dalla sua mutezza. Proposto in formato Cinemascope, il corto tradisce, però, nei credits iniziali la propria vicinanza, se non dipendenza, dalla serie di Paperino di cui utilizza la stessa identica presentazione, oltre a vantare alla regia quello stesso Jack Hannah che aveva gestito per anni la serie Donald Duck e che, al contrario di molti di quelli shorts, qui non fa scadere tutto nella fin troppo semplice e banale comicità slapstick.
          Un corto emblematico della mutata situazione del cinema animato, quindi, che però propone una breve storiella che odora molto di classicità.

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          alec
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            Risposta #124: Mercoledì 2 Gen 2013, 00:40:16
            Subito scopiazzato da Hanna-Barbera: Yogy Bear è di due anni dopo, 1958...

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              Risposta #125: Giovedì 17 Gen 2013, 13:03:18
              In the Bag 1956

              Secondo ed ultimo cortometraggio della sottoserie dell'orso Humprey, In the Bag assomiglia parecchio ad uno shorts della serie di Paperino. Alla regia, infatti, ritroviamo ancora Jack Hannah che propone una simpatica vicenda che mette in scena l'intero cast di personaggi del Parco di Brownstone, impegnati a ripulire i prati dai rifiuti lasciati da turisti e picnickers. Arricchito da gag assolutamente sopraffine (davvero eccezionale, divertente e surreale quella dell' Orso Smokey, la mascotte americane delle campagne di sensibilizzazione contro gli incendi), il corto vanta anche una canzone, l'omonima In the Bag, assai orecchiabile e destinata ad avere un discreto successo in ambito disneyano. E qui, è proprio il caso di dirlo, si cambia musica, dato che a curarla è la nuova leva George Bruns che aveva esordito qualche tempo prima con il corto Jack and Old Mac: e c'è da dire che le sonorità jazz del compositore si fanno sentire per bene, rompendo definitivamente con lo stile degli anni '40 e '50 ed aprendo la strada verso i '60. Da notare, inoltre, che il tema di apertura non è più quello della serie di Paperino, ma un brano musicale inedito che verrà usato solo in quest'occasione.
              Con In the Bag (proiettato ancora in formato Cinemascope) si conclude il primo ciclo di Special Cartoon, quello costituito da shorts di genere assai vario, ma ancora graficamente ricchi, che lasceranno il posto a corti di carattere assolutamente sperimentale in cui a predominare sarà proprio la cosiddetta "animazione ridotta".
              « Ultima modifica: Giovedì 17 Gen 2013, 16:48:29 da JAMPY318 »

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                Risposta #126: Sabato 19 Gen 2013, 12:45:11
                Jack and Old Mac 1956

                Con Jack and Old Mac si volta nuovamente pagina. Accantonato lo stile classico degli anni '40, viene recuperata l'animazione che era stata introdotta nei primissimi anni '50 dai due corti della serie Adventures in Music e, d'ora innanzi, questa sarà la tecnica maggiormente utilizzata nei cortometraggi fino all'avvento del processo xerox, introdotto dal mediometraggio Goliath II (1960).
                Uscito nell'estate del 1956, Jack and Old Mac segna l'esordio del compositore George Bruns, che curerà i brani strumentali in quasi tutti i prodotti animati degli Studios fino alla fine degli anni '60. E Bruns non poteva esordire con un prodotto più in linea di questo: il corto propone, infatti, una versione animata di due popolari canzoncine americane, The House That Jack Built, assai simile alla Fiera dell'Est di Angelo Branduardi, e Old Mac Donald Had a Band, variazione umoristica della famosissima Nella Vecchia Fattoria, dalle sonorità jazz tanto care allo stesso Bruns. E mentre la rappresentazione della prima è caratterizzata da uno stile grafico a dir poco minimalista ma, a suo modo, interessante, la seconda propone una serie di animazioni piuttosto monotone, ripetute più e più volte in virtù della natura filastrocchesca del brano, e che occupano più della metà del corto, annoiando ben presto lo spettatore; uniche sequenze degne di nota sono quelle di ballo che, però, riciclano l'animazione di alcune scene tratte dal segmento All the Cats Join In di Musica Maestro.
                Diretto da quel Bill Justice che, qualche anno dopo, avrebbe sperimentato in Disney la tecnica della Stop-Motion, Jack and Old Mac appare, quindi, come un mero esercizio di stile, artisticamente poco rilevante e piuttosto noioso e che, probabilmente per questo motivo, rimarrà un unicum nella filmografia disneyana.

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                  Risposta #127: Martedì 22 Gen 2013, 12:12:35
                  A Cowboy Needs a Horse 1956

                  Ultimo Special Cartoon ad uscire nel 1956, A Cowboy Needs a Horse rientra in quel novero di corti che, durante gli anni '50, avevano proposto un tipo di animazione estremamente stilizzata e povera a fronte, però, di nuove forme di sperimentazione, sia grafica che narrativa. Ma, esattamente come il precedente Jack and Old Mac, anche questo short non ha nulla di innovativo, limitandosi a raccontare il viaggio di un bambino (che somiglia un po' a Pinocchio) nel proprio mondo onirico, senza particolari guizzi. L'animazione, poi, non è certo ai massimi livelli e siamo ben lontani dalla deliziosa stilizzazione della serie Adventures in Music. Diretto da Bill Justice, il corto vanta anche una canzone, l'omonima A Cowboy Needs a Horse, musicata da George Bruns, che, grazie e numerosi reprise strumentali, funge anche da vera e propria colonna sonora.
                  Un prodotto di poco conto, quindi, che assurge a vero e proprio emblema dello scarso valore di molte produzioni del periodo; un periodo che vede l'animazione disneyana un po' allo sbaraglio nel gran fermento produttivo dell'azienda, divisa fra parchi a tema, televisione e film live-action. I tempi che seguiranno, difatti, non saranno dei più rosei e bisognerà attendere una certa sirena per rivedere lo studio d'animazione Disney risplendere nel firmamento cinematografico.

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                    Re: Cortometraggi Disney
                    Risposta #128: Martedì 22 Gen 2013, 13:12:36
                    The Story of Anyburg, USA 1957

                    Dopo una serie di cartoons di poco valore, ecco che, finalmente, la Disney propone un corto assolutamente brillante. The Story of Anyburg, USA, difatti, porta avanti un'acuta analisi della realtà, nella fattispecie il rapporto tra uomo ed automobile, che si traduce in un'argutissima critica alla società contemporanea: al centro di tutto vi è un processo celebrato ad Anyburg, classica cittadina americana, contro le automobili, colpevoli, secondo l'accusa, di rappresentare un vero e proprio pericolo pubblico per gli abitanti. Ed è proprio in questa cornice che si lascia spazio ai paradossi più assurdi, come quello dell'ingegnere autostradale che si dispera perchè le auto usufruiscono delle infrastrutture da lui create. Ma è il finale la vera sorpresa, dato che fornisce una riflessione insolita ma veritiera che dimostrerà come i veri colpevoli siano gli uomini stessi che fanno un pessimo uso delle automobili e che, quindi, non sono gli oggetti ad essere "buoni" o "cattivi".
                    Al di là della vicenda in sè (dal finale assai amaro ed ironico), The Story of Anyburg porta avanti anche quel discorso stilistico sugli oggetti umanizzati che era iniziato con Susie, the Little Blue Coupè e che proseguirà, mezzo secolo dopo, col pixariano Cars. Diretto dal veterano Clyde Geronimi (regista o co-regista di  lungometraggi del calibro di Cenerentola, Peter Pan e Lilli e il Vagabondo), il corto rappresenta una breve parentesi, musicalmente parlando: a curarlo è infatti Joseph Dubin, uno dei tre compositori Disney per eccellenza degli anni '40 (assieme a Churcill e Wallace), le cui musiche, però, non si fanno notare poi molto, al contrario delle sonorità jazz di Bruns presenti in altri prodotti del periodo.
                    Uscito nell'estate del 1957, The Story of Anyburg rappresenta un vero è proprio salto di qualità all'interno della produzione del periodo, riportando in auge un tipo di umorismo caratteristicamente disneyano che raramente sarà nuovamente accantonato.
                    « Ultima modifica: Mercoledì 23 Gen 2013, 23:17:32 da JAMPY318 »

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                      Re: Cortometraggi Disney
                      Risposta #129: Lunedì 25 Feb 2013, 14:49:19
                      Fun with Mr. Future 1982

                      Con l'inizio degli anni '80, ebbe luogo un profondo ricambio generazionale tra gli artisti del reparto animazione: con il ritiro dei Nove Vecchi, i più stretti collaboratori di Walt, venne, quindi, dato spazio alle nuove leve, provenienti, per la maggior parte, dal California Institute of Arts (meglio conosciuto come CalArts), un centro di formazione professionale fondato dallo stesso Disney nei primi anni '60. Con l'arrivo di questi giovani artisti, fu naturale e consequenziale un profondo rinnovamento del modo stesso di fare animazione. D'altronde, i tempi erano cambiati, la concorrenza si faceva sempre più agguerrita e lo stesso stile disneyano andava svecchiato.
                      Questa ventata di aria fresca interessò non solo l'ambito lungometraggistico, ma anche quello degli shorts. Paradossalmente, però, il primo prodotto ad inaugurare questo nuovo corso proponeva struttura e tematiche che appartenevano ai cari vecchi corti didattici degli anni '50, seppur in maniera differente. Si rimane, però, nel campo delle ipotesi, dato che Fun with Mr. Future non è mai stato proiettato al di fuori dei festival cinematografici, una sorte che lo accomunerà a prodotti più recenti quali Lorenzo e Glago's Guest. Dal poco che se ne sa, pare che il corto, realizzato in tecnica mista, si incentri su di una panoramica della tecnologia futuristica offerta da un animatronic di Abram Lincoln: un soggetto alquanto originale che ricorda gli special televisivi, presentati da Walt in persona, che illustravano la possibile vita dell'uomo del futuro e pubblicizzavano l'attrazione di Disneyland Tomorrowland. Ed, in effetti, tra il corto e questi special hanno un punto in comune: l'Epcot Center, il parco tematico sulle tecnologie future costruito all'interno di Walt Disney World, in Florida, fortemente voluto da Walt Disney. Fun with Mr. Future, difatti, venne realizzato in occasione dell'inaugurazione del parco, nel 1982, e, originariamente, avrebbe dovuto essere proiettato per i visitatori che attendevano l'arrivo della monorotaia che faceva il giro delle attrazioni. A lavorare al corto fu un folto gruppo di artisti che, in seguito, si sarebbero sparpagliati nei più svariati settori produttivi della Disney e della Pixar: il regista era Darrell Van Citters, che avrebbe poi lavorato anche alla Warner, mentre tra sceneggiatori ed animatori si annoveravano Joe Ranft, futura colonna della Pixar, Mike Gabriel e quel Tad Stones che, negli anni '90, avrebbe realizzato molti dei primissimi direct-to-video disneyani. Una crew di alto livello, quindi, che, in seguito, avrebbe lavorato anche sul mediometraggio Pippo nel Pallone. Un vero peccato che il frutto del loro lavoro non sia visionabile dai fan e che siano disponibili solo alcune cels originali che danno l'idea di un prodotto innovativo ma, a suo modo, classico.
                      « Ultima modifica: Lunedì 25 Feb 2013, 14:50:38 da JAMPY318 »

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                        Risposta #130: Lunedì 25 Feb 2013, 16:39:09
                        Vincent (Vincent) 1982

                        Tra i diplomati al CalArts che entrarono in Disney nei primi anni '80 vi erano personalità di genere assai vario. Ma ciò che accomunava questi artisti era la loro voglia di mettersi in gioco e di sperimentare nuove tecniche per lo sviluppo dell'animazione: il giovane John Lasseter pagò con il licenziamento il suo tentativo di introdurre le nuove tecnologie informatiche ed elettroniche dei computer all'interno dell'ambito produttivo, e la stessa sorte toccò all'altrettanto giovane Tim Burton nel 1985, all'indomani dell'uscita del suo mediometraggio live-action Frankenweenie, ritenuto fin troppo trasgressivo per la dirigenza. Ma già prima di questa produzione, Burton aveva realizzato qualcosa di assolutamente singolare e originale: il cortometraggio Vincent. Molto probabilmente non esiste opera del regista che colga appieno la sua poetica: c'è tutto Burton in questo short dal carattere autobiografico, il suo gusto per il macabro e la sua visione personalissima delle cose, di cui si fa portatore il giovane protagonista, Vincent Malloy, affascinato dallo stile gotico di Edgar Allan Poe e dall'horror cinematografico, rappresentato dal suo idolo, l'attore Vincent Price. Una descrizione che si addice perfettamente a Burton che introduce anche un'ulteriore tematica presente in molte delle sue opere: il forte contrasto tra il protagonista e il mondo che lo circonda. Un contrasto che assumerà contorni diversi a seconda della vicenda raccontata e che fungerà da strumento di aspra critica per la società, andando spesso a braccetto con l'elemento grottesco, qui rappresentato dal personaggio della zia di Vincent e che troverà poi la propria celebrazione in opere quali The Nightmare Before Christmas e James e la Pesca Gigante . La scelta di realizzare l'animazione con la tecnica a passo uno (o stop motion), poi, non fa che rafforzare l'immagine di un vero e proprio manifesto programmatico. La tecnica, anche se ancora un po' grezza, risulta già di altissimo livello e l'uso del bianco e nero non fa che avvicinare l'opera alle due versioni di Frankenweenie. E, anche se privo di canzoni, il corto propone un commento musicale di tutto rispetto che annovera anche un brano non originale, la celebre Hoochie Coochie Dance, che accompagna la sequenza d'apertura e i credits, ed una certa musicalità è dovuta all'origine del corto, tratto da una poesia originale di Burton, recitata dallo stesso Vincent Price.
                        Per certi versi enigmatico è, invece, il finale, in cui la morte del protagonista, divenuto egli stesso vittima delle sue stesse fantasie, assume un carattere assai ambiguo, sospeso tra la metafora e la realtà. Molto probabilmente, rappresenta la simbolica e definitiva resa di Burton alla sua "anormalità" ed ai gusti e interessi. Un'opera criptica, quindi, che, passata discretamente per i cinema, è riuscita a conquistarsi il mercato Home Video come extra del DVD e Blu-Ray dell'assai più noto The Nightmare Before Christmas che, ad undici anni da Vincent, avrebbe donato fama e riconoscimente al proprio creatore.

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                          Re: Cortometraggi Disney
                          Risposta #131: Giovedì 28 Feb 2013, 15:35:23
                          Oilspot and Lipstick 1987

                          Se si fermasse una persona qualunque per strada e le si chiedesse cosa sappia dell'animazione Disney, molto probabilmente ne proporrebbe una visione alquanto stereotipata, caratterizzata da un monotono susseguirsi di opere cinematografiche aventi per protagonisti animali e principesse, il tutto disegnato rigorosamente a mano. Nonostante il sentire comune, però, gli studi di animazione Disney sono forse quelli che, nella loro quasi centenaria storia, hanno più volte puntato su tecniche e progetti innovativi, passando dalla tecnica mista, sperimentata nelle Alice Comedies, ai prodotti anni '50-'60 in stop-motion. E' in questo continuo progredire dell'arte del'animazione che si pone quella che è stata una delle problematiche più spinose della storia degli Studios, vale a dire il rapporto con le moderne tecnologie della Computer-Grafica. La cosiddetta CGI (acronimo di Computer-Generated Imagery) iniziò a prendere piede già nei primi anni '80, allorchè piccoli e pionieristici studi d'animazione  come la Pixar si reserò conto delle potenzialità del mezzo. E all'epoca se ne accorse anche il giovane John Lasseter che, fresco fresco di diploma al CalArts, era stato da poco assunto in Disney, nel cui dipartimento d'animazione si era messo al lavoro, assieme al coetaneo Glen Keane, su una breve sequenza animata in cui i personaggi, realizzati a mano, si muovevano in un ambiente completamente digitale. Fortunatamente, questo test d'animazione, avente come soggetto il brevissimo romanzo per ragazzi Where the Wild Things Are, non è andato perduto e, visionandolo, stupisce quanto la resa finale fosse ineccepibile, almeno per l'epoca. Ma, si sa, le novità spaventano e agli Studios iniziò a diffondersi la preoccupazione che il computer potesse, nel giro di pochi anni, sostituire gli animatori in carne ed ossa e così la timorosa dirigenza dell'epoca cestinò l'idea di Lasseter e lo licenziò. Il resto è storia: John entrò ben presto a far parte della neonata Pixar, allora parte della Lucasfilm di George Lucas, e, vent'anni dopo, sarebbe tornato in Disney da trionfatore. Il che è un peccato perchè appena un paio d'anni dopo la Casa del Topo avrebbe iniziato a lavorare con gli effetti speciali computerizzati per il film Taron e la Pentola Magica e, già nel 1987, forse per via del successo che frattanto riscuoteva la Pixar, venne distribuito il primo cortometraggio animato totalmente al computer, Oilspot and Lipstick. Non si sa molto di questo corto che, esattamente come per Fun with Mr. Future e i futuri Lorenzo e Glago's Guest, non ha mai raggiunto il grande pubblico, nonostante qualche anno fa ne circolasse una versione su eMule. La storia, a quanto pare, era molto molto semplice e trattava della love-story tra due animali di spazzatura che vivono in una discarica. Un soggetto assai adatto alla neonata tecnica proprio per la natura stessa dei protagonisti, oggetti le cui forme poligonali potevano essere rappresentate con facilità. Tuttavia, la Disney, in seguito, avrebbe accantonato temporaneamente questa produzione in CGI, puntando tutto quella in animazione tradizionale, anche se il computer verrà massicciamente usato per gli effetti speciali. Nonostante ciò, comunque, ogni tanto le produzioni in computer-grafica avrebbero fatto capolino qua e là, proponendo corto (Off His Rockers, 1992) e lungometraggi (Dinosauri, 2000). L'anno di svolta è, però, il 2004: è allora che il CEO della Walt Disney Company Michael Eisner, a seguito dei tiepidi successi che avevano riscosso gli ultimi prodotti degli Studios in 2D ed osservando da lontano i trionfi delle opere in CGI di Pixar e Dreamworks, prende la folle decisione di chiudere la produzione disneyana in animazione tradizionale, puntando tutto sulla computer-grafica. Per nostra fortuna i tempi sono cambiati, anche per merito dello stesso Lasseter, eppure la dicotomia 2D-CGI non ha ancora trovato piena soluzione in Disney, anche se prodotti innovativi, come il recentissimo Paperman, fanno sperare in un futuro davvero roseo.
                          « Ultima modifica: Giovedì 28 Feb 2013, 15:36:21 da JAMPY318 »

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                            Re: Cortometraggi Disney
                            Risposta #132: Venerdì 1 Mar 2013, 15:14:37
                            Off His Rockers 1992

                            Off His Rockers è un corto molto particolare per svariati motivi. Per prima cosa, è l'unico Special Cartoon ad uscire nel corso degli anni '90 e la cosa è strana, dato che quello fu un periodo d'oro per l'animazione disneyana. Molto probabilmente gli Studios preferirono puntare tutto sui lungometraggi che, uscendo al ritmo di uno all'anno, assorbivano tutte le energie creative degli artisti. Un secondo motivo che rende insolito questo short è la sua origine produttiva. Con la ripresa di una massiccia produzione animata, seguita ai successi che la Disney incominciò a riscuotere a partire dalla seconda metà degli anni '80, vi fu la necessità di ingrandire la realtà produttiva degli studi d'animazione: la Walt Disney Television Animation aprì una succursale in Francia, gli Studi MovieToons, diretti dai fratelli Brizzi, mentre la Walt Disney Feature Animation ne inaugurò un'altra in Florida nel 1989. E Off His Rockers fu il primo lavoro realizzato da questo neonato dipartimento che, in seguito, avrebbe firmato lavori come Mulan, Lilo & Stitch e Koda Fratello Orso. E, per finire, Off His Rockers è il secondo lavoro della Disney, dopo Oilspot and Lipstick a presentare personaggi realizzati completamente in CGI, tecnica perfetta per il soggetto dello short che tratta di un cavallo a dondolo, ormai messo da parte, che tenta di attirare l'attenzione del bambino a cui appartiene, inebetito ormai dai videogiochi. Una vicenda che, per certi versi, anticipa le tematiche di Toy Story, proponendo quella stessa malinconia legata al tempo che passa e che cambia le cose. Naturalmente, qui la cosa è trattata in maniera poco approfondita, anche per via della brevità del corto (appena 4 minuti e mezzo), ma una certa poesia di fondo traspare, non nascondendo un chiaro elogio alla fantasia e all'immaginazione, contrapposte ad un monotono videogame. L'animazione è di alto livello, anche se, al di là degli sfondi della sequenza finale e del bambino, tutto il resto è rigorosamente realizzato al computer e, nonostante non fosse ancira giunta la rivoluzione grafica della Pixar, tutto risulta animato e sviluppato perfettamente. Purtroppo il corto, diretto dal futuro regista di Mulan Barry Cook, non è mai stato distribuito in DVD o BD ma, fortunatamente, è facilmente reperibile in rete.

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                              Re: Cortometraggi Disney
                              Risposta #133: Venerdì 1 Mar 2013, 16:21:27
                              John Henry 2000

                              Otto anni separano Off His Rockers da John Henry, un periodo cruciale per l'animazione disneyana. Dopo aver sbancato ai botteghini con il quartetto di film costituito da La Sirenetta, La Bella e la Bestia, Aladdin e, soprattutto, Il Re Leone, aveva avuto inizio una parabola discendente per gli Studios, prima per problemi dirigenziali, poi per problemi di pubblico, che, all'indomani del Re Leone si era un po' stancato della formula del classico musical disneyano. E così, dopo un periodo di tiepidi successi, rappresentati da film come Pocahontas, Il Gobbo di Notre-Dame e Mulan, all'alba del nuovo millennio la WDFA cambio direzione, iniziando a puntare prevalentemente su prodotti sperimentali o, comunque, lontani dai musical dei primi anni '90. L'anno di svolta fu proprio il 2000, durante il quale vennero distribuiti, per la prima volta dal 1940, ben due classici, l'ambizioso Fantasia 2000 e l'atipico e rivoluzionario Dinosauri, inizialmente escluso dal novero delle produzioni canoniche degli Studi. Ma la sperimentazione, si sa, passa principalmente per i cortometraggi, banco di prova perfetto per nuove tecniche e idee. Ed ecco, quindi, dopo una pausa durante quasi un decennio, la ripresa della produzione di shorts, che si protrarrà fino ai giorni nostri. Il primo ad uscire è questa versione disneyana della storia del leggendario John Henry, lo spaccapietre più forte d'America. Una vicenda, dunque, molto simile a quelle già narrate tra gli anni '40 e '50 di Pecos Bill, Johnny Appleseed e Paul Bunyan. Ed è proprio con il mediometraggio del gigantesco boscaiolo che si hanno le maggiori somiglianze, soprattutto per quanto riguarda il finale: esattamente come in Paul Bunyan, anche qui si ha l'incontro-scontro tra uomo e macchina, tra tecnologia e tradizione, che si concretizza nella gara tra John ed un misterioso personaggio, a bordo di una macchina a vapore, a chi riesca per primo a piantare i chiodi di una ferrovia in costruzione. Quarant'anni di progresso stilistico, però, si fanno sentire e, difatti, al contrario del divertente mediometraggio su Bunyan, qui la faccenda si tinge di toni epici e drammatici: una scelta narrativa figlia dei grandi kolossal animati degli anni '90 che, rispetto al passato, privilegiavano maggiormente il pathos e la profondità emotiva dei personaggi. L'animazione, dal canto suo, appare molto particolare. Le sequenze iniziali che raccontano l'infanzia e la giovinezza di John sono infatti realizzate in uno stile grafico molto simile all'animazione ridotta degli anni '50, mentre la vicenda vera e propria presenta quella stessa "matitosità" tipica della tecnica xerox degli anni '60 e '70, conferendo ai disegni un aspetto particolarissimo. Il corto è diretto dal veterano Mark Henn (animatore di Jasmine e Mulan) e, purtroppo per noi, è stato distribuito per l'Home Video solo in una compilation, inedita da noi, dal titolo di Disney's American Legends, comprendente non solo John Henry, ma anche il segmento Johnny Appleseed, tratto da Lo Scrigno delle Sette Perle, il corto The Brave Engineer e il mediometraggio su Paul Bunyan.

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                                Re: Cortometraggi Disney
                                Risposta #134: Venerdì 1 Mar 2013, 20:31:32
                                Destino (Destino) 2003


                                [size=12]STORIA DI UN'IDEA
                                [/size]
                                Nel 1999, mentre gli Studi della Walt Disney Feature Animation stavano lavorando a Fantasia 2000, rispuntò fuori dagli Archivi Disney un vecchio progetto, ormai dimenticato, risalente a più di cinquant'anni prima. Si trattava degli storyboard di un cortometraggio animato che avrebbe visto la collaborazione del celeberrimo pittore surrealista Salvador Dalì. Dalì, che era solito recarsi molto spesso in America per i più svariati motivi, era noto agli ambienti hollywoodiani fin dagli anni '30 e già a metà degli anni '40 Alfred Hitchcock lo contattò per fargli dirigere e alcune scene a carattere onirico per il suo film Io ti Salverò. Fu proprio in quel periodo che conobbe Walt Disney che, prontamente, lo invitò agli Studios dove ebbe ben presto inizio una stretta collaborazione artistica. Messosi a lavoro con il talentuoso John Hench, nel giro di qualche mese Dalì abbozzò la storia e i disegni preparatori per il cortometraggio Destino che, però, non vide mai la luce. Le ragioni della mancata realizzazione non sono mai state chiarite del tutto, c'è chi parla di uno screzio tra Dalì e lo stesso Disney, chi, invece, ed è questa l'ipotesi più probabile, di mancanza di fondi dello Studio, uscito economicamente disastrato dal periodo bellico. Il ritrovamento di questo materiale d'archivio interessò molto il nipote di Walt, Roy Disney, che riprese in mano il progetto, affidandolo alla succursale parigina degli Studios. Fu un lavoro assai arduo, complicato dal fatto che il materiale di Hench e Dalì era stato archiviato alla rinfusa e, quindi, si faticò a trovare un filo logico che potesse collegare quella gran quantità di semplici bozzetti. Il risultato finale, però, ripagò ampiamente gli sforzi, guadagnandosi addirittura una nomination all'Oscar e il possibile inserimento in un ipotetico lungometraggio, Fantasia 2006, che, nelle idee di Roy, avrebbe dovuto portare avanti quel filone inaugurato da Fantasia e ripreso da Fantasia 2000, inserendo al suo interno uno sparuto gruppo di cortometraggi che, nel frattempo, erano stati messi in lavorazione. Alla fine, però, non se ne fece più niente e Destino, assieme ad altri lavori come Uno per Uno e Lorenzo, non venne più distribuito nei cinema. Per qualche tempo si vociferò di un intero volume dei Treasures appositamente dedicatogli, ma si dovette aspettare il 2010 e l'uscita della versione BD di Fantasia 2000 per poterlo visionare tra i contenuti speciali. E la cosa fu un vero evento qui in Italia, accresciuto da una mostra su Dalì a Roma, dove, tra le altre cose, si poteva visionare lo stesso Destino, e da una storia dedicatagli su Topolino, Topolino e il Surreale Viaggio nel Destino, ad opera di Roberto Gagnor e Giorgio Cavazzano.


                                [size=12]INCONTRO TRA DUE MONDI[/size]


                                Fin qui la storia. Ma il corto in sè per sè com'è? Be', Destino rappresenta una vera e propria anomalia produttiva all'interno della filmografia disneyana. Non solo per la sue travagliate vicende creative, ma anche, e soprattutto, per la sua natura di connubio tra arte ed animazione. Destino rappresenta, forse, un passo in avanti di quello che era il percorso creativo inaugurato da quel progetto colossale che era Fantasia e che, nelle intenzioni di Walt Disney, doveva elevare l'animazione al rango di vera e propria arte. Dopo l'incontro tra musica e disegni animati, si passava a quello con la pittura, non quella definita classica, ma quella delle avanguardie artistiche del Novecento che maggiormente potevano unirsi all'animazione disneyana. Il progetto assumeva, poi, carattere autoriale, visti i nomi, e già la stampa dell'epoca ne aveva intuito l'importanza, pressando Dalì e Disney per ottenere quante più informazioni possibili. Un altro elemento da non sottovalutare è, poi, lo stile dell'opera, molto più vicino ai gusti intellettuali europei che a quelli, forse meno raffinati, d'oltreoceano. D'altronde, non era certo la prima volta che Disney si avvicinava all'arte europea, dato che già per  Biancaneve e Pinocchio si era avvalso dei talenti di illustratori e pittori del calibro di Albert Hurter e Gustaf Tenngren. L'idea che dà il progetto  Destino, quindi, è quella di una grande occasione mancata che avrebbe permesso all'animazione disneyana di superare i propri limiti e proporre qualcosa di assolutamente nuovo.


                                [size=12]I KNOW NOW THAT YOU ARE MY DESTINO[/size]

                                L'aspetto che ha maggiormente sorpreso Roy Disney e il suo team alla fine della lavorazione era che il cortometraggio raccontasse una storia ben precisa e a prima vista, infatti, il materiale ritrovato poteva sembrare semplicemente una rielaborazione di opere daliniane, senza alcuna vicenda in mezzo. Naturalmente nulla è esplicito in quella che sarebbe dovuta essere una vera e propria opera d'arte animata che avrebbe dovuto rendere appieno il complesso stile di Dalì, fatto di incubi orrendi, ma anche di splendidi paesaggi onirici. Alcuni elementi, però, sono ben chiari e appaiono come gli unici punti di riferimento in questo caleidoscopio grafico: la storia d'amore fra i due protagonisti e loro caratterizzazioni. Crono, l'uomo, è un essere prigioniero del tempo che, però, ad un certo punto si ribella e riesce a liberarsi della propria simbolica prigione materiale. Dalhia, la donna, è una ballerina e il motore di tutta l'azione. Alla ricerca di sè stessa, si avventura in distese desertiche desolate e, è proprio il caso di dirlo, surreali. E' lei ad evolvere, a cambiare e questo suo mutamento viene simboleggiato dai frequenti cambi d'abito a cui è soggetta, fino a giungere alla sua incarnazione finale. In soldoni, una semplice storia d'amore che vede i due incontrarsi ma non riuscire mai a ricongiungersi, se non nel finale, in cui la loro unione assume, però, un carattere metaforico. Molto probabilmente, si tratta dell'elemento più disneyano, proprio in virtù della sua stessa semplicità, caratteristica narrativa della stragrande maggioranza delle opere dello Studio. Una semplicità complicata, però, proprio dal tocco di Dalì che inserisce una moltitudine di tematiche legate alle sue stesse opere che di semplice hanno ben poco.


                                [size=12]TRA RISPARMIO E SCELTE STILISTICHE[/size]

                                Ulteriori difficoltà si presentarono al team creativo allorchè si procedette alla fase dell'animazione. Il classico stile Disney non sarebbe stato adatto ad una produzione del genere. C'era bisogno di una resa grafica molto particolare, capace di catturare l'essenza dell'arte di Dalì e fonderla con elementi disneyani. In questo caso, i bozzetti di Hench e Dalì non potevano essere di aiuto proprio perchè semplici schizzi preparatori e, d'altronde, bisognava trovare il modo di riuscire ad individuare un punto di contatto tra l'animazione classica degli anni '40 e quella moderna degli anni 2000. Per superare queste difficoltà, venne scelto come regista l'animatore francese Dominique Monfery che, in virtù del proprio talento non solo nell'animazione, ma anche nel character design e nel disegno in generale, avrebbe potuto supervisionare il progetto in ogni sua fase. Monfery ridisegnò gli storyboard e decise di applicare precise scelte stilistiche nella lavorazione: per prima cosa, sarebbero dovute scomparire le linee di contorno di sfondi e personaggi; la resa pittorica, difatti, è determinata dai semplici colori e questa scelta permise di ottenere un risultato incredibilmente fedele ai dipinti di Dalì; la mancanza di linee, d'altronde, affidando la resa grafica solo ai colori e ai conseguenti giochi di chiaroscuro, donò alle forme una loro volumetricità, al punto che non si avverte alcuno stacco tra le sequenze e gli elementi realizzati a mano e quelli creati al computer. Raggiunto il risultato di dare corpo alle forme, rimanevano, però altri problemi, tra cui la caratterizzazione grafica dei protagonisti. Se per Crono non vi furono molti problemi, per Dahlia le cose erano diverse: nelle sue opere, Dalì non ritraeva donne esteticamente perfette, ma dall'aspetto ordinario. Per rendere al meglio lo spirito daliniano, quindi, la protagonista avrebbe dovuto essere bella, sì, ma non eccessivamente. Difatti, Dahlia è un perfetto compromesso tra queste due posizioni, esteticamente ideale, ma niente affatto irreale o fuori del comune nella sua bellezza. E', inoltre, l'unico personaggio ad avere in sè elementi più vicini allo stile disneyano, che vengono fuori prepotentemente in alcune sequenze, come quella della scalata della spirale, e che riguardano essenzialmente la sua recitazione ed espressività. Non tutte le problematiche grafiche vengono, però, risolte volontariamente, ed ecco che la scelta di animare alcune sequenze in slow-motion sfruttando ampiamente la tecnica della dissolvenza, inizialmente compiuta per motivi economici, si è rivelata un asso nella manica per gli animatori che, dopo aver visionato le prime scene girate in questa maniera, decisero di sfruttarla per buona parte del filmato per rendere maggiormente il senso dell'onirico, centrale in Dalì. La resa finale ha, quindi, del stupefacente, riuscendo a coniugare gli aspetti più disparati dei più diversi stili e tecniche d'animazione, offrendo un risultato a metà strada tra il gusto classico dell'animazione, che dona all'opera quel sapore d'altri tempi, e le moderne tendenze grafiche, che gli donano un aspetto attuale e tirato a nuovo. Un connubio perfettamente riuscito, dunque.


                                [size=12]PICCOLI E GRANDI TOCCHI DI STILE[/size]

                                Buona parte della particolarissima atmosfera di Destino si deve, però, a due precisi elementi: gli scenari tratti dall'intera iconografia daliniana e la scelta della colonna sonora. Per quanto riguarda il primo, è da elogiare la grande capacità degli artisti Disney di riproporre le opere di Dalì, non solo inserendole nel corto, ma rendendole parte integrante della storia. E' incredibile come i dipinti siano, alle volte, silenziosi spettatori della vicenda dei due innamorati, altre antagonisti o addirittura aiutanti dei protagonisti. In tutti e tre i casi, però, ciò che maggiormente emerge è la volumetricità di questi elementi che appaiono come solidi, materiali, e la cui presenza può essere, alle volte, pesantemente incombente. E nei momenti più cruciali, l'atmosfera è resa non solo dai personaggi o dalle opere di Dalì, ma anche dalla colonna sonora, scelta in maniera quantomai azzeccata. Destino è una vecchia canzone messicana, scritta da Armando Dominguez, dal sapore retrò, rassicurante alle volte, quanto straniante in altre. L'incisione qui usata, risalente addirittura al 1945, è stata oggetto di lunghe dispute nel team di Roy, tra chi voleva reinciderla e chi, invece, voleva usare proprio quella versione per ragioni artistiche. Ha avuto la meglio questa posizione e, per sottolineare questo aspetto vintage, è stato aggiunto, in apertura del brano, il suono di una puntina da giradischi. E l'effetto è a dir poco eccezionale.

                                Destino rappresenta sicuramente il simbolo di un'occasione mancata per gli Studi Disney di portare il proprio lavoro ad un livello superiore, quello della pura arte, a cui già Fantasia tendeva. Tuttavia, forse, i tempi non erano ancora abbastanza maturi per un progetto del genere. In fondo, lo stesso Classico Disney aveva fatto fiasco solo qualche anno prima e lo stile di Dalì non coincideva perfettamente con quelli del grande pubblico. E forse, siamo sempre nel campo delle ipotesi, ciò che Disney avrebbe guadagno nell'arte l'avrebbe perso nella comunicazione. Ma la storia non si fa con i sè e, alla fin della fiera, ciò che ci rimane è questo piccolo, originale ed unico gioiello animato.


                                « Ultima modifica: Sabato 2 Mar 2013, 10:12:32 da JAMPY318 »

                                 

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