Non è facile per me elaborare un ricordo che renda giustizia a Rodolfo Cimino. È un compito che si avvicina all’impossibile, e forse non avrò mai la mente abbastanza fredda per svolgerlo.
Mi vengono in ajuto gli innumerevoli interventi che mi hanno preceduto, che testimoniano la grandezza di questo autore, primo tra i disney italiani. E chi sostiene il contrario sbaglia, come direbbe di Barks qualcun altro.
Ma come posso ringraziare un uomo che ha influito cosí tanto sulle vite di cosí tante persone? Anche solo limitandosi agli aspetti esteriori, come già ha evidenziato Frank, che sono i piú immediatamente riconoscibili in chiunque lo abbia apprezzato. Parecchi degli italiani che esibiscono un vocabolario piú ampio della norma fin da bambini lo devono in larga parte a lui. Io stesso stupivo le maestre alle elementari con la mia proprietà di linguaggio; stupore che si trasformò in incredulità quando pochi anni fa commisi l’indelicatezza di confessare a una di esse donde provenisse tale proprietà. Fu indelicatezza perché fino allora aveva sempre attribuito a sé stessa il merito... ma però, a costo di deluderla, dovevo rendere a Cesare il suo. Soprattutto considerando che fino a tempi recenti nessuno glielo aveva reso: era questione di giustizia e onestà, proprio come nelle storie di Rodolfo.
Ecco, se c’è qualcosa per la quale davvero devo ringraziare Rodolfo Cimino è questa. Quel senso di giustizia cosmica, di retribuzione delle proprie azioni che prima o poi arriverà, ineluttabile. Che mi venne in soccorso in un periodo assai difficile della mia vita, e al quale devo la mia uscita da una china oltremodo pericolosa che le mie frequentazioni avevano preso. No, non credo proprio di esagerare affermando che a Rodolfo io devo letteralmente la mia attuale esistenza fisica. Naturalmente mi perdonerete se di ciò vi risparmierò i dettagli; ma avrete compreso che le ragioni del mio attaccamento alla sua figura vanno ben al di là della semplice ammirazione.
Nel marzo 2006 riuscii a trovare non so come la volontà di ringraziarlo di persona. Non feci altro che reperire il suo numero sul sito di paginebianche... e comporlo. Senza che avessi chissà che da dire, in realtà, com’è del resto timore di qualsiasi lettore si approcci col “suo autore”... Con mia enorme sorpresa, mi invitò direttamente a casa sua, senza troppi preamboli; aggiungendo che avrei potuto anche portare chi altri avessi voluto. Fu allora che ebbi l’ulteriore piacere di scoprire quanto l’uomo somigliasse all’idea che mi ero fatto di lui: ché l’appassionato nulla paventa piú della rivelazione che il proprio autore preferito non rispecchia in niente le idee di cui pare farsi alfiere nelle sue opere. Nel suo tipico stile “vecchia scuola”, ci rimpinzò di ogni sorta di squisitezze, lagnandosi al contempo che... non ne mangiavamo abbastanza! E per soprammercato, saputo che avrei dovuto affrontare un viaggio in treno di alcune ore per rincasare, pretese pure di farmi dei panini da portarmi dietro.
Da allora sono volati sei anni, in cui spesso ho fatto ritorno a quella tavola. Ho coinvolto altri amici con cui ci siamo divertiti e abbiamo passato ore ad ascoltare le storie che Rodolfo ci raccontava di persona, per poi farcene anche omaggio scritto. L’ultima volta che lo vedemmo fu a gennajo. In occasione di quella visita, incominciammo un lavoro che da tempo ci aveva richiesto: il riordino delle sue sceneggiature. Incredibili perle vennero fuori dagli armadietti in cui le serbava: storie inedite di Reginella,
Racconti attorno al fuoco, persino inusitati exploit con Paperinik; e chissà quante altre attendono, ché il lavoro è ancora lungi dall’essere terminato. E a questo punto, col permesso dei familiari, cercherò di portarlo a termine in sua memoria: ormai è un dovere.
Sabato scorso avremmo dovuto incontrarci un’altra volta. Sebbene fosse ormai costretto a letto da settembre, non volevo accettare l’evidenza: nella sua ultima telefonata, mercoledí 28 marzo, si scusò perché non sarebbe stato possibile vederci.
Arrivederci Rodolfo, e tranquillo: i semi che hai piantato in tutti noi continueranno a dare i loro frutti.
Sta’ a vedere.