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Pixar / Monopolio cinematografico della Disney
« il: Domenica 29 Dic 2019, 12:41:34 »
Sul Il Fatto Quotidiano del 23 dicembre è uscito un articolo (forse sarà disponibile anche sul sito) sul monopolio cinematografico della Disney.
Negli anni la Disney ha acquistato diritti e case di produzione di vari tipi (Pixar, Marvel, Lucasfilm, 21th Century Fox) e diretti a un pubblico eterogeneo,
ma ha applicato a tutti questi generi diversi la stessa politica editoriale che in Disney domina dai tempi di "Biancaneve".
Il risultato è un'omologazione nel trattare temi che tra loro sarebbero pure molto distanti e i risultati si vedono, per esempio, nella realizzazione dell'ultimo Star Wars,
lontanissimo dallo stile e dalla narrazione degli anni ottanta.
Insomma, la Disney sfornerebbe kolossal che devono piacere un po' a tutti e con le sue acquisizioni snatura altri filoni cinematografici
che in passato non le sarebbero mai appartenuti.
Il punto più interessante dell'articolo verte però sulla attività di lobby della Disney in materia di copyright:
la legislazione americana prevede che dopo 70 anni (e Topolino li ha superati) ogni prodotto creativo sia di proprietà di chiunque voglia trattarlo,
ma la Disney ha già fatto cambiare la legge due volte, nel 1976 e nel 1998. Vedremo cosa accadrà con la prossima scadenza nel 2024.
Inoltre, la Disney si oppone alla piena trasparenza sugli investimenti in lobbying, sulle donazioni politiche e per le elezioni presidenziali 2020
ha già investito 5 milioni di dollari.
Sono rimasto molto deluso da queste notizie: non mi aspettavo certo che la Disney fosse rimasta la stessa di quella creata da Walt e suo fratello Roy,
ma non mi aspettavo neppure che fosse una cinica multinazionale che elimina la concorrenza a colpi di acquisizioni dei concorrenti, invece che di sforzi creativi.
I remake del Re Leone, Dumbo(che comunque è stato un fiasco) e Alladin sono la dimostrazione di quanto non si investa più nella diversificazione e nella fantasia,
ma solo su prodotti ad alto riscontro di incasso, peraltro imposti alle sale cinematografiche, prodotti da cui la Disney riesce a ottenere anche una percentuale sui biglietti senza precedenti
(su Star Wars il 65%).
Sono tutti i sintomi di un monopolio contro cui negli Stati Uniti stanno iniziando a domandarsi se non sia un problema
e se non sia il caso di intervenire a colpi di leggi antitrust.
La DIsney, come Google, Amazon e Facebook, è troppo grande e potente, senza concorrenza non c'è bisogno di fare sforzi, salgono i prezzi e scende la qualità.
Negli anni novanta la Disney produceva in media 24 film all'anno, ora è scesa a 12 (nonostante le numerose acquisizioni).
Per finire in bellezza, l'amministratore delegato della Disney è Bob Iger, "spietato" affarista da anni stabilmente nel cerchio dell'1% più ricco del pianeta (ha un patrimonio di 700 milioni di dollari),
che persegue i profitti tramite acquisizioni invece che con l'innovazione e che punta ad acquisire i diritti di James Bond (magari faranno un crossover con Topolino agente segreto...)
Negli anni la Disney ha acquistato diritti e case di produzione di vari tipi (Pixar, Marvel, Lucasfilm, 21th Century Fox) e diretti a un pubblico eterogeneo,
ma ha applicato a tutti questi generi diversi la stessa politica editoriale che in Disney domina dai tempi di "Biancaneve".
Il risultato è un'omologazione nel trattare temi che tra loro sarebbero pure molto distanti e i risultati si vedono, per esempio, nella realizzazione dell'ultimo Star Wars,
lontanissimo dallo stile e dalla narrazione degli anni ottanta.
Insomma, la Disney sfornerebbe kolossal che devono piacere un po' a tutti e con le sue acquisizioni snatura altri filoni cinematografici
che in passato non le sarebbero mai appartenuti.
Il punto più interessante dell'articolo verte però sulla attività di lobby della Disney in materia di copyright:
la legislazione americana prevede che dopo 70 anni (e Topolino li ha superati) ogni prodotto creativo sia di proprietà di chiunque voglia trattarlo,
ma la Disney ha già fatto cambiare la legge due volte, nel 1976 e nel 1998. Vedremo cosa accadrà con la prossima scadenza nel 2024.
Inoltre, la Disney si oppone alla piena trasparenza sugli investimenti in lobbying, sulle donazioni politiche e per le elezioni presidenziali 2020
ha già investito 5 milioni di dollari.
Sono rimasto molto deluso da queste notizie: non mi aspettavo certo che la Disney fosse rimasta la stessa di quella creata da Walt e suo fratello Roy,
ma non mi aspettavo neppure che fosse una cinica multinazionale che elimina la concorrenza a colpi di acquisizioni dei concorrenti, invece che di sforzi creativi.
I remake del Re Leone, Dumbo(che comunque è stato un fiasco) e Alladin sono la dimostrazione di quanto non si investa più nella diversificazione e nella fantasia,
ma solo su prodotti ad alto riscontro di incasso, peraltro imposti alle sale cinematografiche, prodotti da cui la Disney riesce a ottenere anche una percentuale sui biglietti senza precedenti
(su Star Wars il 65%).
Sono tutti i sintomi di un monopolio contro cui negli Stati Uniti stanno iniziando a domandarsi se non sia un problema
e se non sia il caso di intervenire a colpi di leggi antitrust.
La DIsney, come Google, Amazon e Facebook, è troppo grande e potente, senza concorrenza non c'è bisogno di fare sforzi, salgono i prezzi e scende la qualità.
Negli anni novanta la Disney produceva in media 24 film all'anno, ora è scesa a 12 (nonostante le numerose acquisizioni).
Per finire in bellezza, l'amministratore delegato della Disney è Bob Iger, "spietato" affarista da anni stabilmente nel cerchio dell'1% più ricco del pianeta (ha un patrimonio di 700 milioni di dollari),
che persegue i profitti tramite acquisizioni invece che con l'innovazione e che punta ad acquisire i diritti di James Bond (magari faranno un crossover con Topolino agente segreto...)