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Scrittura creativa

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gabgia
Sceriffo di Valmitraglia
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    Scrittura creativa
    Lunedì 21 Mag 2012, 23:04:31
    Desideravo da un po' aprire questo topic. Non ne sono comunque del tutto convinto, ma pazienza, ci provo. Ovviamente, se ce ne fosse già uno come questo o simile, che i moderatori provvedano allo spostamento e che mi scusino (sinceramente, non sapevo se inserire questo messaggio in Le vostre opere, ma mi pare che lì si postino esclusivamente disegni e non vorrei confondere il tutto. Ma se agli altri parrà opportuno tale spostamento...).
    Attraverso questo vorrei sottoporre alla vostra attenzione dei racconti, dei testi o, più in generale, delle produzioni letterarie fatti da me. Un po' come fa Scroogey nel topic del progetto in realizzazione su Barks, solo che quello che faccio io non c'entra con i personaggi Disney e, ovviamente, è diverso. Con questa mia iniziativa vorrei che qualcuno mi desse suggerimenti, consigli, esprimesse considerazioni su quello che pubblicherò. O semplicemente che scrivesse la sua opinione, quello che pensa. Vi chiedo, però, di tenere presente la mia età (13) così da poterla rapportare al tutto. Non ho alcuna intenzione di ostentare o di vantarmi di alcunché, sia chiaro. Solo desideravo ritagliarmi un piccolo angolino per condividere con voi le mie passioni, oltre a quella per i fumetti Disney e quant'altro (tra le cose che vorrei fare da grande c'è anche il mestiere dello scrittore). Sono intenzionato a pubblicare qualcosa periodicamente, a periodi sempre diversi, anche lunghi. Ah, e ovviamente, ognuno può sentirsi pienamente libero di postare anche sue produzioni, s'intende! ;)
    Allora, che ne dite? Vi piace come idea?
    "Osservate l'ordine e l'armonia della natura, ragazzi! Il suo esempio invita al lavoro operoso, alla maestosa calma, al pacifico ragionamento! La natura è la mia grande maestra!" (Da "Paperino e la macchina ripetitrice", Mart

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    gabgia
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      Re: Scrittura creativa
      Risposta #1: Martedì 22 Mag 2012, 15:01:20
      Io intanto comincio a postare.
      Questo l'ho scritto il 19 aprile.
      Tramonto

      Vedo.
      Alzo lo sguardo verso il mare e vedo il tramonto, l’infinito tramonto che si staglia, e che è possibile vedere, sulla porzione di mare accessibile alla vista. E quel tramonto è talmente luminoso, talmente suggestivo che… mi immedesimo nelle particelle di luce pura che lo compongono, e… tutt’a un tratto, le mie incertezze svaniscono e si sciolgono come neve al Sole. Le mie paure, i miei rimpianti, i miei rimorsi si appartano, per lasciare il meritato spazio, per quei magici secondi, allo splendore ed alla magnificenza di quel meraviglioso e struggente fenomeno naturale che illumina i miei occhi, che si impreziosiscono, nel percepire quella vista che non ha eguali.
      Le mie emozioni, da quelle più belle a quelle più brutte, si condensano, si uniscono fino a formare un tutt’uno, che si incanala nelle sensazioni di innocente smarrimento, di melensa ma unica e speciale ingenuità che provo, e che mi fanno tornare bambino, mi fanno tornare ai bei momenti dell’infanzia, quando ogni problema era minore, tutto era bello, vedevo tutto con gli occhi propri di quel fanciullo che ero.
      Mi fermo ancora un po’, voglio godermi appieno questa porzione di tempo che la vita mi regala e che mi rende possibile vivere, in tutte le sue sfaccettature. I miei pensieri vanno tutti a contemplare la superiorità, rispetto ad ogni altra cosa, di quello che sto osservando, ammaliato, affascinato, rapito, colpito e, in un certo senso, ipnotizzato da quel fascio di luce che illumina il mio viso e tutto quello su cui, libero e leggero come una farfalla, riesce a posarsi.
      Tutto questo è fantastico, e io rimango lì, come un bambino che chiede l’acquisto del suo giochino preferito e lo ottiene subito, con la stessa faccia, con lo stesso atteggiamento, ma forse anche più estasiato perché in questo caso non mi viene donato un mero e semplice oggetto, ma un qualcosa di molto più prezioso e raro, che nessuno può vendere e che nessuno può comprare, nemmeno il miliardario più miliardario tra tutti i miliardari mai esistiti: la pace con me stesso, la serenità, lo smarrimento in quegli attimi che ti cambiano lo stato d’animo, e dopo vedi tutto con un occhio diverso, tutto come un regalo. Perché è così.
      Nessuno potrà mai rubarmi le sensazioni e le emozioni che provo e che mi trasmette, dolcemente e delicatamente come un morbido cuscino su cui ti appoggi, e per fortuna, perché sono tra le cose più semplici ma, al tempo stesso, più complesse che una persona ha la possibilità di vivere.
      E queste cose sono da tenere strette, da essere tenute calde tra le braccia, perché in tal modo si possano amplificare ancor di più, sono da coccolare, da accudire, da conservare, poiché così, nei futuri momenti più bui della vita, ci possiamo ricordare pienamente di esse e, di conseguenza, ci rischiarino le amare oscurità dell’anima che in quei momenti ci attanagliano, ci stringono, ci impediscono di respirare e di vivere.
      Mi piacerebbe che tutto questo non finisse mai, vorrei lasciarmi per sempre tutti i problemi alle spalle, ma purtroppo non potrà mai essere così, e allora il Sole scende definitivamente sotto l’orizzonte ed ogni cosa termina, ma tornerò alla vita normale stando meglio, più calmo, sereno e riflessivo, ed ogni volta che vorrò so che potrò tornare qui, sempre qui, per riassaporare questa dimensione parallela in cui mi trasporta, volando come una piccola farfallina innocente, il tramonto, sorvolando tutti i problemi librandomi nel cielo stellato.

      « Ultima modifica: Mercoledì 23 Mag 2012, 19:31:52 da gabgia »
      "Osservate l'ordine e l'armonia della natura, ragazzi! Il suo esempio invita al lavoro operoso, alla maestosa calma, al pacifico ragionamento! La natura è la mia grande maestra!" (Da "Paperino e la macchina ripetitrice", Mart

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      Dippy
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        Re: Scrittura creativa
        Risposta #2: Martedì 22 Mag 2012, 18:57:48
        Accidenti gabgia, hai davvero tredici anni? Avessi scritto io queste parole al liceo... dico davvero, presi un voto più alto nella versione di greco (che botta che era) che nel tema di italiano!
        Tornando in... tema, chiedi delle opinioni, pareri, suggerimenti e dunque, molto umilmente, vorrei dartene qualcuno.
        Quello che scrivi è molto bello e interessante, anche se non nuova è l'idea di creare parallelismi tra gli eventi naturali e gli stati d'animo. Anch'io ho fatto qualcosa di simile in passato, ma sotto forma di haiku. Se ti interessano queste tematiche, potresti provarci, mi pare di vedere una certa sensibilità nelle tue parole, penso che la poesia potrebbe adattarsi bene a come scrivi.
        E qui mi permetto di fare qualche piccola nota o appunto: mi sembra (ma mi riferisco solo a questo testo, sia chiaro!), che certi concetti siano espressi in maniera troppo estesa, con troppi aggettivi (il che non è un male, ma a lungo andare può rendere più pesante le lettura). Fossi in te proverei a essere un po' meno lungo.
        Ma quel che più conta, questo è solo il mio parere... se scrivi così a tredici anni...! :)

        P.S: pensato di cambiare il titolo in "tramonto"?
        « Ultima modifica: Martedì 22 Mag 2012, 19:02:51 da Dippy_the_Dawg »
        Sappiate che tutte le cose sono così: un miraggio, un castello di nubi... Nulla è come appare  -  Buddha

        https://ilnumeroprimopiugrande.wordpress.com

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          Re: Scrittura creativa
          Risposta #3: Mercoledì 23 Mag 2012, 19:30:05
          Accidenti gabgia, hai davvero tredici anni? Avessi scritto io queste parole al liceo... dico davvero, presi un voto più alto nella versione di greco (che botta che era) che nel tema di italiano!
          Tornando in... tema, chiedi delle opinioni, pareri, suggerimenti e dunque, molto umilmente, vorrei dartene qualcuno.
          Quello che scrivi è molto bello e interessante, anche se non nuova è l'idea di creare parallelismi tra gli eventi naturali e gli stati d'animo. Anch'io ho fatto qualcosa di simile in passato, ma sotto forma di haiku. Se ti interessano queste tematiche, potresti provarci, mi pare di vedere una certa sensibilità nelle tue parole, penso che la poesia potrebbe adattarsi bene a come scrivi.
          E qui mi permetto di fare qualche piccola nota o appunto: mi sembra (ma mi riferisco solo a questo testo, sia chiaro!), che certi concetti siano espressi in maniera troppo estesa, con troppi aggettivi (il che non è un male, ma a lungo andare può rendere più pesante le lettura). Fossi in te proverei a essere un po' meno lungo.
          Ma quel che più conta, questo è solo il mio parere... se scrivi così a tredici anni...! :)

          Grazie mille, Dippy! :)
          Terrò a mente i consigli e gli appunti da te scritti, per il futuro.

          Citazione
          P.S: pensato di cambiare il titolo in "tramonto"?

          Veramente no, ma mi sembra una buona idea. Avevo utilizzato il titolo Vedo perché si collega con l'inizio ed ha comunque un rapporto con il resto del testo, ma effettivamente non così marcato, e poi il tramonto è al centro di tutto. Modifico il post.
          Grazie ancora. ;)
          A stasera per un altro testo!
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            Risposta #4: Mercoledì 23 Mag 2012, 22:39:22
            A stasera per un altro testo!

            Eccolo.
            Notte stellata
            E’ una notte stellata. Io mi ritrovo a guardare il cielo, non con macchinari e quant’altro, ma ad occhio nudo. E provo una sensazione strana, inedita. Non mi ero mai accorto di quanto fosse bello il cielo, guardato in questo modo, prima d’ora. Pensando questo, continuo a scrutare ogni più piccolo angolo del firmamento, lasciando che mi trasmetta le sensazioni di liricità, poesia e tranquillità.
            Non c’è una nuvola. Ormai mi sta venendo il torcicollo, ma non intendo distogliere lo sguardo da quella magnificenza. Nel momento in cui osservo estasiato l’immensità del blu puntinato di bianco che si staglia su di me, immagino che una, due, tre, quattro, cinque stelle mi cadano addosso. Ma non mi fanno male, no, per niente, anzi, sono mie amiche e mi danzano attorno, come bambini che giocano felici. Vedo le note musicali attorno a me.
            Il tutto forma una circonferenza in continuo movimento e avvolta da un’aura talmente luminosa che si riproduce simmetricamente lì in alto, nel cielo, facendo risaltare ancora di più questa strana situazione, quasi come mi trovassi in un Universo onirico.
            E’ una sensazione magica, che mi trasporta su e giù, emozionalmente parlando, e mi unisco anch’io a questa danza, che non è volgare, ma, al contrario, è raffinata, non forzata, ma provocata dal flusso incontrastato di sentimenti e di emozioni, dal quale mi lascio trascinare. E mi ritrovo piacevolmente in balìa di questa situazione, non penso ad altro, i problemi svaniscono. Desidero che questo non finisca mai, ma purtroppo non potrà mai essere così. Ad un tratto odo una voce. E’ mio padre. La cena è pronta, mi dice. Così tutto finisce, ma non per sempre.
            Almeno spero.
            « Ultima modifica: Venerdì 8 Giu 2012, 20:17:45 da gabgia »
            "Osservate l'ordine e l'armonia della natura, ragazzi! Il suo esempio invita al lavoro operoso, alla maestosa calma, al pacifico ragionamento! La natura è la mia grande maestra!" (Da "Paperino e la macchina ripetitrice", Mart

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              Risposta #5: Sabato 26 Mag 2012, 21:26:39
              Vai così! Ma evita discoteche, puff! o cose simili, che secondo me rovinano l'insieme, in cui si parla di tutt'altro!
              Sappiate che tutte le cose sono così: un miraggio, un castello di nubi... Nulla è come appare  -  Buddha

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                Risposta #6: Domenica 27 Mag 2012, 00:14:14
                Vai così! Ma evita discoteche, puff! o cose simili, che secondo me rovinano l'insieme, in cui si parla di tutt'altro!

                In effetti stonano. Prossimamente provvederò a modificare.
                Fatto. ;)
                Intanto, ecco un altro racconto, da pochi minuti finito di scrivere.

                Il prato "incantato"
                Io e la mia famiglia siamo andati a fare una gita, stamattina. Per fuggire dalla routine quotidiana, ammazzare lo stress e nutrire di nuova linfa vitale la nostra tranquillità. Arrivati sul posto, un luogo totalmente disabitato nel raggio di qualche centinaio di metri e completamente immerso nel verde più armonioso che mai, ci siamo sistemati. Dopo un po’, gli altri si sono messi a dormire.
                E con loro anch’io. Chiusi gli occhi, mi sono ritrovato nello stesso luogo, però da solo. Due soli colori regnavano incontrastati: il verde, in tutte le sue sfumature, e l’azzurro del cielo, totalmente privo di qualsivoglia accenno alla presenza di nuvole. I due si sono presi per mano, sono corsi verso di me e mi hanno preso, trascinandomi con delicatezza e grazia. Tutto ciò mi lasciava esterrefatto, ma nel contempo mi ispirava una sorta di fiducia intrinseca e inconsapevole, ragion per cui non ho fatto una piega e mi sono tuffato con loro nell’immenso oceano senza confini dell’immaginazione e della fantasia, messo in questo caso alle dipendenze del sogno, che infinite cose ha da offrire.
                 Tutt’a un tratto mi hanno lasciato e se ne sono andati via, lasciando sul loro cammino una scia simile all’arcobaleno che mi ha attraversato donandomi immediatamente dei colori più accesi. Perché mi avevano lasciato solo? Be’, perché il viaggio era finito. Ero giunto a destinazione.
                Mi trovavo su un enorme dirupo che dava direttamente su un laghetto. Oltre il lago, una distesa infinita di verde, con vegetazione a non finire. Ho guardato l’orizzonte e non ho visto nient’altro che quello. C’era solo quello. Dietro di me? Niente. O, meglio, il bianco più candido e immacolato.
                I miei occhi si perdevano dietro a tutto quello: il mio sguardo tentava in ogni modo di inseguirlo, ma non ci riusciva. Non si faceva raggiungere. Inutile insistere.
                Cosa potevo fare in quella situazione, oltre a contemplare l’ambiente che si stagliava davanti a me? Che domande: andare a osservarlo più da vicino, ovverossia lanciarmi dal burrone. Era tutto così strano, ma proprio tanto: non provavo alcuna sensazione di paura o terrore. Eppure ero sul ciglio del precipizio! Io che soffro molto di vertigini, che rabbrividisco al solo pensare di trovarmi in una situazione del genere!
                Ma ci sono cose, nella vita, che non devono essere spiegate: altrimenti perdono in fatto di poesia, di emozioni trasmesse. Questa era proprio una di quelle.
                Mi sono buttato. Senza pensarci di nuovo, mi sono lanciato, incurante delle conseguenze, guidato dalle ali della fantasia e trasportato dal vento tiepido. Mi sentivo leggero come una piuma, anzi, di più. Ero inconsistente, ma c’ero. Proprio come i pensieri.
                Sono atterrato perfettamente incolume su un piccolo prato. Ho riacquistato consistenza, e mi sono buttato sul manto erboso. Sopra di me, il cielo era coperto dalla chioma degli alberi. Dopo essere stato un po’ lì a riposare, mi sono incamminato. Macinavo decine e decine di metri, lasciandomi inebriare dal vento umido e delicato e dal dolce aroma emanato dalle piante, che costellavano i sentieri nei quali passavo.
                Non mi sono più svegliato. Forse è stato meglio così.

                « Ultima modifica: Venerdì 8 Giu 2012, 20:19:21 da gabgia »
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                  Re: Scrittura creativa
                  Risposta #7: Venerdì 8 Giu 2012, 21:43:52
                  Altro testo, anche questo da pochi minuti finito di scrivere.

                  La fine del genere umano
                  Anno 3745. Per il pianeta Terra era giunta la fine. Ormai era stata definitivamente affossata ogni possibilità di salvezza, a causa degli umani, che non seppero gestire le problematiche ambientali, politiche ed economiche. La struttura politica terrestre si era fossilizzata: dittature su dittature si susseguivano in tutti gli Stati. La terza guerra mondiale era stata combattuta. La ragione? La scarsità d’acqua. Le fonti energetiche erano state ipersfruttate, l’atmosfera inquinata dalle scorie spaziali e dall’inquinamento sempre crescente. Non si riuscirono ad utilizzare adeguatamente le fonti energetiche rinnovabili. Quelle non rinnovabili erano quasi terminate, dopo una lunga successione di disastri nucleari che avevano permesso il lento ma inesorabile proliferare di cancri e malformazioni varie.
                  Ma tutto questo non aveva più alcuna importanza, ormai. Perché un’invasione aliena aveva spazzato via tutti gli esseri viventi che popolavano il terzo pianeta del Sistema Solare. Una pioggia di navicelle spaziali e astronavi si era abbattuta sul corpo celeste, radendo al suolo tutto ciò che incontrava sul suo percorso. Nessuno si sarebbe dovuto sottrarre alla ria sorte che attendeva tutti, dal primo all’ultimo. Un genocidio di proporzioni inimmaginabili si consumò. La fine fu lenta e straziante. Un’agonia dolorosa compiuta dagli abitanti del  pianeta Zontius, situato in una galassia lontana migliaia di anni luce. Un abominevole sterminio, o probabilmente un’eutanasia provvidenzialmente arrivata. Ogni essere umano era stato ucciso. L’estinzione era avvenuta.
                  Almeno così pensavano gli extraterrestri. Una persona era stata miracolosamente risparmiata dal suo già deciso destino. Un uomo sulla quarantina, una persona normale. Ma cosa avrebbe potuto fare? Con il  ritorno in patria dei malvagi sterminatori, lui era rimasto solo, una goccia limpida in uno sconfinato oceano nero. La solitudine l’aveva afferrato con la sua micidiale presa, trasportandolo lentamente fino alla disperazione. L’ultima creatura terrestre.
                  Si incamminò; ad ogni passo che faceva si acuivano le sensazioni che provava, in un progressivo crescendo che l’avrebbe condotto al suicidio. Ovunque il suo sguardo si posasse, riusciva a vedere solo macerie, distruzione e desolazione. Il silenzio che regnava sovrano ed incontrastato era per lui più assordante di un aereo in partenza.
                  A un tratto sentì come una fitta. Era il petto. Cascò a terra, con gli occhi vitrei e lo sguardo spento che abitavano il suo volto.
                  Per il genere umano era finita. Questa volta per sempre.
                  « Ultima modifica: Venerdì 8 Giu 2012, 21:48:25 da gabgia »
                  "Osservate l'ordine e l'armonia della natura, ragazzi! Il suo esempio invita al lavoro operoso, alla maestosa calma, al pacifico ragionamento! La natura è la mia grande maestra!" (Da "Paperino e la macchina ripetitrice", Mart

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                    Risposta #8: Venerdì 8 Giu 2012, 22:12:57
                    Uhm, gli ultimi due racconti mi hanno lasciato un po' inquieto, soprattutto l'ultimo... Non riesco a non pensare che ci sia della malinconia di fondo, nei tuoi testi...
                    « Ultima modifica: Venerdì 8 Giu 2012, 22:13:14 da Dippy_the_Dawg »
                    Sappiate che tutte le cose sono così: un miraggio, un castello di nubi... Nulla è come appare  -  Buddha

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                      Re: Scrittura creativa
                      Risposta #9: Martedì 3 Lug 2012, 22:17:28
                      Uhm, gli ultimi due racconti mi hanno lasciato un po' inquieto, soprattutto l'ultimo... Non riesco a non pensare che ci sia della malinconia di fondo, nei tuoi testi...

                      Be', lo scopo è anche quello di provocare emozioni al lettore, di "colpirlo", metaforicamente parlando ovviamente, di stupirlo. ;)
                      Ma ecco un altro testo:
                      UNA MAGNIFICA ALCHIMIA

                      Oggi sono andato al mare. Sono in vacanza. La mattina presto sono andato in spiaggia, mi sono sistemato con la mia famiglia e via, verso la sterminata distesa d’acqua che ci sta di fronte. Mi incammino, con passi decisi ma allo stesso tempo morbidi, per assaporare al meglio la freschezza della sabbia da poco baciata dai caldi raggi del Sole. Ho quasi raggiunto l’acqua, quando una timida onda, lenta e delicata, tenta di afferrarmi il piede e, subito dopo, se ne torna da dove era venuta. Continuo ad avanzare, e mi ritrovo con i piedi completamente immersi, con l’acqua che mi arriva fino alle caviglie. Mi fermo, con gli occhi chiusi. Le sensazioni sono magnifiche: la tranquillità, la quiete sono talmente nitide che si possono prendere in mano e portare a casa, conservare. La piacevole, fresca e inebriante brezza marina accentua il senso di benessere che mi ricopre, come un magico campo di forza gigante. Il Sole accarezza il mio corpo con una tale sensibilità, che pare quasi un massaggio rilassante. Per qualche minuto io non appartengo più a questo mondo, sono in una dimensione parallela che ho creato con l’aiuto della fantasia. Il mio pensiero va unicamente lì.  Il cielo, tutto azzurro con qualche pennellata di bianco corrispondente a candide nuvolette, contempla con me la situazione. Mi sento talmente bene che sto per addormentarmi. Riapro gli occhi e vedo tutto diverso. Tutto mi sembra migliore. Tutto è migliore, perché un arcobaleno ha appena attraversato questo tratto di mare.
                      Che bello.

                      ---

                      E ci aggiungo questo:
                      RACCOLTA DI METAFORE E RIFLESSIONI
                      [/b]

                      La timidezza è un genio che va compreso e apprezzato.

                      La paura è un bambino che va coccolato e rassicurato.

                      La malattia è un parassita che non si ferma davanti a niente, progredisce sfrenatamente fino a quando non ha terminato il suo compito, risucchiando la vita in un misterioso vortice permeato di terrore e sofferenza.

                      La vita è un disegno. Per alcuni è chiaro e nitido, altri non lo capiscono bene e ci mettono anni a comprenderlo, altri ancora non riescono proprio a interpretarlo. Basta strappare il foglio perché il disegno scompaia. Pertanto questo benedetto foglio va tenuto bene, senza ungerlo, stropicciarlo o far sbavare l’inchiostro, altrimenti il disegno si rovina e niente ha più un senso.

                      Il dolore è un profondo baratro, un pozzo senza fine. Solo superandolo se ne esce. Alcuni dolori passano, altri restano: una cicatrice dolorosa che ogni tanto torna a farsi sentire. Basta stuzzicarla. Non si fa aspettare più di tanto.

                      La felicità è un arcobaleno su un mare di certezze, sotto un cielo azzurro di dolcezza e serenità, in un mondo fantastico.

                      La vita è un libro tutto da scrivere, una maratona tutta da correre,  una partita tutta da giocare. Può andare bene o male, come tutte le cose, ma l’importante è la consapevolezza di avercela messa tutta, dall’inizio alla fine, di non avere rimpianti, di avere sempre fatto la cosa giusta.

                      La nostalgia talvolta è giusta, sarebbe strano se non ci fosse. Ma non deve essere esagerata. Ormai i tempi passati sono finiti, non esisteranno mai più, se non con qualche strascico. Adagiarsi e ristagnare nel ricordo dei bei tempi andati a lungo andare può essere deleterio. Certo, fa sempre piacere rammentare i begli episodi della vita, della giovinezza. Ma, secondo me, se ci si concentra più sulle cose belle del passato che sul presente, quest’ultimo apparirà più brutto e ciò spingerà ad avere un atteggiamento un po’ più pessimistico nei confronti della vita odierna. E questo non deve accadere.

                      Il rimpianto e il rimorso sono brutti. Possono logorare l’anima. Se, poi, riguardano cose importantissime della vita, possono persino spingere ad atti inconsulti, a gesti estremi. Sono come forbici che cominciano a tagliare il fragile tessuto dell’anima  e non si fermano, non si sa per quale motivo, ma continuano inesorabilmente e senza freni.

                      La tristezza è un deserto sterminato, disabitato. Una spiaggia di ossa secche, di corpi senza vita. Un mare completamente inquinato. Un cielo nero senza stelle. Un incendio in una foresta. E tante altre cose, purtroppo.

                      La sofferenza corrode lo spirito, talvolta lascia un segno indelebile che non si potrà mai rimuovere, perché, anche se non rimanesse sul corpo, continuerebbe ad esistere attraverso il ricordo, che la potrebbe far ritornare in qualunque istante, ridonandole linfa vitale, e permettendole in questo modo di continuare a svolgere il suo terribile e deplorevole compito, che è doppiamente malvagio: far male e far ritornare a stare male ogni volta che il ricordo glielo permette. Oltre al danno, la beffa, come si suol dire.

                      Il piacere è un’onda di acqua fresca che ti investe e accarezza dolcemente.

                      « Ultima modifica: Martedì 3 Lug 2012, 22:27:18 da gabgia »
                      "Osservate l'ordine e l'armonia della natura, ragazzi! Il suo esempio invita al lavoro operoso, alla maestosa calma, al pacifico ragionamento! La natura è la mia grande maestra!" (Da "Paperino e la macchina ripetitrice", Mart

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                        Re: Scrittura creativa
                        Risposta #10: Martedì 10 Lug 2012, 22:53:23
                        Appena finito di scrivere.
                        CHI LA FA L'ASPETTI
                        [/b]

                        Siamo in un tranquillo ristorante di periferia. Ma c’è un particolare: esso è lontano da qualsiasi altro edificio. Non se ne conosce il motivo. Sembra di essere in mezzo ad un deserto asfaltato. Chi viene qui ci viene per cercare pace e tranquillità. S’è d’inverno, la sera è buia come non lo è mai stata. Ora di cena: il locale non è particolarmente affollato, ma comunque accoglie un discreto numero di clienti che, tranquilli e sereni, ma soprattutto totalmente ignari di ciò che sta per accadere loro, consumano il loro pasto. Si sente il classico brusio da folla, tipico di un gruppo di persone che confabulano tra loro. Tutto tranquillo, fino a questo momento.
                        Fino a questo momento, per l’appunto. Perché poi tutto cambia. Tutt’a un tratto, il fastidioso ma inevitabile brusio si interrompe. Si interrompe perché viene spezzato da un rumore di passi. Passi che si avvicinano. Ma non è un comune rumore di passi. Eh, no. Questo è troppo pesante per essere un comune e normale rumore di passi. Sono passi pesanti, si avvertono a metri di distanza con una inusitata facilità. Passi di piedi che si infrangono sulla strada non più asfaltata da chissà quanto tempo con una violenza incredibile. All’interno del ristorante la tensione si taglia a fette col coltello. Di plastica.
                        Tutti si voltano appena lo odono, anche il ragnetto sulla parete e il moscerino. Ogni sguardo è rivolto verso la porta. I passi aumentano, il tizio sta camminando più veloce, si sente scricchiolare. Colpa della strada vecchia e non curata. Il momento tanto agognato (ma anche no) sta per arrivare. Sta per entrare.
                        Rullo di tamburi (di circostanza, ma puramente immaginario)…
                        La porta cade giù, brutalmente e spudoratamente sfondata dal tale, che entra, lasciando tutti a bocca aperta.
                        Sospiro di sollievo, è un clown giocherellone. Era tutta una messinscena frutto della fantasia dei gestori del locale che, sfruttando la posizione dello stesso, hanno approfittato della situazione per divertirsi alle spalle dei clienti e per offrire loro un po’ di sana suspense; però evidentemente non hanno gradito, perché se ne vanno in massa urlando che non metteranno più piede lì, che scoraggeranno i conoscenti e che non sono cose che si fanno, in quanto si stava cominciando a temere che fosse un ladro o chissà cosa.
                        Il locale, ormai, è popolato solo dai gestori e dalle persone che vi lavorano. Improvvisamente entra una persona che, senza la benché minima esitazione, tira fuori dalla tasca una pistola e, minacciandoli, intima di versare gli incassi nel sacco da lui portato. Cosa che, ovviamente, avviene. Controlla e se ne va.
                        Morale della favola: chi la fa l’aspetti.

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                          Re: Scrittura creativa
                          Risposta #11: Venerdì 16 Ott 2015, 21:23:04
                          Giorni fa è stato il compleanno di Gabgia. Spinto da una segnalazione di Dippy, sono arrivato quaggiù e... diamine! Che bella scrittura! Scommetto che non scrive più sul forum perché è occupato a ritirare premi letterari! Specie poi se ricordiamo che all'epoca aveva tredici anni... Vivissimi complimenti!

                          Come regalo di compleanno (il beneficio è dubbio, l'intento sincero ;D) mi permetto di copiare alcune righe da un mio lavoro infernale, ancora (e per sempre) in corso di composizione, anche per sapere cosa ne pensate, se avete voglia.
                          Antefatto: 1470. Tjor e Cristiano, reggenti del trono di Svezia, ricevono l'incarico di trovare un erede per il trono, ma non quello svedese, bensì di Navarra. Ed ecco che finalmente il candidato viene trovato...

                          WIP...
                          « Ultima modifica: Lunedì 19 Ott 2015, 21:04:38 da A.Basettoni »

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                          Miriam
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                            Re: Racconti
                            Risposta #12: Domenica 3 Gen 2016, 13:36:07

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                              Re: Racconti
                              Risposta #13: Domenica 3 Gen 2016, 13:43:10
                              Citazione da: Topdetops link=1451824130/2#2 date=1451824627
                              Si'. Sei interessata a leggerli?

                              certo. ;) Magari postali in quel topic così tutti lo possono fare.

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                                Re: Scrittura creativa
                                Risposta #14: Martedì 5 Gen 2016, 19:06:10
                                Mi associo.

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                                  Re:Scrittura creativa
                                  Risposta #15: Mercoledì 28 Mar 2018, 21:40:43
                                  Adoro scrivere. E adoro Don Camillo, il personaggio inventato da Guareschi. Questo racconto, da me scritto, lo vede tra i personaggi, assieme al Cristo dell'Altar Maggiore. Ma il protagonista non è lui, no. I protagonisti sono un milionario americano e suo padre, i principali interpreti di una storia sconvolgente. Mi scuso fin d'ora per la lunghezza, ma mi piaceva l'idea di condividerlo con voi. Ecco quindi:

                                  Vecchia storia della Bassa
                                  “Certo che a New York e a Las Vegas non si respira l’aria che si respira qui.”
                                  L’auto svoltò a destra e si impantanò nel fango. Il fango della Bassa è una robaccia maledetta: ti cattura senza pietà e gioca con te come il gatto con il topolino; si prende gioco di te, facendoti credere di essere normale fango di qualsiasi altro posto del mondo, e poi… ti ghermisce con una presa d’acciaio, da cui non puoi fuggire. Il fango della Bassa è un gran gradasso ma, d’altro canto, ne ha ben donde. Tutte queste cose, lui le sapeva bene.
                                  “Porca vacca… mi tocca andare avanti a piedi”
                                  Dalla macchina scese un uomo sui venticinque-ventisei anni. Era vestito elegantemente: portava una giacca di cachemire, pantaloni di raso di seta e scarpe firmate. Lo sguardo, così come il portamento, era fiero. Sembrava che a quel giovane tutte le cose che nella vita terrena terrorizzano l’uomo, come la morte, la povertà e la guerra, non lo sfiorassero nemmeno. A vederlo non avresti mai detto che fosse nato e cresciuto da quelle parti.
                                  “Le mie scarpe…”
                                  Già, quelle scarpe autografate da ottocentoventidue euro e novantanove centesimi stavano lentamente affondando nella gioviale e simpatica melma padana. Senza perdere tempo, uscì da quella macchia di fango, prima che potesse avvinghiarsi con cordialità alle sue gambe, e si diresse verso i campi.

                                  Don Camillo era appena fuori dalla sua chiesetta, impegnato a prendere il sole. Trovare un sole così caldo e rassicurante in una giornata autunnale della Bassa, era un colpo di fortuna che sarebbe risultato difficile persino ad un Gastone Paperone qualsiasi. Immerso così nei suoi pensieri, don Camillo non si accorse subito dell’uomo che stava passando davanti a lui, fino a quando, per una pura casualità, non gli cadde lo sguardo sul giovane. E quello che vide lo fece rimanere a bocca spalancata.
                                  “Allora, don Camillo? Che ci fa lì con quell’espressione da pesce lesso?”
                                  Dopo qualche minuto, don Camillo rientrò in possesso del dono della parola.
                                  “Giacomino… s-sei proprio tu?”
                                  L’uomo che don Camillo aveva davanti era Giacomo Turone, detto Giacomino, per quanto da piccolo era gracile e minuto, figlio del più importante proprietario terriero della zona, il Turone. Giacomino era sempre stato un ragazzo buono come il pane, ma che spesso, quando era chierichetto di don Camillo, si faceva trascinare in cose più grandi di lui. Questo aveva fatto sì che il rapporto con suo padre fosse stato costruito e modellato solo a suon di scapaccioni. Spesso Giacomino non nascondeva di provare un odio profondo verso il padre, e così, all’età di diciannove anni, aveva fatto l’autostop fino a Genova, dove si era imbarcato clandestinamente su una nave mercantile per l’America. Da allora il figlio aveva tagliato i contatti con tutti gli abitanti del paese, genitori compresi, e nemmeno si sapeva se fosse sopravvissuto. E ora eccolo lì, davanti a don Camillo, che dalla sorpresa si reggeva a malapena in piedi.
                                  “Perché non ti sei più fatto sentire?” chiese don Camillo. “I tuoi erano preoccupati da morire.”
                                  “Che si preoccupi pure, quel vecchio bacucco. Non ci credo nemmeno se lo vedo. Ha il cuore arido come il deserto.”
                                  Don Camillo lo squadrò con attenzione: non era sicuro di volergli dire quello che stava per dirgli, ma qualcuno il lavoro sporco lo deve pur fare.
                                  “Hai saputo di tuo padre? Lui… lui sta per…”
                                  “Per schiattare, era ora. So tutto. Sono qui per questo.”
                                  Don Camillo intravide un leggerissimo bagliore di umanità.
                                  “E anche per sbattergli in faccia il mio successo! Sì, a quel maledetto. Diceva che andando avanti così nella vita non sarei riuscito a fare niente. E invece…”
                                  Il bagliore si spense all’improvviso.
                                  “Invece qualcosa l’ho fatto! Sono il più giovane milionario d’America! Ho fatto fortuna: investimenti, borsa, petrolio… E tra qualche anno potrei diventare uno degli uomini più ricchi del mondo!”
                                  “E chi l’ha detta questa cosa?”
                                  “Uno dei giornali più autorevoli d’America: il New York Times.”
                                  Don Camillo stette a guardarlo per un po’.
                                  “Senti, Giacomino, io sono solo un povero, ignorante prete di campagna, che al massimo mastica un po’ di latino, ma i giornali li leggo. Come mai non ho saputo nulla di te?”
                                  “Ho cambiato nome. Per loro sono Jacob Turner. Ho deciso di tagliare i ponti con il passato.”
                                  “Però intanto sei qui.”
                                  Giacomino gli lanciò un’occhiataccia.
                                  “Sì, per far finalmente schiattare d’invidia quel macaco ringalluzzito!”
                                  Stavolta fu don Camillo a guardarlo male.
                                  “Quarto comandamento: onora il padre e la madre.” borbottò don Camillo.
                                  “Con i vostri comandamenti ci faccio la birra. Non siete altro che un…”
                                  Giacomino imprecò e urlò cose che avrebbero fatto rizzare i capelli persino ad un calvo. Ma don Camillo non era un calvo.
                                  “Carissimo” disse pacatamente. “Se oserai ancora pronunciare quelle parole davanti ad un ministro di Dio o alla casa del Signore, ti appendo a quel palo laggiù e ti prendo a ceffoni a due a due fino a quando non diventano dispari.
                                  Nonostante non lo vedesse da anni, Giacomino si ricordava ancora perfettamente del gancio di don Camillo.  E, anche se erano passati più di cinque anni, non credeva che la potenza con la quale colpiva gente come il Brusco, l’uomo più forte della banda di Peppone, fosse diminuita, affatto. Così decise che forse era meglio filarsela, prima che don Camillo cambiasse idea e lo appendesse veramente a quel palo.
                                  “Con permesso” disse. E se ne andò verso i campi.
                                  Don Camillo stette a guardarlo fino a quando Giacomino non scomparì all’orizzonte.
                                  “Bah… gioventù moderna!” commentò, mentre rientrava in chiesa per sfogarsi con il Cristo dell’Altar Maggiore.

                                  Qualcuno bussò alla porta.
                                  “Chi sarà?” si chiese la moglie del Turone. Andò ad aprire e quando si ritrovò davanti al figlio rimase anche lei a bocca aperta, come don Camillo.
                                  “Giacomo… sei… sei proprio...”
                                  “Sì, mamma: sono io”
                                  La vecchia scoppiò a piangere per la commozione e si gettò sul figlio, stringendolo in un abbraccio fortissimo. Tante notti aveva sognato il ritorno del figliol prodigo; e adesso eccolo lì, davanti ai suoi occhi. Era al settimo cielo. Nonostante l’affetto che la madre stava riversando su di lui dopo tanto tempo, Giacomino era glaciale. Non un’emozione attraversava quell’espressione fredda.
                                  “Dove eri finito? Che hai fatto? Perché non…”
                                  “Dov’è papà?” chiese.
                                  La donna, improvvisamente, si rabbuiò.
                                  “E’ nella tua vecchia stanza. Lui è…”
                                  “Sono qui per questo”
                                  “Ormai non riesce più nemmeno a parlare. Ma non pensiamoci: ora dobbiamo essere felici, perché tu sei…”
                                  “Voglio andare da lui.”
                                  “Ma…”
                                  “Devo andare da lui”
                                  La vecchia si zittì.
                                  “Sta bene. Ti accompagno.”

                                  Don Camillo si sedette, si accese il suo solito toscano e, tra una boccata e l’altra, si alzava e si metteva a camminare nervosamente su e giù per  la sagrestia.
                                  “Don  Camillo, don Camillo” lo ammonì il Cristo dell’Altar Maggiore. “Sai bene che non dovresti fumare in chiesa.”
                                  “Certo che lo so bene, Signore. Ma sono così nervoso. Non immaginereste mai chi ho incontrato…”
                                  “Giacomo Turone, il figlio del Turone. Lo sai che io vedo tutto.”
                                  “So bene anche questo, Signore. Il punto è che è pieno di odio per i suoi genitori. Ho paura che…”
                                  “Di cosa hai paura, don Camillo?” gli chiese, anche se, ovviamente, lo sapeva.
                                  “Che potrebbe far fuori il vecchio prima che giunga la sua ora. Ecco, l’ho detto.”
                                  “La sua ora ormai sta per giungere. Non dovrebbe aspettare troppo.”
                                  “Signore, Giacomino è pazzo. E i pazzi possono fare cose assurde.”
                                  Don Camillo era ancora più nervoso di prima.
                                  “Hai ragione , don Camillo. I pazzi possono fare cose assurde. Possono
                                  uccidere. Oppure possono anche…”
                                  “Possono anche cosa?” chiese don Camillo. E all’improvviso si bloccò di colpo e si voltò verso il Cristo.
                                  “Non starete dicendo per caso che…”
                                  “Le vie del Signore sono infinite, don Camillo.”
                                  “Ma è assurdo! Una persona ricca come lui.”
                                  “Ricorda che il denaro non sempre può dare la felicità.”
                                  “Avete ragione come sempre, Signore. Lo credo anche io.”
                                  “Non è vero, don Camillo; se no perché tutti i giorni vorresti vincere al Totocalcio?”
                                  Don Camillo borbottò alcune frasi incomprensibili.
                                  “Quindi voi state dicendo che…”
                                  “Forse, don Camillo. Forse…”
                                  “Impossibile. Non ci credo nemmeno se lo vedo.”
                                  Ma sapeva di mentire a se stesso. E infatti, cinque minuti dopo, si era già tirato addosso il tabarro ed era uscito velocemente, dirigendosi verso la casa del Turone.

                                  “Vi lascio da soli” disse la vecchia, andandosene.
                                  Rimasero soli in quella stanza solo Giacomino e il padre, che giaceva esanime sul letto che era stato del figlio. A vederlo così avresti potuto tranquillamente dire che era morto; l’unico sprazzo di vita in tutto il suo corpo erano gli occhi che, se pure a fatica, si muovevano. Giacomino, dopo aver osservato la sua stanza e considerato che, tutto sommato, non era molto cambiata da quando l’aveva lasciata, si girò verso il vecchio. Stette a guardarlo un po’ e poi iniziò a parlare:
                                  “Guarda, guarda… non sei più cosi potente ora.”
                                  Il vecchio lo guardò. Giacomo era compiaciuto.
                                  “Ti ricordi di come trattavi me e mia madre, eh? Te lo ricordi?”
                                  Sogghignò:
                                  “Quante volte mi hai preso a scapaccioni… ricordi? Tornavo a casa la sera e, nemmeno il tempo di spiegare cosa era successo, che tu mi prendevi a ceffoni. E mamma piangeva, piangeva a vedermi soffrire così. Lei stava male. Tu lo sapevi, ma te ne fregavi.”
                                  Lo guardò con odio:
                                  “Avevi pure il coraggio di giustificarti. Li sentivo i tuoi discorsi con mia madre. Lo devo educare così, se no da grande sarà un disadattato. Invece ho ripudiato il tuo modo di fare, e guardami! Sono ricco, ho avuto successo, ho…”
                                  Ormai gli mancava il fiato e no aveva più la forza di parlare.       “Maledetto, maledetto!” borbottò, uscendo dalla stanza.

                                  Uscito dalla stanza, Giacomino andò a parlare con la madre.
                                  “Gli hai parlato?” chiese la vecchia.
                                  “Sì, gli ho detto quello che dovevo dirgli”
                                  La madre lo guardò con aria malinconica.
                                  “Vieni. Devo farti vedere una cosa”
                                  La vecchia lo accompagnò fino alla propria camera.
                                  “Apri quel cassetto”
                                  Giacomino lo aprì e dentro ci trovò una lettera.
                                  “E’ di tuo padre per te. Voleva che la leggessi quando sarebbe morto. Puoi leggerla ora.”
                                  Giacomino aprì la busta e iniziò a leggere la lettera. E più la leggeva più gli saliva un groppo in gola. Alla fine era disperato.
                                  “Mio Dio… lui… lui…”
                                  Sapeva che nel secondo cassetto c’era una pistola. La tirò fuori e sparò.

                                  “…riposino in pace, amen.”
                                  Don Camillo aveva i brividi. Non si sarebbe mai aspettato di dover celebrare due funerali insieme. Soprattutto se uno dei due era Giacomino, il milionario. Si era suicidato sotto gli occhi della madre, per una lettera del vecchio Turone. Gesù aveva ragione; purtroppo don Camillo era arrivato troppo tardi. La lettera l’aveva letta e gli era venuta la pelle d’oca.

                                  Finito il funerale, andò a parlare con il Cristo dell’Altar Maggiore.
                                  “Signore, è giusto che sia finita così?”
                                  “No, don Camillo, ma si sa: le vie dell’uomo sono infinite, più di quelle del Signore…”
                                  “Già” rispose. “Ha ragione lei, come sempre.”
                                  E uscì, nel nebbioso pomeriggio autunnale della Bassa.
                                  Sérait-t-il impossible de vivre debout?

                                  *

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                                    Re:Scrittura creativa
                                    Risposta #16: Venerdì 27 Lug 2018, 10:00:57
                                    Torno a pubblicare in questo topic, stavolta con una poesia scritta da me un paio di sere fa. Commentate numerosi (ogni consiglio è prezioso ;) ) e se avete domande da pormi, io ci sono.

                                    INIZIO
                                    Quando nel lungo giorno
                                    La sera eterna cala
                                    Ecco, mi si avvicina una signora
                                    Mi poggia una mano sulla spalla
                                    E’ fredda, ma mi rassicura.
                                    Mi guarda e mi dice: 
                                    “Presto albeggerà di nuovo”
                                    Poi mi dà un bacio; è l’ultimo
                                    Chiudo gli occhi e sento un tepore.
                                    E’ strano, ma sorrido.
                                    Sérait-t-il impossible de vivre debout?

                                    *

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                                      Re:Scrittura creativa
                                      Risposta #17: Domenica 5 Ago 2018, 21:36:08
                                      Ed ecco una nuova, breve poesia in versi sciolti. Stavolta si va più sul leggero; forse è un po’ più scioccherella, giudicate voi.  :D

                                      SOLE
                                      Dormo
                                      Un raggio di luce mi sveglia
                                      Mi alzo e apro la finestra
                                      Il sole mi guarda
                                      Nascosto dietro agli alberi
                                      E’ timido
                                      Poi, vergognoso, se ne va
                                      Sérait-t-il impossible de vivre debout?

                                      *

                                      Dominatore delle Nuvole
                                      Diabolico Vendicatore
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                                        Re:Scrittura creativa
                                        Risposta #18: Domenica 5 Ago 2018, 22:01:59
                                        "Ancora cinque minuti" ;D

                                         

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