Veramente pesante la storia di apertura. Zemelo scrive una sceneggiatura a tesi che parte da determinati presupposti e, con uno svolgimento apparentemente speculare a quello di partenza, ne sviluppa altri che non riescono a scorrere lungo le trenta pagine (tirando le somme sono anche troppe per quello che vuole raccontare). Ne esce piuttosto banalizzato il concetto di perfezione: sarà anche una storia che non vuole avere troppe pretese (e pertanto sarebbe assurdo ricercarvi una vera e propria teoria filosofica, per quanto sarebbe stato interessante proprio per quelle che erano le premesse), tuttavia non mi sento proprio di condividere tutta questa esaltazione alla disorganizzazione, sembra un ragionamento alla greca: ciò che è perfetto è noioso, mentre ciò che è imperfetto è fonte di svago. Questo traspare dopo trenta interminabili tavole. Si è ben distanti da messaggi un po' più preziosi come quello de L'albero di Holly. Decisamente bravo Lucci, il suo stile non mi ha mai esaltato però è gradevole e fa un po' da contraccolpo a questa sceneggiatura troppo spoglia nel suo complesso.
Sostanzialmente quella di prima è l'unica nota negativa del numero. Tolte le brevi senza pretese, rimangono solo la continuazione della storia di Mondor (che a quanto pare si concluderà già nel prossimo numero in due tempi) e la danese.
La coppa del Mondor aveva tutte le carte in regola per essere la tipica storia commemorativa in occasione dei Mondiali di Calcio, soprattutto per la presenza di un cast ben fornito, ma fortunatamente Enna è riuscito ad inserire qualcosa in più sin dalla prima puntata (lasciando ovviamente perdere un colpo di scena apparentemente telefonato, bisogna aspettare il prossimo numero per tirare le somme), complice soprattutto un impianto narrativo solido e a tratti poetico: come ho apprezzato l'attacco di Amelia in parallelo alla cronaca della partita da parte di Paperina, ho gradito l'elogio iniziale che Enna fa dei sogni e il modo in cui le sue parole si legano ai personaggi in questione. Sembra poco, eppure sono questi i tocchi di genio che vorrei vedere più frequentemente sulle pagine del Topolino, giacché ritengo che una storia debba comunque parlare al suo lettore, soprattutto in occasioni come queste dove il fine celebrativo potrebbe farla scadere in un teatrino fine a se stesso. Non è questo il caso di Enna, che oltre alle chicche che ho citato riesce anche a descrivere una certa affinità, seppur controversa, tra Paperone e Amelia.
Sulla danese, invece, ci sarebbe tanto da dire, soprattutto perché fa contrasto con lo stile a cui siamo abituati. In un altro topic facevo riferimento a questa differenza narrativa: del Paperino italiano, immerso in una pesante aura di perbenismo, viene risaltata soprattutto la sua indolenza e troppo poco il suo caratteraccio, che invece in questa storia dona un dinamismo e una grinta interessanti, complici sicuramente i disegni di Andersen. Magari facendo una bella media pesata tra i due uscirebbe fuori quella grinta del personaggio e quella intraprendenza che in molte storie fungeva da ottimo motore narrativo e soprattutto comico, anche perché bisogna tenere presente che in molte danesi (non questa, fortunatamente), il carattere di Paperino viene spinto sino all'inverosimile, al punto da risultare avverso al lettore. In ogni caso, la storia cerca di deviare su una conclusione telefonatissima per poi, guarda caso, dirottare proprio per quest'ultima, ed è da apprezzare per il numero di personaggi che si trovano ad interagire con Paperone, non meno importante, seppur di contorno, uno zio furente che lo calcia dal deposito a suon di calci.