Mi sento chiamato in causa a rispondere al messaggio di Labba, e ne sono alquanto lieto, dal momento che è sempre interessante approcciarsi con un parere discordante.
Questa serie non ha nessuno dei difetti che avevano saghe come i Q-Galaxy.
Questo è un parere molto soggettivo, tuttavia direi che il pretesto forzato per cui i tre nipotini diventano dei supereroi parla da sé: Archimede non è una sorta di Doraemon in grado di concepire qualunque cosa, è un inventore eppure realizza una macchina in grado di trasformare una materia scolastica in superpoteri, macchina tra l'altro dalla dubbia utilità. Inoltre, come avevo già detto in altri post, lo spunto si piega alle esigenze di trama, il che non è mai cosa buona per una sceneggiatura di qualità.
Da una parte, insomma, abbiamo la storpiatura di un personaggio, che però non rappresenta un unicum, dal momento che Archimede in sé viene fin troppo frainteso in quelli che sono i suoi limiti di inventore - Panaro, autore che ti piace tanto, in una recente storia gli ha fatto costruire una marionetta che controlla le persone inserendo semplicemente una foto, più magia che scienza - dall'altra abbiamo una forzatura per consentire lo svolgersi in parallelo di due vicende troppo contrapposte per funzionare tra loro, e infatti per tre episodi si è riadoperato il medesimo schema al punto che nell'ultimo le due situazioni si sono approssimate senza dare il giusto peso ad entrambe.
Gli unici personaggi che (ovviamente) stanno antipatici sono, com'è giusto che sia, quelli che devono svolgere il ruolo di antagonisti
Peccato che un antagonista che si rispetti abbia un minimo di carisma, tratto del tutto assente nelle tre pesti. L'antipatia è funzionale alla presa di posizione da parte del lettore, però l'antagonista non si ferma solo a quello, e a riguardo l'universo Disney è ben fornito di esempio, uno fra i tanti Rockerduck, Famedoro se si vuole una sfumatura differente: che siano solo antipatici i due appena citati ho i miei dubbi, altrimenti non cadrebbero nel dimenticatoio come sicuramente accadrà a questi tre.
i tempi comici sono azzeccati
Quali tempi comici? Non ho visto alcun tipo di comicità al di fuori dei siparietti di Edi o della goffaggine di Archimede, i primi tra l'altro simili a quelli tra Dinamite Bla e Fiuto Joe, solo meno cinici.
E perché dovrebbe essere "da bambini", poi?
Per lo spunto, come ho già scritto sopra.
Per il modo approssimativo in cui si approccia a certe tematiche, e per non ripetermi rimando al discorso che ho fatto su Chu Peng nel Topolino 3277 e su quello relativo a Qua nel numero attuale. Non voglio sbilanciarmi a parlare della cotta di Qui, pertanto prendo in esame proprio i due casi sopracitati perché si poteva, quantomeno, scendere più in profondità ed evitare di essere superficiali. In particolare, non mi va giù il fatto che nel quarto episodio si qualifichi la competitività come qualcosa di negativo, quando in realtà il difetto di Qua è quello di essere troppo vanaglorioso riguardo alle proprie capacità: la visione delle cose nella saga è completamente esente da sfumature, e questo fatto basta da solo per capire quale sia il reale target di riferimento.
E poi anche per un Paperino premuroso ai limiti del ridicolo e un Paperone che nel mentre di una minaccia a caso vorrebbe comprare il diamante lucente dei nipotini: una vera e propria regressione di quello che Stabile è stato in grado di costruire in piena libertà. E non mi si replichi dicendo che sono marginali: in troppe storie Gastone e Ciccio, ad esempio, sono comparsi in due vignette per ricordarci i loro tratti peculiari, e questa non è scrittura di qualità, bensì scrittura elementare ed indirizzata ad pubblico che non è il più ampio possibile, obiettivo che in teoria non dovrebbe essere prerogativa del Topolino. Di conseguenza, inserire un Paperone così fatto in quel contesto, equivale a banalizzarne il comportamento, così come stona regredire la considerazione che Paperino ha dei nipotini. Sono scelte che rovinano le potenzialità di Stabile, e anche della storia.
Perché ci sono i supereroi?
No, la vera ragione è questa: perché a tutti i costi sono stati infilati i supereroi, e stonano con ciò che poi si vuole raccontare.
Togliendo completamente la trama del colosso e delle pietre e parlando solo della quotidianità dei nipotini avremmo avuto una storia migliore: anche MiTo ha sottolineato l'intrecciarsi di troppe situazioni tra loro incompatibili, e in questo concordo con lui. Non vedo perché una storia che vorrebbe sviluppare un'identità dei nipotini a partire da una loro crisi debba risolversi in una pagliacciata in calzamaglia, e allo stesso modo non mi capacito del perché siano i robot di Archimede ad aprire ai nipotini stessi la possibilità di cambiare la propria condizione, così come del fatto che abbiano magicamente imparato qualcosa in una sola mattinata a scuola. O si fa la storia di supereroi, e a quel punto si possono infilare tutte le cose "spazzatura" di questo mondo (un po' come Ultraheroes, insomma), o si fa la storia di formazione, ma a quel punto pretendo che i nipotini ne siano partecipi, altrimenti che senso avrebbe?
Perché "non si offre alcuno spunto aggiuntivo di lettura", come ho letto sempre nei messaggi precedenti?
Non offre tali spunti perché non è pensata per arrivare a tutti i lettori, altrimenti avremmo avuto delle perle degne di Stabile.
Le sfumature si nascondono nei punti più impensabili, e il coglierle è un lavoro che richiede sì partecipazione, ma soprattutto un dialogo costante nel tempo, in cui ogni volta l'oggetto artistico possa essere approcciato in modo diverso: non a caso le storie di Barks nascondono riferimenti culturali e sociali, ma non è detto che vengano colti da tutti di primo acchito, anzi, io di certe preziosità, che innegabilmente ci sono, non me ne sono accorto se non in tempi recentissimi, che sia nell'uso dei dialoghi, nella scelta dei nomi o nello svolgersi delle situazioni.
Allo stesso modo, per rimanere in campo nostrano, potrei citarti il dramma interiore del Rockerduck di Stabile ne
Il deposito sotto A.S.S.E.D.I.O., che in una storia indirizzata ad un pubblico infantile sarebbe stata banalizzata a parole, ma che invece l'autore fa parlare con la forza della rappresentazione: lo sguardo sul deposito assente, il simbolo della fortuna del rivale che ammira profondamente senza mai ammetterlo e che vuole superare ad ogni costo: il singhiozzo finale del personaggio che sembra non avere più uno scopo nella sua vita, ora che Paperone è sprofondato col suo stesso simbolo. E non sono portentose seghe filosofiche, queste, sono interpretazioni che si prestano a quello che viene rappresentato, e che indubbiamente Stabile ha voluto inserire, solo che non tutti se ne accorgono perché non tutti hanno lo stesso approccio o il medesimo interesse, eppure ci sono: questo è il punto cruciale.
Nei WhizzKids gli spunti ci sono, ma non si prestano ad alcuna lettura né approfondimento: quel che c'è sta nei dialoghi e basta, e in genere questo si predilige quando si mira ad un pubblico infantile. Un bambino cerca l'immediatezza, legge le parole e subito capisce cosa stanno dicendo, ma non è detto che abbia fin da subito sviluppato una capacità di analisi: se però non ci sono altri spunti, il lettore più adulto non glieli può far notare. Ad esempio, riallacciandomi ai tre monellacci, il bambino li trova antipatici, eppure se vi fossero ulteriori elementi, il lettore più grande potrebbe dire al bambino "Sono antipatici, ma guarda le loro espressioni: vogliono attenzione, si sentono incompresi". Non c'è nulla di tutto questo, giacché i tre antagonisti recitano la parte dei cattivoni e solo all'ultimo si connettono i loro misfatti con il bisogno di attenzioni, che è poi la caduta finale di tutta la vicenda, e, soprattutto, il motivo ulteriore per cui si poteva evitare di inserire i supereroi.
Perché c'è una morale finale?
Infatti non c'è una morale finale: da una parte è il padre delle tre pesti ad essere colpevolizzato quando loro hanno rubato e causato disastri, rischiando pure di ammazzare delle persone inconsciamente, senza che nemmeno ricevano il giusto castigo, dall'altra parte i tre nipotini imparano qualcosa senza essere stati davvero protagonisti delle vicende scolastiche. Una storia moralizzante avrebbe enfatizzato il tutto, cosa che Stabile fortunatamente non fa, anche se, ripeto, non digerisco la questione della competitività di Qua, che non è necessariamente da eliminare.
E per quale motivo tutto questo dovrebbe renderla infantile?
Perché non è in grado di dire nulla a lettori anche un poco più grandi dei bambini delle elementari.
Gli scontri sono delle scaramucce che volendo durano, rispettivamente, quattro pagine il primo, quattro vignette il secondo e una vignetta il terzo (la parte del teletrasporto non è uno scontro), quindi chi vorrebbe vedere un po' di azione non viene accontentato. Inoltre, quando gli antagonisti sono letteralmente informi, si perde un elemento di interesse (la psicologia dei cattivi ha un suo fascino che non dovrebbe essere sottovalutato).
La ricerca delle pietre è portata avanti da coincidenze, quindi anche chi vorrebbe vedere un po' di avventura non viene accontentato.
Le vicende scolastiche dei nipotini vengono svolte da dei robot, quindi anche chi vorrebbe identificarsi coi tre non può perché loro non sono materialmente presenti ma sono altrove.
Insomma, è un polpettone di troppe cose che non prende mai una direzione precisa, raccontando un po' dell'uno un po' dell'altro in maniera fin troppo sommaria e senza mai scavare fino a fondo, che è tipico delle storie infantili.
Quando io chiudo gli occhi e cerco di focalizzarmi sull'idea platonica di "storia di Topolino", mi viene in mente la classica avventura di Panaro con, che so, Paperino e Paperoga che vanno a fare qualcosa in campagna, incontrano gente, succedono avvenimenti strani, si scoprirà che uno dei personaggi già visti era responsabile, lo arrestano dopo che avrà immancabilmente minacciato i nostri eroi con una pistola e tutto finisce bene. A me queste storie piacciono, nella loro semplicità.
Mi sembra giusto: Panaro, almeno per tutti gli anni in cui ho letto Topolino, ha sempre scritto storie con lo stesso schema, e a volte non lo ha neanche piegato quando voleva raccontare qualcosa di diverso (si vedano, in merito,
Paperino e l'occupazione blasonata e
Paperino e la fortunissima calamitosa per fonti più recenti). Questo non significa che sia uno sceneggiature scadente né tantomeno che le sue storie siano per bambini, però non penso che una storia di Topolino sia un eterno ritorno sul medesimo svolgimento: lo stesso Panaro ha detto che i personaggi sono delle maschere che recitano nel grande teatro della vita, e questo mi aspetto di trovare sul Topolino. Che poi ci siano dei canoni e delle formule ormai consolidate te ne do atto, ma la bravura dello sceneggiatore sta anche nel ricercare quel quid che le svecchi, quell'elemento "dionisiaco" che si contrapponga alla struttura classica, e per farlo bisogna giocare soprattutto sui dialoghi e sulle situazioni, non sull'infinita ripetizione di schemi che possono andare bene per un lettore neofita o per uno occasionale, ma non per un lettore di lunga data: Piccolobush, nella sua ultima recensione, ha affermato che Panaro scriva più o meno da trent'anni le stesse storie, e lui di certo lettore occasionale non è. Ora, io posso parlare degli sterminati numeri che posseggo e della mia esperienza di lettore, tuttavia dubito che siffatta costanza sia la vera forza di uno sceneggiatore, indipendentemente dalla qualità delle sue sceneggiatore e degli spunti da cui prenda riferimento.
E non possono essere neanche i supereroi, perché una testata con un certo PK è apprezzata da centinaia di migliaia di fan in tutta Italia.
Purtroppo questo lo stai dicendo tu: io non ho mai detto, lo ripeto, che il problema fosse il trasformare a tutti i costi i tre nipotini in supereroi, bensì i pretesti per cui questo accade e il modo in cui è capitato, che fa a pugni con le vicende scolastiche.
Non è questo a fare della saga un cattivo esempio di fumetto, è tutto ciò che si sviluppa intorno e la maniera in cui questo accade.
A me non piace snobbare qualcosa solo perché uno non possa scrivere un saggio di diecimila pagine su tutte le sue molteplici sfaccettature, metafore, significati vari e così via. Un pensiero del genere mi dà lo stesso straniamento che mi provoca leggere centinaia di recensioni, tutte uguali, di romanzi diversissimi che magicamente riescono tutti a "mettere a nudo le contraddizioni della nostra società" anche quando il protagonista è Gigino che fa le compere al supermercato.
Non puoi sapere se lo pensano davvero oppure se siano dei ciarlatani che vogliono sembrare profondi a tutti i costi.
E poi, fumetto e scrittura letteraria sono due forme d'arte differenti con due linguaggi ben distinti e due approcci diversissimi, quindi non puoi fare questo paragone.
E poi, per carità, vorrei che evitassi di nominare la profondità come se volessi solo quello dalle storie: una storia non è necessariamente bella solo perché è profonda, introspettiva e quant'altro, ci sono tanti altri fattori in gioco nel prodotto artistico, primo tra tutti il modo in cui si vuole raccontare.
Non a caso, sono sempre lì a dire che vorrei vedere più gag fisiche, più dinamismo, più sketch, e infatti questo me lo aspetterei in tantissime storie, che appunto non hanno la pretesa di raccontare altro all'infuori di intrattenere il lettore. I WhizzKids volevano essere qualcosa di più ma per un pubblico infantile, e hanno pure fallito per tutta una serie di considerazioni che ho fatto, e non di certo perché hanno il "Kids" nel nome.
E, soprattutto, non basta parlare fare l'introspezione, parlare di sentimenti e presentare personaggi caratterialmente complessi e contraddittori per avere una storia degna di questo nome: è un falso mito che accomuna gli aspiranti scribacchini, su cui spesso tanti ci cascano. La qualità è tutt'altra cosa, e non sono necessari questi espedienti per farla emergere.