Topolino è divenuta una testata spartiacque dell’universo Disney targato Panini Comics, un perfetto accordo tra "ciò che si poteva fare" e "ciò che non si è fatto", simbolo troppo eloquente di un tracollo da tempo annunciato e ormai in pieno corso.
Il volumetto della scorsa settimana ne è forse la prova più lampante. Un numero dove l’escursione qualitativa fra le storie proposte è dannatamente elevata e lancia a noi tutti un preoccupante monito.
Pertanto le uniche due storie meritevoli di particolari attenzione risultano essere ancora una volta degli omaggi a due icone nei rispettivi campi del calibro di Barks e Lovecraft (quest’ultimo passato in secondo piano, di fatto solo accennato). Vito Stabile è autore di una più che discreta performance dalla quale traspare tutto l’amore che il suo artefice nutre nei confronti del protagonista. L’intera Zio Paperone e la corona dei desideri è tappezzata di citazioni e rimandi vari ad altre opere made in USA, piacevolmente alleggeriti dal rapido stile narrativo che contraddistingue l’autore. La trama credibile gioca sugli sbalzi temporali causati da un destino birbone molto ben condotti; peccato per la presenza di un finale affrettato e a tratti assurdo (il tocco magico è abbastanza privo di senso per essere considerato esigenza narrativa), ma comunque denso di sentimento. Ciò che ho trovato totalmente fuori posto è invece la personalità di Malcom che, proprio risultando poetico e altruista nei confronti di un suo futuro parente, non ricalca per nulla i toni molto pirateschi dell’avo barksiano in Back To Long Ago, a parte forse nel celebre "saluto" a spadoni incrociati qui presente. Ho comunque apprezzato il tratto plastico di Perina: ora che ci avviciniamo al compimento del 27° anno di carriera in Disney possiamo tirare alcune considerazioni sulla sua evoluzione e bisogna constatare come, dalle prime sperimentazioni molto candide ancora radicate agli schemi classici di scuola Carpi, il disegnatore sia passato col tempo a uno stile costante all'apparenza, ma via via sempre più elastico e carente di particolari dettagli. Ad oggi mi sento in grado di affermare che egli è il più scarpiano (e quindi disneyano) dei nostri artisti.
Al contrario Alessia Martusciello deve lavorare ancora su tagli e prospettive per ottenere finalmente un mio giudizio positivo. La sua prova carente di personalità rovina una gradevole sceneggiatura nella seconda storia dell’albo. Topolino e le luci di Innsmouse risulta essere un bel giallo in relazione con quanto si vede pubblicato oggigiorno. Gabriele Panini gioca sul trittico Topo-Pippo-Gamba più volte utilizzato da Scarpa a suo tempo, rendendo il protagonista un perfetto punto di contatto fra la metà positiva di Pippcraft e il Pete Gambarsson di turno. Di riflesso Mickey è costretto a dover scegliere letteralmente da che parte stare così come avvenuto al momento della sua nascita nel ’28, non a caso anno di ambientazione del racconto. Il tema, non di certo eccelso o di complessa fattura, la rende una riempitiva interessante in ogni caso meritevole di più spazio, come già evidenziato nell'introduzione. Punte di Lovecraft si sentono chiaramente nei dettagli, dalla mutazione animale antropomorfica (che non ci dovrebbe poi tanto stupire considerate le nostre abituali letture fumettistiche) al ritmo avvincente del narratore in prima persona.
Il Topo in questione potrebbe terminare benissimo così che probabilmente non ce ne accorgeremmo neppure. La competenza viene non solo sminuita, ma addirittura rovinata a causa delle tre brevi successive che, nella loro singola innocenza, occupano in tutto 49 tavole che se ben sfruttate potrebbero benissimo ospitare un’operetta di ampio respiro magari in due tempi. Titoloni del tipo "Sei storie a fumetti inedite" non fanno che darci ulteriore conferma di come all'interno della Redazione in questi ultimi tempi si sia valutata la quantità più della qualità, una scelta che presto o tardi, ahimè, trascinerà la testata-madre nel fallimento che nessuno si augura (o forse sì...).
Papersera.net
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