I Grandi Classici Disney 26

25 FEB 2018
Voti del fascicolo: Recensore: Medio: (11 voti) Esegui il login per votare!

Niente alti e niente bassi per l’ultimo numero invernale del 2018: il parterre degli autori presenta nomi di tutto rispetto, come sempre, eppure non ci sono grandi storie capaci di imporsi sulle altre o di fare da traino nella lettura, a partire da una sezione Superstar straordinariamente anonima. Ciò in due sensi: non ha un titolo proprio per un evidente errore di confezionamento editoriale, rimanendo così con il Due supergialli e due superlupi del mese scorso, e non ha una storia davvero “super” al suo interno; del resto si parla di avventure in cui la nebbia, naturale o artificiale che sia, è la vera coprotagonista… Tra queste certamente la più interessante è Il mare di nebbia, assolutamente nella norma della produzione di Martina e Perego degli anni ’50, con tutti gli espedienti narrativi ricorrenti del caso: Paperone affetto da una strana patologia aurea (in questo caso una crescita esponenziale del suo peso dovuta a un’eccessiva vicinanza col metallo dei suoi dollari); Archimede con le solite invenzioni che fungeranno da tragicomico utensile per tutta la seconda parte della storia e da auspicato, per quanto inefficiente, deus ex machina sul finale; Paperino e nipotini imbarcati – in questo caso letteralmente – in una spedizione senza un’effettiva finalità se non quella di accontentare una richiesta del vecchio zio, qui ritratto come il solito arcigno e collerico arpagone della miglior tradizione martiniana. Segue un dittico di avventure americane con alle matite due tra i più importanti disegnatori d’oltreoceano, Paul Murry e Tony Strobl, energie abbastanza sprecate per delle sceneggiature tutto sommato dimenticabili firmate da Carl Fallberg: sia La nebbia fantastica che la Gemma di contrabbando si basano sullo scontro, del tutto occasionale, dei protagonisti con delle bande malavitose. Due storie essenzialmente industriali, figlie di un certo modo di intendere il fumetto come una catena di montaggio che va avanti pigramente (da sempre, verrebbe da dire a questo punto) con il pilota automatico. Chiusura decisamente non di rilievo con la breve Pippo scoiattolo onorario, in cui si rispolvera il mito popolare del ratto baratto abbastanza frequente nella produzione minore americana.
Si viaggia su una linea decisamente più interessante con il trio di storie italiane degli anni ’70, non tra i massimi capolavori di quel decennio ma tutte con qualcosa da dire. Certamente opera meritoria dell’attuale ciclo dei Grandi Classici è la ristampa, mese per mese e (finora) in maniera cronologica, della serie di C’era una volta il West… creata da Guido Martina e Guido Scala. Nella Favolosa R.C. tornano i principali marchi di fabbrica del Professore, arricchiti dalla sfida – sempre parossistica e ai limiti della legalità – tra Paperone e Rockerduck in uno sperduto villaggio del selvaggio Ovest diviso a metà lungo la Main Street da una linea a terra che ricorda un farsesco muro di Berlino in salsa western. Si parla poi di corruzione della e nella burocrazia, prona al potere economico, e di truffe commerciali, tutta materia abbastanza scottante per i suoi intenti parodistici della realtà italiana, certamente impresentabile al giorno d’oggi sulle fin troppo rassicuranti pagine di Topolino. La parodia cede addirittura per un attimo il passo alla cronaca nera nei Colpi di tosse di Dalmasso e De Vita senior, classico intreccio giallo con il solito Topolino ficcanaso infallibile. Eppure quell’accenno iniziale al rapimento del rampollo di un ricco industriale, con tanto di riscatto milionario da pagare ai sequestratori, non può non essere un intrigante riferimento (nemmeno troppo velato) alla medesima strategia criminale delle Brigate Rosse, dell’Anonima sequestri o della 'Ndrangheta nell’Italia degli Anni di piombo. Infine, a fare da contraltare alla visione politicamente poco corretta di Martina, il Paperone ciminiano della Febbre dell’oro si propone in tutta la sua (dis)umana follia nell’attaccamento al peculio, quest'ultimo apparentemente capace di reazioni fisiologiche cui porre rimedio attraverso una fantasiosa terapia d’urto. Tutto ciò in nome di una visione certamente poco traumatica e teatrale del papero più ricco del mondo da parte di Cimino, il quale ricorda ancora una volta come il denaro rappresenti “una somma di fatiche” che “come tale, porta con sé sudore e lacrime”.
C’è poco da dire sul resto del menu proposto, che si riduce a una coppia di storielle brasiliane con il Club dei Supereroi, folli e sconclusionatamente carioca come al solito, e a due brevi italiane in cui l'unico asso da calare è il nome degli autori. Se da un lato c’è la prova narrativamente filologica di Romano Scarpa con la sua versione di Gancio il dritto, perfettamente in linea con i montaggi di strisce sindacate aventi per protagonista l’esuberante merlo indiano operati dalla redazione di Topolino nei primi anni ’50, dall’altro Giovan Battista Carpi si cimenta come semiautore completo, con un Pippo in preda agli effetti di uno stimolatore cerebrale in gocce e un altro caso di rampollo di famiglia rapito, stavolta un'avvenente fanciulla figlia di papà.

Autore dell'articolo: Davide Del Gusto

Sono cresciuto a pane, letteratura, storia e fumetti. Paperseriano dal remoto 2004, colleziono, leggo, recensisco e mi diverto con l'editing di questo sito. I miei indiscussi numi tutelari tra i fumettari sono Carl Barks, René Goscinny e Albert Uderzo, Floyd Gottfredson, Hergé, Vittorio Giardino, in rigoroso ordine sparso.