Topolino 3253
A vedere i nomi coinvolti in questo nuovo numero del settimanale sicuramente ci si attendeva qualcosa di più di quel che invece resta alla fine della lettura.
Pk è ormai a un solo passo dal gran finale, ma le storie chiamate a far da coprotagoniste del volume sono invece al di sotto di quelle presentate nelle scorse settimane.
“Paperino Paperotto e la biblioteca dei fantasmi” è la prima occasione che ha Vitaliano di cimentarsi con il mondo di Quack Town: in qualche modo sembra rifarsi alla visione di Enna, ben miscelando riferimenti e suggestioni soprattutto cinematografiche (anche se spostandosi in avanti di un buon ventennio rispetto allo sceneggiatore sardo) e in qualche modo tenta anche egli di giocarsi l’elemento onirico per far sì che la vicenda risulti ambientata in quel mondo sospeso a metà tra reale e immaginazione tipico dei bimbi. Ma, al di là di qualche passaggio sin troppo rapido, non ottiene gli stessi risultati (a cui forse non era neanche interessato): la storia resta la semplice narrazione di una delle tante avventure della banda di monelli. Tra l’altro questa è una delle rarissime storie in cui non appaiono le due bambine e chissà che anche questo non abbia avuto un peso negli equilibri che reggono e regolano la vicenda.
L’altra storia di punta del numero è, come al solito quella di chiusura, “Zio Paperone e l'usurpatore del Klondike”, scritta da Vito Stabile e disegnata da Emilio Urbano. Conosciamo bene l’amore che lo sceneggiatore ha per il personaggio di Paperone, ma stavolta preferisce uno svolgimento semplice e una trama piuttosto leggera. Anzi, dal personaggio dell’alce fino alla “guerra” a colpi di formaggi puzzolente, ci sarebbe stato quanto basta per trasformarla, con pochissime modifiche, in uno dei milioni di Vitaliano. Il tocco dell’autore è riconoscibile comunque in questa particolare, e a tratti comica, amicizia, anche se, a mio parere, si spinge un po' troppo in là nel finale: leggiamo vignetta dopo vignetta aspettando la pagina conclusiva e immaginando già cosa troveremo ma pensando ugualmente “non vorrà scrivere una di quelle cose sdolcinate, spero”. Niente da fare, la sdolcinatezza ha dovuta proprio scriverla. E va beh, in fondo è un finale quasi obbligato e non costituisce certo la cosa peggiore del numero. Quella è la “storia” di Paperoga.
Per quello che riguarda i contributi extra-fumetto, abbiamo un servizio sul musical di Mary Poppins e una intervista a Roy Paci e Antonio Diodato