Tesori Made in Italy – Massimo De Vita (3 di 4)

15 LUG 2018
Voti del fascicolo: Recensore: Medio: (15 voti) Esegui il login per votare!

In un periodo di diversi e dolorosi tagli alle testate Disney da parte di Panini, la pubblicazione del nuovo numero di Tesori Made in Italy, sempre dedicato al maestro Massimo De Vita, è una vera e propria boccata d'ossigeno. Il tomo in questione ristampa quattro storie disegnate (e quasi tutte scritte) dall'autore milanese fra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80. Il volume è perfettamente equilibrato, poiché al suo interno troviamo due veri capolavori devitiani e altre due storie ottime, meno conosciute ma comunque godibili.
In apertura viene ristampata Topolino e l'enigma di Mu, storia che segna l'esordio di un personaggio che in futuro si rivelerà molto importante per il cast di Topolinia, il professor Zapotec. Parlando della trama, beh, la storia è splendida, un grande capolavoro del fumetto Disney anni '70: sceneggiatura ben scritta, storia avventurosa e molto scorrevole, nonostante una grande presenza di spiegazioni scientifiche. Per il resto il cattivo, verso metà storia, si palesa e agisce, praticamente, alla luce del sole; non per questo, però, risulta meno minaccioso. La scoperta finale è originale e ben congegnata, risultando inattesa e in grado di stupire.
Molto godibili sono anche Paperino e la ricerca del Kikiby e Paperinik e la città sporcacciona. La prima è una tipica storia in cui Paperino è vittima della cattiva sorte, stavolta cercando di trovare un Kikiby, esemplare di un'insolita razza canina che, sempre parlando di animali rari, ricorda in vaga parte il balabù di scarpiana memoria. Le gag, a differenza di molte storie poco memorabili dello stesso genere presenti sul Topolino attuale, sono molto divertenti e il finale, per una volta, è soddisfacente. La seconda avventura, invece, è una classica storia di Paperinik scritta da Pezzin, nella quale il supereroe mascherato affronta, a suon di battute e slapstick-gag, problemi allora attuali (e che forse lo sono ancora oggi). In questo caso si tratta dell'inquinamento e Paperinik, dopo aver inutilmente tentato di mettere in guardia la popolazione, alla fine riuscirà a far comprendere la situazione ai paperopolesi grazie a un ingegnoso trucco. Storia molto divertente, che però, leggendola, lascia un po' l'amaro in bocca, pensando che fa parte di quel filone responsabile di aver reso Paperinik un personaggio meno diabolico e inquietante rispetto a come lo dipingeva Martina.
Ma la migliore del numero è, sicuramente, Il matrimonio di Zio Paperone. Si tratta, forse, di una delle storie meglio congegnate in assoluto, per quanto riguarda l'intreccio. E non c'è solo quello: battute ottime, recitazione dei personaggi superlativa, nessuno fuori posto. Una sceneggiatura davvero ben scritta, e che non lascia quasi nessun buco narrativo (e la difficoltà che poteva esserci a rimettere insieme tutti i pezzi era alta). Il finale, inoltre, mostra anche il cuore d'oro che Paperone nasconde sotto la sua dura scorza, riprendendo la lezione barksiana.
La qualità delle storie, quindi, si dimostra alta. Ma come sempre, per fare un passo avanti bisogna farne almeno due indietro, e così stavolta sono i redazionali a tradire la fiducia: scarni (si fa notare molto la mancanza del portfolio) e poco curati (introduzione della città sporcacciona che presenta la storia come la prima con Inquinator). Nel complesso, però, il volume è ottimo e risulta una vera manna dal cielo rispetto a quello che Panini ha mandato in edicola negli ultimi tempi.

Autore dell'articolo: Alberto Brenna