Topolino 3283

29 OTT 2018
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A parte il prequel (l’ultimo della serie) di Casty e Bonfatti, c’è una sola storia che merita di essere letta in questo numero di Topolino: “Bum Bum e il distintivo sospirato” riporta sulle pagine del settimanale uno dei personaggi più interessanti apparsi in epoca recente. Bum Bum è egoista, scorretto, sporco, imbranato, ubriacone (dai, non crederete davvero che sia tamarindo quello che servono nel bar di Poldo Crocchetta?), trasandato eppure con un cuore e con dei sentimenti che spesso lasciano piacevolmente sorpresi.

Anche in questa occasione sono i sentimenti a muovere le fila della vicenda: uno zio poliziotto che il piccolo Bum Bum aveva eletto ad esempio, un distintivo che trasforma un bambino in un invincibile tutore dell’ordine, la voglia ingenua ma mai sopita di portare la giustizia in città… la sceneggiatura di Mastantuono trasforma il tutto in una storia a metà tra il demenziale e il noir, ottimamente servita dai suoi disegni. Una storia comica ma al tempo stesso realistica, con sequenze “cattive”, di azione, divertenti e che non scade in buffonate imbarazzanti. Peccato che l’autore romano si cimenti molto di rado nella doppia veste di sceneggiatore e disegnatore.
C’è una sola cosa poco chiara in tutta la storia e che per un attimo fa anche dubitare della bravura di scrittore di Mastantuono: lo zio di Bum Bum, da come se ne parla inizialmente (tutti suoi ricordi raccolti in un armadietto chiuso da anni nella soffitta del nipote e di cui si era persa la chiave), sembra sia morto. Improvvisamente però dalle parole del commissario veniamo a sapere che invece è vivo e i due si frequentano anche. In tutto ciò appare (a più riprese) quello che, coerentemente, dovrebbe essere il suo fantasma o comunque un ricordo, ma che nei balloon viene invece chiamato ologramma! Ma che c… Sarei davvero curioso di conoscere la versione originale della sceneggiatura, ma credo resterà un mistero. Mi toccherà quindi credere che Mastantuono, quando ha scritto alcuni passaggi della storia, avesse anche lui esagerato col tamarindo.

“Gambò, Jean Trude e i moli galleggiati” è il nuovo capitolo della storia dell’arte rivista da Roberto Gagnor (disegnato da Giada Perissinotto). È passato circa mezzo secolo dalle storie di Barks e Scarpa (e dei Barosso) ed è un po’ triste vedere che non è cambiato nulla quando si tratta di parlare in maniera umoristica di arte contemporanea. All’epoca lo scetticismo, l’ostracismo perfino, verso certe forme di espressione erano anche fisiologici, come verso tutto ciò che è nuovo, in tutti i campi. In compenso avevamo un umorismo e una scrittura ben più sagaci e raffinati, vedi ad esempio la scena de “Il colosso del Nilo” dove tra “masse informi degne di una mostra moderna”, Paperino “si lascia influenzare dagli astrattisti” e, lanciatosi in una discussione “sui valori estetici”, “afferma i diritti della sua personalità”.

Nella storia di Gagnor tutto invece si riduce a storpiature a raffica di nomi e concetti, cercando di mettere nel calderone più roba possibile ma mai con intelligenza, men che meno con ironia. È solo uno sberleffo, acritico e acontestualizzato, dove la parte “divulgativa” è concentrata in due (di numero) vignette didascaliche, e che sfrutta l’ultimo esempio che ha avuto risalto sui media. Insomma, si arriva alla fine e l’impressione che si ha non è di aver letto qualcosa che riguarda l’arte, seppur in maniera canzonatoria, ma semplicemente una delle tante storie di Gambadilegno e Trudy, solo punteggiata da nomi improbabili e da un Manetta idiota. E quel che fa più male, slegato dall’argomento della storia, è dover vedere in prima pagina Gambadilegno che dice “In tanti anni non ho mai messo a segno un grande colpo” (e la compagna che lo consola ricordandogli di aver svaligiato una fabbrica di ghiaccioli biologici). Attenzione, si tratta di una affermazione totalmente gratuita, ininfluente ai fini della storia che si può cominciare a leggere tranquillamente dalla pagina dopo. E’ piuttosto un voler ribadire, rinsaldare, la figura da “simpatico maladrino un po’ sfigato” di Gamba che si è andata affermando negli ultimi anni (ormai decenni) ed è una caratterizzazione che si sta talmente radicando che sembra quasi se ne stiano convincendo gli stessi autori, al punto proprio di volerla sottolineare anche quando, come in questo caso, non è necessario.

Il resto del numero è roba che si può saltare senza problemi, tra una storia tristissima di Paperinik, una prevedibilissima con Battista e una danese quasi imbarazzante ma alla quale voglio concedere il beneficio del dubbio riguardo la traduzione, perché ci sono almeno un paio di passaggi che restano sospesi e non sarebbe la prima volta che le storie estere pagano questo tipo di pegno (comunque è orrenda indipendente dalla traduzione, sia chiaro, non la salverebbe niente, ma potrebbe essere meno orrenda di quel che appare).

Il resto del numero è dedicato in parte a Lucca e in parte a due iniziative che hanno nel teatro il minimo comune denominatore: il festival “Segni” di Mantova e la trasposizione/parodia teatrale della saga di Harry Potter.

Autore dell'articolo: Gianni Santarelli

Abruzzese, ingegnere elettronico riconvertito in quel che serve al momento. Il mio rapporto con i fumetti segue tutta la trafila: comincio a cinque anni con le buste risparmio della Bianconi (sovvenzionato da mia zia), poi Disney, i supereroi Corno, i Bonelli (praticamente tutti, anche se abbandonati man mano). Verso i 18 anni scopro le riviste della Comic Art, leggo "Stray toaster" di Sienkiewicz e inizio un giro del mondo fumettistico che ancora non termina. Fumetto franco-belga, argentino, americano, autori celebri e sconosciuti, tutto finisce nella mia biblioteca, molto aspetta ancora di essere letto, nel frattempo dilapido una fortuna. Su due cose sono profondamente ignorante: i supereroi "classici" (ad eccezione di Batman, per cui ho una venerazione, non leggo una storia dell'uomo ragno & c. dagli anni 80) e il fumetto giapponese. Per il Papersera, con il nick "piccolobush", collaboro all'annuale premio, scrivo qualche articolo quando necessario e mi occupo, con puntuale ritardo, del settimanale "Topolino"