I Sette Nani e la fata incatenata

16 LUG 2015

L’elegante testata della storia, pubblicata per la prima volta sull’Almanacco Topolino del dicembre 1959.

Forse rimarrete un po’ stupiti nel vedere una recensione di questa storia, che non è fra le più ricordate disegnate da Scarpa. Se si pensa all’autore veneziano, subito vengono alla mente altre avventure, con Topi e Paperi, ma difficilmente si pensa a questa corrente, diretta derivazione dai Classici dell’animazione. Nemmeno io, in realtà, sono una grande appassionata del filone, ma questa storia mi è rimasta nel cuore.

Scoprii “I Sette Nani e la fata incatenata” sui Maestri Disney n.19, scovato per puro caso in biblioteca nel periodo in cui, più che leggere, assorbivo per osmosi qualunque storia Disney, senza badare troppo ad autori, disegnatori e periodi di pubblicazione. Su quel volume c’era anche “Topolino e l’enigma di Brigaboom“, altra bella vicenda che cercai poi per anni, ma questa di Biancaneve mi colpì così tanto che, per non richiedere continuamente il volume in biblioteca, mia mamma mi fotocopiò la storia. Ho approfittato della recente pubblicazione della Omnia per recuperarla a colori, ma ammetto che dopo anni passati a leggere e rileggere quei fogli conservati in una bustina di plastica, nel mio cuore quei disegni rimarranno sempre in bianco e nero.

La fata imprigionata da Grimilde incontra i Nani.

Biancaneve, pur essendo il personaggio più famoso, questa volta risulta essere solo una comprimaria. I veri protagonisti della vicenda sono i Sette Nani e la Matrigna, che in questa storia credo raggiunga i picchi assoluti della sua crudeltà.
La trama inizia in modo classico: Grimilde, gelosa della felicità di Biancaneve, cerca di ucciderla lanciandole contro un fulmine. Per salvarla interviene la Fata Cerbiatto, che riesce a fare in modo che la ragazza cada in un sonno profondo (e te pareva…), ma di conseguenza rimane incatenata e prigioniera. A questo punto intervengono i Sette Nani, che accettano di superare una serie di prove per poterla liberare. E qui comincia una sequenza a metà fra la fiaba e l’onirico, con prove e contrappassi sempre più strani e sempre più crudeli, dove le magie della matrigna e della fata s’intrecciano in un groviglio in cui diventa difficile, quasi impossibile, sia per i nani che per i lettori, capire al volo la vera natura di quello che ci viene presentato.

Uno dopo l’altro tutti i nani soccombono alla magia della Matrigna: Dotto diventa una statua dopo aver sparato con un “fucile a pietra”; Brontolo viene trasformato in uno spaventapasseri dopo essere stato accecato; Pisolo si addormenta in un campo di papaveri per non risvegliarsi mai più: la scena m’impressionò a tal punto che da allora se passo vicino a un campo di grano dove ci siano più di cinque papaveri mi allontano velocemente!

Le incredibili immagini della “morte” di Gongolo per opera di un drago.

Eolo che con un suo stesso starnuto precipita da un ponte sospeso; Mammolo bruciato vivo dalla fiamma di un drago; Gongolo che si sacrifica accettando di essere trasformato in una fontana (mi è rimasto vivido in mente il ricordo della prima volta in cui lessi la storia, ero così presa dalla trama che quando scelse lo scrigno del Pianto quasi gridai: “No, non farlo! Prendi quello del Bene, è sempre il Bene che vince nelle fiabe!“). A Cucciolo, l’ultimo, rimane il peso di una responsabilità enorme: portare avanti la volontà dei fratelli e compiere da solo l’impresa di salvare la Fata e Biancaneve. Il suo tragitto finale è durissimo, un vero e proprio viaggio di crescita interiore attraverso mille prove e tormenti, probabilmente, anche se mai dichiarati, con un grande senso di colpa nei confronti degli altri nani che si sono sacrificati poco alla volta per permettergli di arrivare alla fine, là, in una fonte, dove rovesciare le sette fiasche che ha faticosamente portato con sé. E qua, l’ultima crudeltà: dover morire lui per salvare tutti gli altri. Ad ogni nano che tornava ero così felice, che alla fine, quando gli dissero che per salvare la Fata e Biancaneve doveva sacrificarsi lui, ero quasi in lacrime.

Cucciolo, ormai stremato, deve scegliere se salvare la Fata Cerbiatta o se stesso.

Biancaneve che riesce a riportarlo in vita è stata una vera e propria catarsi, un momento di liberazione finale in cui altro che sospirone di sollievo! Si sa, nelle storie Disney c’è sempre il lieto fine, ma questa volta, davvero, avevo creduto per ben più di un momento che non ci fosse speranza. La morale, seppur evidente e messa in gran bella vista, non è tediosa, ma è presentata come naturale conseguenza degli avvenimenti. I disegni, poi, che accompagnano questa vicenda al cardiopalma sono meravigliosi: il volto bello e crudele di Grimilde che compare nelle forme più inaspettate, letteralmente diavolo tentatore per ogni personaggio, presenza occulta che insegue i personaggi incombendo su di loro in modo così sentito che anche al lettore viene la tentazione di girarsi, per controllare che sia sempre lì, sulla carta stampata, e non alle sue spalle. Scene che raccontate per iscritto sarebbero state cruenti diventano leggere, sopportabili alla vista senza perdere neanche una virgola della loro drammaticità.

Una storia che fatico a definirla solo un fumetto o una fiaba, ma che in certi punti è un racconto dell’incubo ai livelli di Poe. Un meraviglioso viaggio nell’incubo di cui alla fine, nonostante tutto, si sente la mancanza e non si vede l’ora di ricominciare.

Autore dell'articolo: Piccola Pker