Topolino e il Bip Bip-15

31 LUG 2015

La vignetta di apertura apparsa su Topolino 257 dell’ottobre 1960.

Fra le innumerevoli utilità della lettura c’è quella di mitigare le attese: a scuola prima dell’entrata, all’università fra una lezione e l’altra, alla fermata, dall’oculista. è proprio in quest’ultima occasione che, in un autunnale pomeriggio dei miei dieci anni, mi giunse in soccorso il numero 214 dei Grandi Classici, testata allora da poco scoperta e che mi avrebbe accompagnato per sempre. Il numero contiene una bella storia micheliniana, alcune ottime storie brevi (Barosso, Dalmasso e addirittura la leggendaria pietra miliare Zio Paperone e la banda Bassotti) e due grandiose storie lunghe: “Paperino e l’oro di Reno (ovvero: L’anello dei nani lunghi)” e “Topolino e il Bip Bip-15“.

Quest’ultima è certamente la meno famosa del ciclo di Atomino, e mi piacerebbe (ma qui forse pecco di presunzione) che questa mia testimonianza la reintegrasse a pieno diritto fra le sue sorelle, riconoscendole i grandissimi pregi che porta. È con questo scopo che, a differenza di quanto fatto in buona parte di queste recensioni, seguirò parzialmente la trama della storia. Il mio legame con essa è certamente speciale, sia perché è stata una delle prime storie scarpiane che ho letto (credo la terza, dopo “Gancio il dritto dà lezioni!” e “Topolino e la Dimensione Delta“), sia perché sono stato sempre affascinato dall’ingegnosità dello spunto (il Bip Bip-15 appunto) e dalla “grinta” dell’avventura che si dipana con eccezionale scioltezza nelle due puntate della storia. Proprio di lì a poco, inoltre, avrei iniziato ad interessarmi attivamente ai nomi e agli stili degli autori, non tardando ad identificare nel Maestro veneziano uno fra i Sommi indiscutibili.

Topolino e Atomino che si divertono indegnamente come… come noi!

Casty ha avuto a dire recentemente che Atomino Bip Bip ha il carattere e l’ingenuità di un ragazzino: mai come in questa storia, tant’è che lo troviamo intento a giocare con un entusiasta Tap (manca del tutto il fratello Tip) proponendogli un’invenzione dietro l’altra e divertendosi come un matto egli stesso. Ma, manco a dirlo, qualcuno spia al riparo della chioma di un albero… Ci siamo: fin dalle prime due tavole l’azione è predisposta.
Ma il genio si vede dai dettagli. L’idea di fondo della storia sta nel Bip Bip-15, invenzione di Atomino che, mossa da uno starnuto di mesoni, va ad attaccarsi a ciò che trova sulla propria traiettoria, privandolo della gravità e sospendendolo in aria. Ma come presentarla? Scarpa sceglie la via comica, nel senso dantesco del termine, ovvero come alternativa all’epica: per cui le straordinarie virtù dell’oggettino sono confinate al perimetro della casa di Topolino, tutt’al più strumento per giocare uno scherzo al buon Pippo.

E per mettere in risalto l’estrema perizia di Scarpa nella gestione economica del proprio materiale, osserviamo che sono le spie stesse, oltre al poliziotto di turno, a fare le spese delle impreviste potenzialità del Bip Bip-15, assolvendo contemporaneamente a due funzioni narrative.
Naturalmente qualcosa va storto, e la notizia della straordinaria invenzione diviene di dominio pubblico.

Parole in parte segnate dai tempi, ma anche e soprattutto profetiche!

Cosicché Topolino, dando prova di una saggezza e di una lungimiranza che pochi altri autori, ancor oggi, gli conferirebbero, prende la decisione di trascorrere del tempo lontano da casa, perché gli innumerevoli postulanti che pretendono il segreto del Bip Bip-15 non turbino più la loro quiete. Pensateci: quanti Topolini, in seguito, non avrebbero ritenuto giusto cedere il progetto almeno alla polizia? Il grande senso di responsabilità di Topolino e Atomino, che decidono di tenere segreta a tutti i costi la potentissima invenzione, è un messaggio potente e per niente scontato e che costituisce il cardine morale della storia.

La scelta dei tempi è, come sempre, azzeccatissima, e l’azione comincia proprio là dove era pianificata la stasi. Ed ecco entrare in scena i due cattivi: Gambadilegno, incontestabilmente nella sua forma migliore, e Kamura, il piccolo e tremendo lottatore giapponese. In maniera del tutto inedita l’intreccio si bipartisce: Topolino ignaro di tutto, sorvegliato da Kamura, e Bip-Bip, fatto prigioniero e costretto a lavorare per Gambadilegno. In breve i due fili si riuniscono e comincia l’azione vera e propria, ma quel che occorre notare (eredità gottfredsoniana passata intatta a Casty) è che benché la tensione raggiunga livelli da cardiopalma la comicità e l’ironia di Scarpa non vengono mai meno: Topolino e Kamura che combattono a colpi di farina, la “presa rotante con uscita tangenziale sulla destra“, le “porte rialzate” delle navi… Un connubio ineguagliabile tra avventura e divertimento in cui l’una non può fare a meno dell’altro e viceversa!

Violazione della privacy, con echi gottfredsoniani…

Come già detto, questa storia si gioca molto sui dettagli. Anzitutto, i postulanti che in una sequenza molto walshiana e a dir poco asfissiante prendono d’assalto la casa di Topolino saltando fuori dai posti più impensati.
E poi Pippo; è un personaggio del tutto secondario, eppure è più Pippo che mai: due vignette, due battute, e il personaggio è perfetto!
Gambadilegno, poi, è il più genuino cattivo che si possa desiderare: ingegnoso, violento, vanitoso, profittatore cronico di idee altrui, più deciso che mai a realizzare i suoi propositi passando sui cadaveri di Atomino e Topolino. Ed è un gusto meraviglioso (non avete idea di quanto io lo adorassi ai tempi, e tuttora) stare guardare le sue espressioni di gattone soddisfatto e impulsivo, nelle continue schermaglie con il suo nemico mortale; si può davvero dire che qui Pietro gioca a fare “il gatto col topo”!

Ma non dimentichiamo la trama, ambiziosa e perfettamente orchestrata: dai dettagli (Topolino che scopre il rapimento dell’amico tramite delle lettere marcate nel messaggio d’addio, formanti la parola “rapito”, e sempre Topolino che imprime un messaggio segreto per Atomino sui pesci che si affacciano al suo oblò!) alla grande azione, con Topolino e Atomino a piede libero per la base sottomarina di Gambadilegno, più determinati che mai, fino al furibondo scontro finale a suon di calci, pugni e jiu-jitsu (per la cronaca: Atomino contro Kamura 1-0, Topolino contro Gambadilegno 0-0) e al salvataggio conclusivo da parte della guardia costiera di “Maniglia, nelle isole Giacomine“.

Aahhh… la soddisfazione!

Uno degli elementi fondamentali e più accattivanti della storia è forse il ritmo, che si adatta ai vari momenti con una perfezione davvero eccezionale per un autore così giovane e così vulcanico. Ma perché stupirsi? è IL Maestro!

Per concludere, vorrei porre l’accento di nuovo sul grande messaggio morale della storia, oggigiorno più pressante e coraggioso che mai: potrà sembrare meno centrale, meno commovente, meno “immediato”, dei grandiosi “Parastinchi di Olympia” o di storie più celebri. Ma ricordate che poche storie come questa riescono a mettere insieme quelli che per me sono i quattro ingredienti irrinunciabili del capolavoro: la componente comica, quella avventurosa, quella riflessiva e, mai da trascurarsi, dei grandi personaggi come sono Topolino, Atomino e Gambadilegno in questa storia. Lavori come questo, e come la “Dimensione Delta” che lo precede, sono il modello di riferimento per i grandi lavori di Casty e non solo, per la loro capacità di darci quella “genuina meraviglia”, più artigianale che sensazionale, senza esasperazione dei caratteri, senza alcun sacrificio della componente comica, che rendono grandi i grandi autori Disney.

Correte a leggere (o rileggere) questa storia e ne uscirete con un sorriso soddisfatto, con un respiro diverso, con un rinnovato e genuino entusiasmo di lettori. Altro che Yoga, signori: Romano Scarpa forever!

Autore dell'articolo: Guglielmo Nocera

Oggi espatriato nel paese di Astérix, mi sono formato su I Grandi Classici Disney, che acquisto tuttora, e Topolino Story prima serie. Venero la scuola Disney classica, dagli ineguagliabili vertici come Carl Barks e Guido Martina ai suoi meandri più riposti come Attilio Mazzanti e Roberto Catalano (l'inventore della macchina talassaurigena). Dallo sconfinato affetto per le storie di Casty sin dagli esordi (quando lo confondevo con Giorgio Pezzin) deriva il mio antico nome d'arte, Dominatore delle Nuvole. Scarso fan della rete, resto però affezionato al mondo del Papersera, nella convinzione che la distinzione tra esegesi e nerdismo sia salutare e perseguibile. Attendo sempre con imperterrita fiducia la nomina di Andrea Fanton a senatore a vita.