I Grandi Classici Disney 36

25 DIC 2018
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Numero non eccezionale questo di gennaio, che recensiamo con colpevole ritardo, stavolta concentrato nelle Superstar fra le quali, va detto, se ne trovano di altissimo livello. Si parte con Paperino nipote a sorpresa, storia semplice, lineare, una piccola perla firmata Corteggiani&Cavazzano. Il tipico umorismo del maestro d’oltralpe, coadiuvato dal suo più assiduo collaboratore Disneyano, si apre e si chiude su una vicenda assurda, potenzialmente banale, eppure perfettamente riuscita. L’unica inadeguatezza è che si tratta di una storia breve, diciamo riempitiva (nel senso alto del termine, perché ce n’è uno…), e dunque non molto azzeccata come storia d’apertura. La collocazione può trarre in inganno e generare delusione, come ho visto da alcuni commenti sul forum.
Meno fluida e meno ispirata forse Zio Paperone e l'uovo d'astronave, ladove la coppia di storie brevi Dinamite Bla dinamitardo turistico e
Dinamite Bla e la multa salata, e la seconda in specie, mostrano il miglior Dick Kinney: il ritmo ottenuto nella seconda storia è esemplare, e il suggello finale (“Zitto! Evaderemo!”) firma un piccolo manuale di comicità istantanea.
Vertice del numero è senza dubbio Topolino e il Bip Bip-15. Storia fra le favorite di chi scrive, che ha l’imprevedibilità della Dimensione Delta e l’umanità topolinesca del Walsh più casalingo e della Collana Chirikawa, e richiama nella sua struttura, e per l’uso della sorpresa, i grandi lavori castyiani degli anni Duemila. La grande naturalezza di Scarpa introduce con delicata evidenza un messaggio non scontato, e che oggi potremmo dire coraggioso: la tecnica non è in sé progresso, e le potenzialità in essa racchiuse sono, ben prima di portar del bene all’essere umano, ricettacolo di interessi di parte, vuoi legati al profitto, vuoi al crimine, o più semplicemente alla distorta e asfissiante sete di novità, di notizie, di celebrità, endemica nella società che era di Scarpa ed è ancora nostra. Non – si badi bene – un monito contro i sintomi (venalità, crimine, fame di notizie), il che non è una novità in Topolino, ma rassegnata presa d’atto che, se quelle sono le conseguenze, inutile se non dannosa è l’invenzione in sé, e tanto vale lasciarla affondare. Affondare, diremmo noi, o farne l’oggetto di una bellissima storia. La miglior tecnologia è quella immaginaria: dal bambatrone al Bip-Bip 15, dagli sprezzanti megacomputer martiniani all’Intelligenza Artificiale del cuore (perché mai mi sarò scelto un nome russo?), dalla cronovela al duplicatrone…
Ma torniamo a noi, o meglio a Guido Martina: Topolino e il salto del salmone è una storia nella media, forse un po’ sotto dato che, a parere di chi scrive, la media del Professore è difficilmente superabile. Ma è con
Paperino reporter degli abissi che si assiste al miracolo: storia di media lunghezza, del Barks tardo, inizia con Paperone che vuole acquistare Hong Kong e il Taj Mahal per portarli a Paperopoli; spunto, se ci si passa l’accostamento, più da Sio che da Barks. Il seguito è un autentico capolavoro: ho letto giudizi come “non la migliore di Barks, ma ogni cosa di Barks è bella”. Ebbene, non vedo perché sminuirla: la sua (relativa) brevità, e la sua fama inesistente, non traggano in inganno; personalmente la ritengo una delle cose più belle del maestro dell’Oregon, densa di trovate notevoli e comicità isormontabile.
Dopo di ciò il numero s’incammina verso la rovina:
Zio Paperone e la radice della longevità non è una cattiva storia, ma manca in mordente e continuità. Tuttavia l’originalità insita nella presenza di Acciuga, che di per sé attiva soluzioni non scontate, la rende una lettura piacevole.
Pippo re del rock sfodera dei disegni allucinogeni (e non in senso buono) e una trama nota, pernota e nemmeno di per sé illuminante.
Pippo e gli indiani si riduce a una pagina degna di figurare come “Gulp!” del settimanale odierno, laddove
Paperino e i “due secondi”, pur insistendo in maniera un po’ accanita su uno stereotipo vagamente maschilista, fa egregiamente il suo mestiere e conferma Carlo Chendi come il miglior alchimista della storia Disney: ovvero colui che può trasformare il bronzo in oro.
Ed infine eccoci alla resa conclamata:
Topolino e gli elefanti fifoni. Storia fatta di sintagmi abbastanza peregrini, quasi fantoniana (ma non in senso buono…), ornata da disegni da capogiro, del tipo abominevolmente commerciale che non si distingue dai palloni da spiaggia o dagli asciugamani di Minni. Nulla contro la pubblicazione di storie di questa provenienza sui Grandi Classici, ma ci si consenta se possibile di chiedere un poco di oculatezza.
Si chiude con Paperino e la chiromanzia, altra one-page che non ispira un commento di qualsivoglia natura e che perciò stesso lasciamo cadere nel vuoto con eleganza.

Autore dell'articolo: Guglielmo Nocera

Oggi espatriato nel paese di Astérix, mi sono formato su I Grandi Classici Disney, che acquisto tuttora, e Topolino Story prima serie. Venero la scuola Disney classica, dagli ineguagliabili vertici come Carl Barks e Guido Martina ai suoi meandri più riposti come Attilio Mazzanti e Roberto Catalano (l'inventore della macchina talassaurigena). Dallo sconfinato affetto per le storie di Casty sin dagli esordi (quando lo confondevo con Giorgio Pezzin) deriva il mio antico nome d'arte, Dominatore delle Nuvole. Scarso fan della rete, resto però affezionato al mondo del Papersera, nella convinzione che la distinzione tra esegesi e nerdismo sia salutare e perseguibile. Attendo sempre con imperterrita fiducia la nomina di Andrea Fanton a senatore a vita.