Topolino 3387

28 OTT 2020
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Mickey 2.0 si conclude con un finale… che non è un finale. Trattandosi di un progetto proposto oltre dodici anni fa e poi arenatosi per chissà quale motivo, è rimasto sostanzialmente incompiuto. Quest’ultima puntata conferma quello che si era visto nelle precedenti, anche se il testimone delle sceneggiature passa da Faraci ad Alessandro Ferrari.

Inquadrata nella produzione attuale, anche se graficamente risente degli anni trascorsi, dal punto di vista dei testi regge piuttosto bene nonostante sembri un mascheramento (o una versione 2.0, appunto) del classico modo faraciano di intendere il rapporto tra Topolino e Gambadilegno, mai netto ma sempre in bilico, sempre sfumato e con pericolose tendenze alla “avremmo potuto essere amici”. Peccato comunque si esaurisca così, senza chiarire molte questioni rimaste in sospeso, a cominciare dal ruolo di Macchia Nera.

Sul prosieguo non so cosa aspettarmi. Personalmente sono convinto che non sia mai una buona idea riprendere cose lasciate indietro per troppo tempo. In dieci o quindici anni non si può rimanere la stessa persona, men che meno lo stesso autore. Anche se in linea di massima il progetto fosse già stato tutto delineato nella testa dello sceneggiatore, l’opera che verrebbe fuori non potrebbe mai essere l’ideale prosecuzione di quella interrotta.

A questo punto sarebbe forse meglio affidare il progetto ad altri, che darebbero la loro visione delle vicende all’interno di questo nuovo universo narrativo tratteggiato da Faraci.

Nuove avventure con il Capitano Nemo in programma?

Nuove avventure con il Capitano Nemo in programma?

Anche L’isola dei misteri di Artibani si conclude con un finale che tanto finale non è o, meglio, che sembra la promessa dell’inizio di nuove avventure. Complessivamente è stata una buona storia, ricca di avventura, azione e umorismo, ben sorretta dai disegni Pastrovicchio.

Dopo aver smaltito la delusione per la storia di Nucci sullo scontro tra il Manuale delle GM e Internet (da lui, che proprio sul Manuale aveva scritto un’ottima storia, mi sarei aspettato qualcosa di meno banale) e superata Rockerduck e la rottura inevitabile (Bosco/Fecchi), arriviamo alla consueta razione de Gli italici paperi (Venerus/Baccinelli).

L’ho tenuta per ultima (in cauda venenum, tanto per restare in tema) perché non so che altro aggiungere a quanto già scritto in precedenza. Complessivamente mi sembra una storia irrisolta, che non ha una direzione precisa, faccio davvero fatica a dire cos’è. Forse faccio prima a dire cosa non è, per me: non è divertente (non come vorrebbe forse), non è intrigante, non lascia con la curiosità di leggere il seguito.

Sembra quasi voler fare un “trattato” di Storia molto leggero, proprio all’acqua di rose, come in questo episodio dove vengono evidenziati i conflitti tra la cultura romana e quella ellenica (nella realtà le cose non si limitarono a qualche incomprensione linguistica), ma tutto viene reso in maniera scolastica e frammentaria, senza armonia narrativa.

Due cose in particolare di questo episodio testimoniano, a mio parere, una certa approssimazione: in un velocissimo passaggio vediamo Dinamite Bla nei panni di un censore romano. La scelta non è male in sé: il vecchio montanaro avrebbe potuto impersonare efficacemente Catone, ad esempio, con un po’ più di spazio e spiegando magari il ruolo dei censori nella Roma dell’epoca. Invece è solo un flash, una vignetta, una battuta e via, finita lì.

L’altra cosa poco riuscita è la resa dell’incomunicabilità tra romani e greci: due tavole in cui in alcune vignette sembra che parlino effettivamente due lingue diverse (uno dei personaggi dice: «non comprendo la lingua locale. Sento solo versi tipo “bar-bar”») ma il testo nei balloon è tutto nella stessa lingua (!), mentre in altre l’incomunicabilità non è a livello fonetico ma sui contenuti (la domanda sulla proporzione aurea posta a Nonna Papera, che evidentemente capisce le parole ma non il loro significato, rispondendo in altra maniera). Insomma mi sembra tutto molto confuso, ma potrebbe anche essere la noia derivante dalla lettura a restituirmi una visione alterata del tutto.

Per la parte extra-fumetto, un po’ di motti latini illustrati, un’intervista a Samuele Bersani e un breve ricordo di Gianni Rodari

Autore dell'articolo: Gianni Santarelli

Abruzzese, ingegnere elettronico riconvertito in quel che serve al momento. Il mio rapporto con i fumetti segue tutta la trafila: comincio a cinque anni con le buste risparmio della Bianconi (sovvenzionato da mia zia), poi Disney, i supereroi Corno, i Bonelli (praticamente tutti, anche se abbandonati man mano). Verso i 18 anni scopro le riviste della Comic Art, leggo "Stray toaster" di Sienkiewicz e inizio un giro del mondo fumettistico che ancora non termina. Fumetto franco-belga, argentino, americano, autori celebri e sconosciuti, tutto finisce nella mia biblioteca, molto aspetta ancora di essere letto, nel frattempo dilapido una fortuna. Su due cose sono profondamente ignorante: i supereroi "classici" (ad eccezione di Batman, per cui ho una venerazione, non leggo una storia dell'uomo ragno & c. dagli anni 80) e il fumetto giapponese. Per il Papersera, con il nick "piccolobush", collaboro all'annuale premio, scrivo qualche articolo quando necessario e mi occupo, con puntuale ritardo, del settimanale "Topolino"