Topolino 3399

18 GEN 2021
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Da un po’ ho cambiato il mio approccio alla lettura di Topolino, è stato inevitabile.

Il pubblico di riferimento è stato individuato da tempo e io (e tanti altri come me) forse non ne faccio parte. Dopotutto gli appassionati questo sono: fondamentalmente dei rompiscatole, persi nella loro conoscenza della materia, supremi guardiani di cosa sia canonico e cosa no, memoria storica di quanto scritto e disegnato. Memoria però che oltre un certo limite può diventare inopportuna dal punto di vista di chi deve ideare e vendere storie sempre nuove.

E poi, in fin dei conti, gli appassionati sono comunque pochi, molto pochi, mentre lì fuori c’è un vasto pubblico nuovo e ignorante (nel senso che, per motivi anagrafici, ignora ancora tutto ciò che è avvenuto in passato) che aspetta solo di essere conquistato. È un ragionamento che non fa una piega, da addetto ai lavori lo farei anche io.

Per questo (la prendo alla lontana) dopo aver tuonato contro il responsabile della riscrittura di Paperoidi e Ki-Kongi, dopo aver assistito impotente a una infantilizzazione sempre più marcata della rivista proseguita per anni, dopo aver subìto, rassegnato, gli ammodernamenti dei personaggi per venire incontro ai lettori più giovani, ho deciso che era inutile combattere.

Capita la tendenza e capito che non era invertibile, sono venuto ad un compromesso (unilaterale, ovviamente): “Ok, fate quello che volete, ma fatelo bene”.

In Topolino le origini: Il segreto del museo, Giorgio Fontana riscrive la storia dei primi incontri tra Topolino, Zapotec e Indiana Pipps e riesce a infrangere questo accordo (di cui non era a conoscenza ovviamente, ma ciò non lo rende meno colpevole) nella maniera peggiore:

  • mancando di rispetto agli autori originali, Massimo De Vita e Bruno Sarda in primis;
  • mancando di rispetto ai vecchi lettori che non possono accettare che si passi da un’entrata in scena thrilling del professore ad un’asettica stretta di mano;
  • mancando di rispetto ai nuovi lettori a cui viene consegnata una storiella infantile che vorrebbe essere contemporaneamente seria e leggera senza avere la forza di essere né l’una né l’altra cosa, partorendo gag e battute da cabaret dopolavoristico (la “scenetta” di Topolino impacciato al pensiero di Minni è mortificante).
Quale preferite?

Per farla breve, si passa da un antropologo di fama mondiale che Topolino riconosce dal nome e che discetta, con la giusta fantasia, di vere ipotesi storiche e archeologiche (fondate o no, ha poca importanza), a un tale che studia popoli antichi dediti ai fagioli lessi, che ha bisogno delle “intuizioni” di un ragazzino per comprendere i manufatti contenuti nel suo museo e che anziché indagare sulla possibile reale esistenza di miti leggendari è impegnato a ritrovare un sottovaso.

L’ho detto altre volte e continuerò a ripeterlo perché non voglio e non posso arrendermi alla mediocrità innalzata a valore di riferimento: i nuovi lettori meritano di meglio. Finora avevo trattato con sufficienza questa serie sul giovane Topolino considerandola superflua, certo, ma per lo più innocua. Un capriccio editoriale che sarebbe presto caduto nel dimenticatoio.

Peccato il professore non ci abbia resi edotti anche sugli effetti dei fagioli lessi

Ora credo si sia fatto un consistente passo avanti verso il dolo. Dolo, non danno, perché il disegno pare chiaro: non si tratta di leggerezze di sceneggiatura ma di una volontà precisa di tradire le caratterizzazioni originarie dei personaggi per restituirci una colossale accozzaglia di banalità.

Per me può anche non essere un problema, l’appassionato di lunga data ha la sua collezione di belle storie a cui attingere ogni volta che ne sente il bisogno e può permettersi di ignorare queste brutture, ma chi penserà a quegli inermi ed inesperti lettori là fuori?

Silhouette sinuose

Silhouette sinuose

Venendo alla storia a cui è dedicata la copertina, si tratta della nuova, lunga avventura di Fantomius scritta e disegnata da Marco Gervasio: L’inizio e la fine. Come sempre davanti ad un lavoro in più puntate, è preferibile aspettare la conclusione per un giudizio corretto. Al momento, al netto di uno spunto non originalissimo (i viaggi nel tempo sono alquanto inflazionati) e di alcuni passaggi troppo meccanici che in alcuni punti tolgono un po’ di naturalezza alla svolgimento, si prospetta una storia avventurosa e intrigante, focalizzata più sui meccanismi narrativi che sulle questioni accessorie, insomma una sorta di ritorno alle prime vicende del ladro gentiluomo e questo non può non essere che un valore aggiunto.

Sul fronte disegni, a una Lady Senape ritratta anche con una certa naturalezza e, perché no?, sinuosità, si alterna un Quackett/Fantomius a volte in pose rigidamente innaturali. Nulla che pregiudichi la lettura, comunque.

L’analisi del numero si può concludere con Zio Paperone e la Gazzella del Nord di Vito Stabile con, ai disegni, Marco e Stefano Rota: sicuramente la storia, facente parte di un ciclo di omaggi a Barks, funziona.

Agli occhi di chi già conosce i lavori dell’autore americano il tutto può sembrare già visto, dato che lo sceneggiatore realizza una sorta di fusione tra due classici come La cassa di rafano e A nord dello Yukon, ma voglio credere che l’operazione sia anche motivata dall’intenzione di far conoscere Barks a chi ancora non ha avuto modo di leggerlo, di diffondere schemi, strutture narrative, caratterizzazioni dei personaggi che sono degli evergreen e che come tali dovrebbero essere patrimonio di chiunque si avvicina al fumetto tout court, non solo disneyano.

Una scommessa troppo a cuor leggero

Da questo punto di vista sarebbe servito anche un appoggio redazionale con un minimo di presentazione del progetto, delle storie omaggiate, qualcosa di significativo insomma, anziché lasciare il lettore orfano di riferimenti per consegnargli un’inutile paginetta di introduzione.

Per essere pignoli (ma ora sto parlando da appassionato rompiscatole) il finale, fin troppo “comodo”, lascia non del tutto soddisfatti: sarebbe stato più adatto un guizzo che risolvesse la vicenda in maniera maggiormente originale, ma ce lo facciamo andare bene. Sul Rota recente, invece, mi sono già espresso in precedenza: a parte il nome, evidentemente ancora spendibile, non vengono rinnovati i fasti del passato e l’apporto (non so in quale misura) del suo collaboratore non è sufficiente per elevare il risultato complessivo.

Il numero è completato da una nuova puntata della rubrica “Luoghi da scoprire” dedicata a un particolarissimo hotel di ghiaccio (l’intervista al direttore di questo hotel è più interessante della storia abbinata, fate un po’ voi) e una doppia intervista a Sergio Cabella e Giampaolo Soldati per un’anticipazione della loro storia che verrà pubblicata sul prossimo albo.



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Autore dell'articolo: Gianni Santarelli

Abruzzese, ingegnere elettronico riconvertito in quel che serve al momento. Il mio rapporto con i fumetti segue tutta la trafila: comincio a cinque anni con le buste risparmio della Bianconi (sovvenzionato da mia zia), poi Disney, i supereroi Corno, i Bonelli (praticamente tutti, anche se abbandonati man mano). Verso i 18 anni scopro le riviste della Comic Art, leggo "Stray toaster" di Sienkiewicz e inizio un giro del mondo fumettistico che ancora non termina. Fumetto franco-belga, argentino, americano, autori celebri e sconosciuti, tutto finisce nella mia biblioteca, molto aspetta ancora di essere letto, nel frattempo dilapido una fortuna. Su due cose sono profondamente ignorante: i supereroi "classici" (ad eccezione di Batman, per cui ho una venerazione, non leggo una storia dell'uomo ragno & c. dagli anni 80) e il fumetto giapponese. Per il Papersera, con il nick "piccolobush", collaboro all'annuale premio, scrivo qualche articolo quando necessario e mi occupo, con puntuale ritardo, del settimanale "Topolino"