Topolino 3327

03 SET 2019
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“Credo alla fine sia arrivato: non è certamente il primo numero di Topolino a non avere grandi motivi di interesse per un lettore adulto, ma credo sia il primo [della gestione De Poli] in cui avverto fortemente la sensazione di essere inadeguato mentre ne leggo i contenuti”.

Scrivevo queste righe esattamente un anno fa. Era un altro settimanale, con un’altra direzione (non potevo sapere che di lì a poco la De Poli sarebbe stata sostituita da Bertani) ma quel senso di inadeguatezza non si è mai sopito del tutto ed è tornato prepotentemente con il numero di questa settimana.

Però non è tornato da solo. Si è fatto accompagnare dal senso di imbarazzo e dal senso di “ma allora ditelo che mi state prendendo per il sedere!”.

La mazzata finale mi arriva dalla storia “Reginella e il crapulongo sbadigliante”: conosco bene il lavoro di Vito Stabile in Disney e non gli si può non riconoscere un sincero amore per i personaggi e una non banalità  delle tematiche: come e perché l’autore di “Detective Donald” è quindi finito a (ha dovuto?) prestare la sua penna a questa operazione di rilancio di Reginella?

Se proviamo ad analizzare la storia facendo finta di ignorare tutto il background a cui è inevitabilmente collegata, abbiamo una avventura risibile, una storiellina per bambini, infantile, con personaggi ritratti senza nessuno spessore. Gli ingredienti? Una minaccia rappresentata da una specie di pelouche che sbadiglia (un’orrenda minaccia, davvero. O forse un omaggio a Cimino, ma un omaggio venuto proprio male), uno svolgimento surreale e nonna Papera che appare così, de botto, senza senso. Fino ad arrivare al “colpo di scena” finale con Kranz. Come dite? Non è Kranz? E’ la zia? No, guardate bene, notate l'”imprevedibile” entrata in scena, l’arma in mano, il discorsetto di rivalsa: è Kranz con la parrucca.

Più che nonna Papera mi è sembrato di leggere una storia di nonna Abelarda. Bei fumetti anche quelli, ma avevo 8 anni e a 10 già ero passato ai supereroi della Corno.

Ma il peggio è quando si realizza che al centro di tutto c’è Reginella. Il personaggio, nella sua concezione originaria, è fortemente destabilizzante per l’universo papero perché rappresenta tutto ciò che Paperina non è e non sarà mai. Anzi, che non dovrà mai essere. E’ l’amore puro e semplice.

Per forza di cose, nel fumetto Disney italiano di oggi, un rapporto del genere è intollerabile, irrealizzabile, inconcepibile. E questo si può anche comprendere (in fondo era una situazione border line anche 50 anni fa). Si comprende meno l’aver spogliato totalmente Reginella dei suoi tratti salienti: quella che era una sovrana forte nella sua apparente fragilità, disposta a metter la ragion di stato e la salvezza del suo popolo davanti alla sua stessa felicità diventa ora una scialba regina sui generis alle prese con faccende frivole come la cucina di corte, mostri che sbadigliano e fringuelli che non cantano.

Il fatto è che la Panini da tempo cerca di tenere il piede in due scarpe, alla ricerca di un difficile compromesso: da un lato un pubblico giovane che è stato individuato come quello di riferimento per la rivista, dall’altro il pubblico degli appassionati di vecchia data, facili prede (paganti) di deleterie nostalgie.

Si prende quindi un vecchio personaggio e lo si “riscrive”, lo si trasforma praticamente in un nuovo character (d’altra parte per la stragrande maggioranza dei lettori più giovani lo è comunque, nuovo) lasciandogli giusto le fattezze originali, un simulacro, una Lamia che con le sue ingannevoli fattezze adesca gli stolti romantici lettori del tempo che fu.

Operazione più che legittima, ma che mi sento di poter definire irrispettosa (il termine tecnico più calzante credo sia “paracula”, ma suvvia, adeguiamoci al lessico per ottenni).

Tuttavia si potrebbe passare anche sopra a tutto, se almeno il risultato fosse soddisfacente. Ma se le storie successive saranno simili alle ultime due, quanto ne sarà  davvero valsa la pena? Dopotutto sono anni che sul settimanale vengono pubblicate storie dello stesso basso livello (e anche peggiori), avrebbero potuto continuare ad adagiarsi sugli squallori senza necessariamente cercare il colpo ad affetto, rovinando il ricordo a chi, le storie originali, le ha amate e ha ingenuamente sperato di riviverle di nuovo.

Sul resto del numero non trovo ci sia molto da aggiungere: la prima puntata della nuova storia di Enna è interessante più per gli sviluppi che promette (e a cui allude il direttore nell’editoriale, le vicende che vedremo dovrebbero avere ripercussioni permanenti sui personaggi coinvolti) che per lo svolgimento. Come introduzione fa il suo dovere, nonostante qualche dialogo posticcio: non è ben chiaro se l’autore stia cercando complicità nel giovane lettore parafrasandone (malamente) il linguaggio o se piuttosto lo stia prendendo in giro.

In quanto a “Young Donald Duck”, l’ho già  detto che sono troppo vecchio per queste cose? Storia la cui lettura si può affrontare esattamente come la visione del film citato tra le sue pagine: proudly, shamelessly, and gloriously brainless.

Per i contenuti extra-fumetto, la rubrica dei Topoviaggi si occupa di alcuni dei parchi e giardini del nostro paese mentre per chi ama la lettura ci son alcune pagine di consigli librari.

Autore dell'articolo: Gianni Santarelli

Abruzzese, ingegnere elettronico riconvertito in quel che serve al momento. Il mio rapporto con i fumetti segue tutta la trafila: comincio a cinque anni con le buste risparmio della Bianconi (sovvenzionato da mia zia), poi Disney, i supereroi Corno, i Bonelli (praticamente tutti, anche se abbandonati man mano). Verso i 18 anni scopro le riviste della Comic Art, leggo "Stray toaster" di Sienkiewicz e inizio un giro del mondo fumettistico che ancora non termina. Fumetto franco-belga, argentino, americano, autori celebri e sconosciuti, tutto finisce nella mia biblioteca, molto aspetta ancora di essere letto, nel frattempo dilapido una fortuna. Su due cose sono profondamente ignorante: i supereroi "classici" (ad eccezione di Batman, per cui ho una venerazione, non leggo una storia dell'uomo ragno & c. dagli anni 80) e il fumetto giapponese. Per il Papersera, con il nick "piccolobush", collaboro all'annuale premio, scrivo qualche articolo quando necessario e mi occupo, con puntuale ritardo, del settimanale "Topolino"