Topolino 3345

06 GEN 2020
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Topolino 3345
E’ DoubleDuck ad augurarci Buon Anno!

Il primo numero del 2020 segna il ritorno di DoubleDuck sul settimanale a distanza di un anno e mezzo dall’ultima apparizione. Vitaliano (con Zanchi ai disegni) fa risorgere l’Actinia, apparentemente sconfitta proprio in quella occasione, per trasformarla in una P2 in versione papera e avere quindi il pretesto per richiamare in servizio il papero dalle mille vite segrete.

Caratterizzata dal tipico umorismo dell’autore, “arricchita” (non si sa bene perché) da citazioni gratuite a Fantozzi e Totò, gravata dalle storture editoriali che affliggono da tempo le storie Disney italiane, ha comunque tutto per essere una classica avventura della serie, ovvero piacevole pur con tutte le riserve del caso.

C’è un passaggio però sul quale sprecare qualche parola in più: è chiaro ormai come determinati argomenti, tra cui le armi da fuoco, siano pressoché banditi dalle storie ed è fuori di dubbio che gli autori lo sappiano fin troppo bene. Qual è quindi lo scopo di inserire una scena come quella delle pagine 41-42? Prima mostrare delle pistole e due personaggi potenzialmente pericolosi e subito dopo rivelare che le prime sono dei giocattoli e i secondi degli elementi inoffensivi?

Vorrei pensare che si tratti di un modo dell’autore per evidenziare le assurdità a cui devono sottostare, ma mi è più facile credere che non si sia rinunciato all’occasione per una gag la quale, però, stride in maniera fastidiosa con il contesto in cui viene generata.

Comunque sia, DoubleDuck resta l’unica cosa degna di nota di questo numero. Il resto è ordinaria amministrazione di poco interesse.

Zemelo era fino a non troppo tempo fa uno dei giovani autori più promettenti, con idee molto valide. Ora sembra avviato verso una discesa irrefrenabile fatta di storie irrisolte (Perfettopoli), storielle dimenticabili (le molte brevi degli ultimi due anni) e personaggi dimenticati che sarebbe stato meglio restassero tali (Nocciola e Gilberto).

Spero vivamente torni ai livelli a cui ci aveva abituato e che riesca anche a fare quell’ultimo salto di qualità a cui era atteso prima di questa lunga ed anonima parentesi.

Amelia befana per forza rientra nelle storie del periodo: è una riempitiva piuttosto riuscita, una simpatica variazione su un tema ormai difficile da trattare in maniera originale.

Paperina e la casa armonica è una anonima breve, una gag di poche pagine con Paperoga, neanche particolarmente divertente. La cito unicamente perché non riesco a capacitarmi dell’involuzione della Migheli, una disegnatrice con ormai una attività ventennale e proveniente dall’Accademia Disney che incappa sovente in veri e grossolani errori. Basti la vignetta conclusiva di questa storia come sintesi di una parabola discendente iniziata ormai da tempo.

Salati e Faccini prendono in giro il fenomeno dei gatti social, ma sono Alessandro Sisti e Giampaolo Soldati ad introdurre un progetto e un argomento decisamente più importanti: illustrare i principi basilari della programmazione, o meglio del coding. Il coding sta trovando spazio anche nelle scuole dell’obbligo con l’obiettivo non di formare dei programmatori ma di far invece acquisire una forma mentis specifica, utile anche nella vita di tutti i giorni. Questa prima puntata è essenzialmente introduttiva e priva di riferimenti specifici (il software usato dai nipotini potrebbe essere Scratch o un qualunque altro dello stesso genere) ma chissà che le successive non siano maggiormente ricche di dettagli, magari accompagnate da redazionali all’altezza.

L’albo si chiude con una nuova serie dedicata alle avventure giovanili di Indiana Pipps: Bruno Sarda non si rassegna e cerca di tenere a galla il suo personaggio più famoso rovistando nei suoi anni al college. Peccato che con l’abbassarsi dell’età del protagonista si abbassi notevolmente anche quella del target: storia, per ora, banale e rivolta ad un pubblico da scuola primaria.

Per completare coerentemente il numero, anche l’apparato redazionale è scarno e poco interessante: la rubrica sportiva di Licari, i soliti consigli per la lettura, un gattaro della rete, cose così. L’anno, insomma, non inizia certamente alla grande.

Autore dell'articolo: Gianni Santarelli

Abruzzese, ingegnere elettronico riconvertito in quel che serve al momento. Il mio rapporto con i fumetti segue tutta la trafila: comincio a cinque anni con le buste risparmio della Bianconi (sovvenzionato da mia zia), poi Disney, i supereroi Corno, i Bonelli (praticamente tutti, anche se abbandonati man mano). Verso i 18 anni scopro le riviste della Comic Art, leggo "Stray toaster" di Sienkiewicz e inizio un giro del mondo fumettistico che ancora non termina. Fumetto franco-belga, argentino, americano, autori celebri e sconosciuti, tutto finisce nella mia biblioteca, molto aspetta ancora di essere letto, nel frattempo dilapido una fortuna. Su due cose sono profondamente ignorante: i supereroi "classici" (ad eccezione di Batman, per cui ho una venerazione, non leggo una storia dell'uomo ragno & c. dagli anni 80) e il fumetto giapponese. Per il Papersera, con il nick "piccolobush", collaboro all'annuale premio, scrivo qualche articolo quando necessario e mi occupo, con puntuale ritardo, del settimanale "Topolino"