Don’t worry, be epic
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Breve analisi sul romanzo e delle sue prime trasposizioni cinematografiche e la recensione del primo capitolo della seconda trilogia di Peter Jackson basata sul mondo di John Ronald Reuel Tolkien
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Lo Hobbit o La riconquista del tesoro (il cui titolo inglese originale sarebbe The Hobbit or There and Back Again), è il romanzo con cui John Ronald Reuel Tolkien (1892 - 1973) introdusse, seppur in maniera ancora approssimata e abbozzata, il foltissimo ed immaginario universo fantasy della Terra di Mezzo, al quale si susseguirono l’epico Il Signore degli Anelli (1954-1955) e il mitico Il Silmarillion (1977) insieme ad altre innumerevoli opere concepite dal Professore nell’arco di cinquantasei anni, dal 1917 al 1973. Lo Hobbit si tratta, indubbiamente, di un piccolo gioiello della letteratura britannica che non si impone di essere un capolavoro superbo e memorabile – a meno che non ci sia tanto affezionati da volerlo così descrivere – ma di presentarsi come un semplice racconto dalla trama lineare, concepito per i lettori più piccoli, ai quali viene chiesto di entrare a far parte della grande avventura di Bilbo Baggins, un hobbit della Contea, e superare insieme a lui le mille peripezie presenti nel suo lungo cammino. In pratica l’obiettivo dell’autore sembra voler vivacizzare la fantasia dei bambini e stimolargli il piacere della lettura (in origine, oltretutto, il manoscritto era dedicato ai propri figli). Lo Hobbit, tuttavia, può essere appassionante anche ai lettori adulti, i quali coglierebbero l’entusiasmo e il talento dell’autore, e ne apprezzerebbero lo stile che, a differenza dei già citati Il Signore degli Anelli e Il Silmarillion, preferisce una perfetta ed armoniosa fusione tra il genere leggendario ed il fiabesco, senza mai preferire né l’uno né l’altro.
Il tema centrale de Lo Hobbit si basa sul cammino di formazione del protagonista principale, Bilbo Baggins, un personaggio che si divide spesso tra due lati differenti della propria personalità ereditati dalla propria famiglia: la prima, amante della tranquillità e del buon cibo è tipica della famiglia Baggins mentre quella intrepida e coraggiosa deriva dai valorosi Tuc. Tolkien, nelle vesti di narratore esterno onnisciente, non manca mai di descrivere il comportamento del mezzuomo che è ottimamente caratterizzato. Un buon lavoro è stato svolto anche per la compagnia dei tredici nani anche se a venire presi in considerazione sono solo alcuni membri (Thorin, Balin e Bombur) riducendo molto frequentemente i dialoghi del resto del gruppo ad un coretto che risponde vagamente all’unisono.
Sarà per la simpatia verso questi personaggi, la trama ricca ed elaborata o per altri motivi che Lo Hobbit, una volta avuto la sua espansione nel mercato, ha avuto un successo editoriale impressionante che ha convinto Tolkien a proseguire nelle pubblicazioni dei suoi lavori; e l’industria cinematografica, invece, a realizzare degli adattamenti.
La prima trasposizione de Lo Hobbit, risalente al 1966, sarebbe dovuto essere un lungometraggio d’animazione realizzato dalla coppia di esperti animatori Gene Deitch e Adolf Born. Il loro progetto, però, subì delle enormi difficoltà ed obbligati a realizzarlo nel minor tempo possibile, compensarono lo script in un cortometraggio di pochi minuti che, nel suo insieme, risulta incompleto (oltre a non essere animato) e quasi del tutto distante dal soggetto originale (dove diamine sono finiti i tredici nani?). Una svolta decisiva venne dal ben riuscito film animato del 1977, trasmesso nelle reti televisive, prodotto dalla Rankin/Bass Production. Tale film, fino a poco tempo fa, ovverosia prima che un definitivo adattamento del romanzo per mano di Peter Jackson diventasse realtà, era stato acclamato come la più riuscita rivisitazione del romanzo, nonostante le critiche sorte sulle differenze con il libro. I film degli anni successivi (per essere precisi due sceneggiati televisivi divisi in episodi di cui si contano una versione russa del 1984 e una versione finlandese del 1993, entrambi realizzati in live – action e non animati), non disponendo di scenografie ed effetti speciali ben curati (dato il budget molto scarso) e avendo interpreti poco azzeccati, non possono che considerarsi delle produzioni mediocri, fallite nel loro intento di riportare la magia del mondo nato dalla penna (e dal cuore) di Tolkien ma solo buona parte di essa.
Ma ora veniamo alla recensione di questo nuovo film. Scrivere e giudicare Lo Hobbit è molto difficile, in parte perché si è consapevoli che si tratta di una rivisitazione di una fiaba parecchio distante da quelle che saranno le atmosfere cupe e drammatiche de ISDA, in parte perché si attende sempre il meglio dal regista che più di ogni altro ha saputo lodare la settimana arte, divenendo un simbolo e un punto di riferimento per molti aspiranti autori. Lo Hobbit, secondo il mio parere, è un grandissimo film, un piccolo gioiello che incanta durante tutta la visione pur non raggiungendo quelle vette emotive altissime che la precedente trilogia riusciva a trasmettere. Sin dal prologo è evidente come il regista abbia intenzione di omaggiare il lavoro svolto da Tolkien descrivendo, o attraverso l’introduzione di Bilbo anziano o per bocca del nano Balin, nei minimi particolari quel grandioso mondo letterario che continua ancora ad affascinare lettori di tutte le età. Una così precisa e dettagliata analisi non lo si ritrova in nessun altro film fantasy tratto da romanzo. Nell’insieme, dunque, Lo Hobbit è un assicurato spettacolo che, pur avendo un’iniziale prima parte caratterizzata da toni lenti e ripetitivi, lascia trasportare ed entusiasmare lo spettatore come poche produzioni sanno fare. Ciò è merito anche degli attori, primo su tutti Martin Freeman, completamente incarnato nel ruolo di Bilbo Baggins, ma anche Richard Armitage e Sir Ian McKellen. Potrei aggiungere molte altre cose ma mi fermo qui. In definitiva, il mio voto è: [smiley=voto5.gif]