Pochi articoli, niente posta, niente anticipazioni, due strisce per pagina… ma l’albo è davvero buono, di gran lunga superiore agli ultimi due numeri. La copertina di Rota è bruttina ed affrettata e non riesco a digerire ancora il cambiamento stilistico del giornale, ma l’articolo di Boschi è davvero accurato ed interessante, pieno di curiosità (come ad esempio la genesi dei nomi originali dei nipotini). E poi ci sono le storie.
Zio Paperone – La Prigioniera del Fosso dell’Agonia Bianca (Don Rosa): la storia attesissima da donrosiani e non. Per tempi, atmosfere, ritmo e dialoghi non eccelle certo tra le storie di Don, ma rimane comunque un otima storia confezionata con dovizia. L’inizio, soprattutto la prima tavola, è un po’ legnoso (e non troppo originale, sopratutti per i donrosiani “veterani”), ma poi si procede speditamente; peccato per la divisone in episodi che frammenta il ritmo e frena bruscamente la storia. La trama è, come al solito, ben orchestrata e Don non manca di inserire la sua rivisitazione in chiave comica di alcune personalità realmente esistite. A tal proposito devo fare una nota di disappunto per l’apparizione di Wyatt Earp, il cui personaggio non collima, né caratterialmente, né fisicamente, con quello incontrato da Scrooge nell’ottavo capitolo della Saga, L’Argonauta del Fosso dell’Agonia Bianca. Davvero strano per un nerd… ehm… un filologo del calibro di Rosa. Ma questo non intacca la bellezza della storia, che con le sue battute dissacratorie dagli ameni doppi sensi entrerà di sicuro nelle storie-tabù della Disney. Tuttavia bisogna ammettere che l’universo di Don, e questa storia ne è la conferma, si discosta leggermente dal Dinsey tradizionale e, anche se rischio di attirarmi gli schiaffoni virtuali di qualcuno, oserei dire che l’autore del Kentucky abbia modellato a suo piacere l’universo di partenza, creandone uno suo, personale ed autonomo da non confondere con l’originale. E’ per questo che in alcuni tratti la storia non sembra essere Dinsey e magari i tradizionalisti più ferrei rimarranno scioccati da questa avventura. Ma chissenefrega dei tradizionalisti, dico io, questa storia è uno splendido esempio do come si possa uscire dagli stilemi tradizionali senza dover necessariamente snaturare i personaggi. Non ho gradito molto, invece, l’esaltazione delle abilità di Paperone; Don ne aveva già fatto un uso comico e più sapiente in passato, ma qui si eccede con un cercatore che sfiora quasi l’onnipotenza assuefacendo il lettore alle scene surreali, a tal punto che l’inseguimento finale, di per sé fantastico, finisce per stancare. E poi, oddio, in Cuori dello Yukon Don aveva creato uno splendido gioco di contrasto/complicità tra Paperone e Doretta, un gioco implicito, più intrigante e ambiguo, mentre qui è tutto toppo esplicitato e il rapporto di odio/amore tra i due è troppo asettico e scisso in finto odio/vero amore, quando nella storia sopra citata formava un sentimento unico, più inafferrabile ma decisamente più affascinante. Questo rapporto si ritrova un po’ nella scena del “combattimento” finale tra i Paperone e la Stella del Polo (bellissima l’ultima striscia di p. 36!) che dopo cade un po’ troppo nell’esplicito (ma cosa fanno dopo, per tutta la giornata?!? Abbiamo capito da dove arriva Paperetta Yè Yè…). Fortunatamente gli inchiostri non sono troppo pesanti come pronosticato, e il disegno ne trae beneficio. Brutti invece i flashback da altre storie, ora di Don, ora di Barks, che creano un odioso miscuglio Barks-Don-ibrido Barks/Don. Insomma, Rosa avrebbe potuto sistemare le cose un po’ meglio, ma la storia con il suo spirito, le sue gag, le sue scene d’azione risulta veramente una delle più belle degli ultimi tempi.
Paperino Chiromante (Pedrocchi/Pinochi): c’era una volta un genio. Un genio di nome Federico Pedrocchi, che sapeva imbastire una trama che sarebbe stata incredibilmente attuale dopo 66 anni; una trama calata in un contesto a metà tra la realtà rurale di Gottfredson e quella borghese delle stips di Al Taliaferro, dinamica, satirica, irriverente, spiritosa. Quel genio era in grado di caratterizzare splendidamente un misconosciuto Paolino Paperino, rendendolo sì iracondo e pasticcione ma anche astuto, burlone e risoluto. Per non parlare poi di un magnifico Pippo, un po’ sciocco “alla Disney Italia” ma non troppo, caratterizzato sempre e comunque dalla sua logica sconclusionata ma impeccabile. O di un Gambadilegno credulone, o di un Eli Squick disincantato, che risulta paradossalmente “cattivo” pur essendo nel giusto. Beh, non si può far altro che elogiarlo un genio così e ringraziare caldamente la redazione di Zio Paperone per averci regalato la possibilità di gustare la sua maestria sotto le feste. I disegni sono ovviamente ingenui, ma intrisi di un fascino morboso “vecchio stile”.
Possiamo aspettarci di più dopo questi due capolavori? No, e infatti l’albo prosegue con uno scialbo riempitivo, Nonna Papera e i Corvi di Natale (?/Bradubury), di cui avrei fatto volentieri a meno, e con la tanto criticata storia a due strisce per pagina, Zio Paperone e il Problema dei regali (LØkling/Midthun) breve storiella natalizia, non malaccio; discreta, direi, con quale felice gag (lol per i nipotini smaliziati: “…comportamento generalmente buono.” Punto.). Disegni invece fondamentalmente buoni ma imperdonabilmente affrettati.