Recensione Topolino 3441 È un albo esemplare della gestione Bertani, il 3441. Da un’avventura di ampio respiro ad una con protagonisti i bimbi dell’universo Disney, passando per un perfetto esempio di sincretismo e
worldbuilding, per una storia volta alla modernità e per un classico vecchio stile,
questo numero di Topolino tocca più o meno tutte le corde dell’odierna vision del settimanale. Ma andiamo con ordine.
La storia d’apertura rientra in quel filone di eventi
una tantum che da un anno e mezzo ravvivano il folklore topoliniano.
Paperin Pigafetta oltre i confini del mondo va infatti ad inserirsi nel solco già tracciato da
Sir Topleton e la sfida al grande bianco e da
Topolino, Pippo e la scalata del secolo.
Storie che vivono più del viaggio che della meta, rappresentando un nuovo punto di vista sulle avventure disneyane, più intimista ed in linea con il taglio attuale.
Pietro Zemelo imbastisce una storia che sa prendersi i suoi tempi e permette a chi legge di riscrivere il proprio rapporto coi personaggi dai volti tanto conosciuti: Pigafetta non è la classica estensione di Paperino, e il lettore ha modo di affezionarcisi individualmente; lo stesso vale per il barbuto Paperon Magellano e per Barboso/Pico. Sono personaggi caratteristici e capaci di stimolare simpatie e curiosità verso il loro viaggio interiore.
Perfettamente a suo agio, Zemelo fa accomodare anche noi davanti ad
una sceneggiatura che trascende il proprio periodo d’appartenenza, a tratti classica nelle atmosfere, ma nuovissima nelle emozioni. Ai disegni
un ispirato Paolo Mottura, che ci regala personaggi vivi, memori dell’
altra sua avventura marinaresca, con colori altrettanto caldi e coadiuvati dai chiaroscuri tipici dell’autore, rendendo in definitiva questa storia la punta di diamante del numero.
Il più duro dei duri in tutte le sue incarnazioni Lo stesso Zemelo riappare oltre la metà del numero con
una storia cui eccezionalmente partecipa come disegnatore:
Paperino pastore cittadino. Su testi di
Marco Bosco, questa è una classica riempitiva vecchio stile senza particolari guizzi. Il novello disegnatore però supera brillantemente la sua prima prova su
Topolino, con
un tratto molto fresco e moderno ma dalla forte radice carpiana.
Una radice che qui e lì forse spicca un po’ troppo, con pose effettivamente talmente simili al proprio riferimento da andare in contrasto col resto delle vignette. Uno stacco assolutamente netto con la sua “prova zero” sul
Ridi Paperoga di qualche estate fa. In sostanza,
un futuro promettente attende lo Zemelo disegnatore e nasce spontanea la curiosità di leggere, prima o poi, una storia da autore unico.
È un mondo piccolo!
Totalmente diverso è, invece, il tipo di avventura che caratterizza
Foglie rosse: Interludio. Forte ormai di un genere che è sempre più suo,
Claudio Sciarrone costruisce l’ennesima prova riuscita da sceneggiatore
per ragazzi con una storia
su dei ragazzi. Tip, Tap, Phil e l’intera banda (musicale) vivono
un’avventura dal sapore onirico, ma pregna di quel desiderio di conoscere il mondo che le generazioni d’oggi provano costantemente.
Mentre sullo sfondo continua a muoversi la trama che, partendo dalla prima, ci porterà alla seconda saga, ad essere protagoniste indiscusse sono
le panoramiche che l’artista realizza magistralmente in una carrellata mozzafiato che fa eccellente uso della gabbia libera. Sciarrone sembra aver trovato una nuova dimensione, fatta di tecnologie avanzate e sapori nostalgici della Generazione X cresciuta con
Topolino e non solo.
Grosso Guaio a Paperopoli, dal canto suo, rappresenta invece un tassello particolare dell’albo. La prima puntata è, infatti,
una finestra sul mondo Disney, capace di fare un attimo il punto su tutto ciò che di recente è avvenuto sul settimanale.
Non è un concetto cui il classico lettore di Topolino è abituato, ma come pochi riesce a rappresentare l’anima attuale del
magazine, dove tutto ciò che accade… accade: non c’è più Topolino che incontra Babbo Natale per l’ottava volta come se fosse una novità o Paperino che scopre la quarta Atlantide, perché
ora ogni cosa permane.
La storia si apre con Topolino che, dopo aver raggiunto la casa di Paperino, discorre amabilmente con i nipotini facendo espliciti riferimenti alla
Calisota Summer Cup, a
Musicalisota, allo stesso
Foglie rosse e a
Topolino le origini, che vanno ad aggiungersi a
Minni prêt-à-porter, già menzionata nel prologo, e al ciclo di Paperinik dello stesso
Marco Gervasio. La storia infatti va quasi ad incastrarsi più in quest’ultima serie di storie che non in una di Mickey.
Il
team riprende infatti
Paperinik e la minaccia alla fattoria, con
un validissimo Giuseppe Facciotto che, come allora, si diletta con delle suggestive inquadrature di Paperopoli, rendendola una città estremamente credibile e solida. Ai testi, Gervasio continua nella costruzione del thriller dello scomparso giornalista,
affiancando a Topolino proprio Paperinik. I due costruiscono un rapporto… frizzante, totalmente in contrasto con quello “diurno” tra il Topo e Paperino.
Abituato a poliziotti più cordiali, eh Topolino? Nonostante ciò, quest’interazione è coerente con quelle che il (nuovamente) diabolico vendicatore sta vivendo oggigiorno con altri comprimari, e ha la
verve necessaria a rendere la narrazione più interessante giocando proprio sul contrasto tra due attori che altrimenti sarebbero semplicemente inarrestabili.
Tra le storie meno riuscite del numero, invece, c’è un nuovo episodio di
Calisota Social Media,
Brigitta e l’alleata inusitata. La storia rientra nel filone delle serie pseudo-divulgative di
Alessandro Sisti ma, come accaduto a volte in passato, riesce poco nell’intento, diventato piuttosto un semplice gioco di equivoci e situazioni su un incipit vagamente moderno (in questo caso Facebook). Poco c’è da aggiungere sulla storia il cui finale, con un rinnovato intendersi tra Brigitta e Amelia, è quantomeno non convincente.
Funzionali ed espressivi, invece, i disegni di Federico Franzò.
Voto del recensore:
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