Recensione Topolino 3508 Un numero
un po’ sottotono questo 3508 che, come un architrave, prova a sorreggersi sui due pilastri costituiti dalle due storie a puntate iniziale e finale. Pilastri che pur svolgendo dignitosamente il loro compito architettonico, lo fanno traballando qui e lì, senza convincere pienamente.
Ma andiamo con ordine.
La storia di apertura ci trasporta attraverso le sabbie del tempo fino all’
antico Egitto. In maniera inusuale rispetto a quanto siamo stati abituati, però: non fino al tempo di massimo splendore della civiltà dei faraoni ma diversi secoli dopo, per la precisione durante
l’età ellenistica.
La prima puntata de
Il principe delle sabbie è ambientata ad Alessandria, città fondata nel IV secolo a.C. da Alessandro Magno, al tempo della dinastia tolemaica. Siamo dunque dopo la morte del grande condottiero macedone, quando il suo enorme impero fu scorporato e diviso in quattro regni diversi.
Questa nuova saga, suddivisa in
cinque episodi, nasce da
uno spunto dello showrunner Alex Bertani e vede ai testi il fedelissimo
Francesco Vacca e alle matite un
Giuseppe Facciotto in
back-to-back dopo la convincente prova sfornata con
Paperino e il turista spaziale su
Topolino 3507.
La prima puntata è interlocutoria, ha lo scopo di presentare luoghi e personaggi. Vacca impiega gran parte delle prime tavole per contestualizzare: il protagonista è Topolomeo, un giovane Mickey che, da erede della corona tolemaica,
scalpita per agguantare il suo posto nel mondo.
Ce lo presenta in un lungo dialogo con il suo precettore, impersonato dal dottor Enigm, in cui
Topolomeo descrive ai lettori i suoi sogni e le sue aspirazioni e, al contempo, li mette al corrente delle meraviglie della società di Alessandria, capitanate indubbiamente dal leggendario Faro storicamente annoverato tra le sette meraviglie del mondo antico (e di cui un ellenistico Orazio è orgoglioso custode).
Città che Facciotto, con le sue tavole, è riuscito a rappresentare in maniera molto interessante.
Alessandria la grande
Nella rassegna di personaggi che successivamente viene presentata troviamo le versioni tolemaiche di
quasi tutti gli standard character topolinesi (Pippo, Gambadilegno, Zapotec, Marlin, zia Topolinda, Minni, Clarabella, addirittura lo zio Mortimer in un inedito ruolo “genitoriale” per Topolino).
Pleonastica la gag ricorrente che vede andare di volta in volta ad alludere al ruolo che tali personaggi hanno nel presente (esempio perfetto è l’accenno di Zapotec e Marlin alla macchina del tempo).
Motore dell’azione è un Gambadilegno particolarmente infido, che Topolomeo invece crede suo amico, che incoraggia il protagonista a lasciare la città in compagnia di Pippo contravvenendo alle volontà del sovrano. Guai si prevedono per il giovane topo, ma ci vorranno ben altre quattro puntate per dare definitivamente un giudizio a questa
avventura che, per ora, è partita con il freno a mano tirato.
La storia conclusiva invece è la seconda e ultima parte di
Topolino e il ragazzo venuto dal freddo che ha visto
il ritorno da autore completo di Alessio Coppola con una storia lunga. Un giallo per la precisione.
Si tratta di una storia comunque di intrattenimento in cui la parte migliore della trama è costituita dal primo episodio e dal relativo
cliffhanger in conclusione di puntata. Questa seconda parte riprende la narrazione proprio da dove era stata lasciata, con Topolino tramortito da una figura misteriosa.
La vicenda si dipana in maniera abbastanza lineare, anche se ha
il merito di costruire un sottobosco di ambientazione e personaggi particolarmente originale e insolito. Topolino agisce in piena autonomia, con l’ausilio del solo Pippo, tra i personaggi classici, importante nella risoluzione finale ma assente nelle fasi più concitate della vicenda.
Topolino pareva tanto leggero…
Allo stesso Topolino a sua volta viene assegnato
un ruolo alla “predatori dell’arca perduta”: presente in tutti i momenti più salienti dell’avventura, raramente il suo ruolo risulta fondamentale e decisivo.
Seguendolo durante la storia infatti notiamo i suoi colpi di testa (in tutti i sensi), gli errori e le deduzioni per poi renderci conto che la soluzione era dall’inizio disponibile a casa sua:
un colpo di scena valido che impreziosisce la storia. Meno efficace il ruolo del “cattivo di turno”, che non compare nella vicenda se non al momento della risoluzione.
L’ambientazione “spionistica” e le molte scene ambientate di notte contribuiscono a creare
una certa atmosfera da film noir, anche se capita all’interno della storia che i volti dei personaggi non accompagnino degnamente la narrazione risultando spersi, con lo sguardo fisso e talvolta conferendo a chi legge una sensazione di inespressività.
Belle alcune soluzioni di regia, come quella di tavola 123 che ben raffigura l’incedere lento ma costante di un uomo che trascina un corpo esanime.
Qui Quo Qua vecchie turbine nuova energia è una buona storia, che non resterà certamente nella memoria comune ma che si lascia leggere con piacere.
Classica avventura dei ragazzi di Area 15 che continuano nella loro incessante ricerca artistica in tutti i vari campi dell’intrattenimento: se solo qualche settimana fa si sono dedicati al fumetto ora
è già tempo di partecipare a un contest cinematografico nell’interessante
location rappresentata dalla vecchia centrale elettrica di Paperopoli (che ovviamente appartiene a un multi-multi di nostra conoscenza).
Il fascino dell’archeologia industriale
La trama messa su da
Sergio Cabella non ha spunti particolarmente originali ma
è arricchita dalla freschezza delle interazioni tra i personaggi, oltre che da una svolta “
mystery” nel mezzo che non era completamente necessaria.
Alessandro Pastrovicchio fa un buon lavoro anche se apparentemente molto meno ispirato rispetto agli straordinari disegni che avevamo visto in
Viaggio nella Luna. Riesce in ogni caso a tratteggiare molto bene le ambientazioni e gli sfondi della vecchia centrale, esempio pertinente di archeologia industriale.
Paperino goccia dopo goccia è invece una super classica breve in cui Paperino ha un problema e, grazie ai suoi tentativi maldestri per risolverlo, questo si ingigantisce fino a diventare un vero e proprio disastro.
In particolare
il riferimento al lavandino non è particolarmente originale, e in questo caso anche l’umorismo di
Tito Faraci non sembra ispirato nel complesso;
è comunque godibile la trovata finale. Sul lato grafico
Andrea Maccarini fa un lavoro interessante: da tenere sott’occhio.
Anche
Zio Paperone e la lettera del primo socio, sceneggiata da Massimiliano Valentini, è una storia che
può senz’altro essere definita “classica”.
Classica è la premessa, con immancabile sfida tra ricconi che nasce al club dei miliardari.
Classico è anche il finale con pasto a base di copricapi conditi.
Nel mezzo, una classica sceneggiatura tra battibecchi e tentativi di superare l’avversario in abilità e furbizia.
Unica variazione sul tema l’esito della sfida, una vittoria di Pirro, a dirla tutta, che porterà in ogni caso al ben noto finale.
Marco Palazzi non spicca e non sfigura per un risultato complessivo che potremmo definire… classicheggiante.
In definitiva
un numero che manca di quel guizzo (in positivo, ma anche in negativo) che inviti la gente a discuterne. Un albo che raramente farà altri viaggi al di fuori della libreria che, a fine lettura, sarà stata deputata ad ospitarlo.
Voto del recensore:
2.5/5Per accedere alla pagina originale della recensione e mettere il tuo voto:
https://www.papersera.net/wp/2023/02/23/topolino-3508/Ora è possibile votare anche le singole storie del fascicolo, non fate mancare il vostro contributo!