Recensione I Grandi Classici Disney 103 Il numero dei
I Grandi Classici Disney 103
rompe la tradizione che vuole la copertina dedicata alla vicenda di apertura, preferendo richiamare in essa la prima storia della sezione
Superstar, il cui argomento è stavolta la fantascienza in salsa Disney.
Se si tratti di scelta estemporanea o di prassi da qui in poi, solo il tempo ce lo potrà garantire. Però, sia concesso di dirlo, probabilmente è stato scelto il numero sbagliato per distaccarsi dalla consuetudine, giacché la storia che apre il volume,
Topolino e lo strano caso del furgone scomparso (
Martina/Scarpa-Del Conte), è, a mani basse, la migliore del tomo. La trama racconta un tipico giallo martiniano di quel periodo d’oro, per il genere e per lo sceneggiatore, che furono gli anni Settanta: plausibile, “vera” pur nei confini disneyani e limitatamente a quello che era possibile in quell’arco temporale, vivida nel tratteggiare, in poche vignette, la personalità anche dei personaggi minori, essa è un perfetto meccanismo ad incastro che ben esalta le capacità deduttive di Topolino detective. I disegni di Scarpa, impreziositi dalle chine di Del Conte, fanno il resto, appunto trasmettendo in modo assolutamente esemplare le emozioni ed il senso di tensione che la magistrale sceneggiatura voleva comunicare al lettore.
Segue
Zio Paperone e il sistema antifurto (
Missaglia/M. De Vita), che potrebbe apparire solo come una delle eterne sfide tra il Vecchio Cilindro e la Banda Bassotti, ma che in realtà ci dà un perfetto spaccato di una concezione cinica e comica al contempo dei personaggi Disney probabilmente oggi improponibile, ma assolutamente in voga nell’anno di uscita della storia (1965); concezione che però ci appare così naturale da farci rimpiangere quei tempi nei quali le sfide tra Paperone e la Banda erano veramente senza limiti o regole. Seguono risate e gag continue, tratteggiate da un Massimo De Vita ancora acerbo, ansioso di staccarsi dai maestri che ammirava e sulla strada per farlo, eppure già godibilissimo per il lettore.
Paperino a “Botte o risposte?” (
Martina/Perego) è invece la dimostrazione di come un maestro come Martina sin dai primordi fosse in grado di leggere la società italiana a lui contemporanea, e conseguentemente di metterla in burla nelle sue debolezze e nelle sue meschinità trasferendo queste ultime in una storia ove i personaggi Disney prendono il posto dei normali cittadini ed amplificano tali difetti, sino a parodiarli senza pietà e a strappare grasse risate al lettore. Pur nelle ingenuità tipiche dell’epoca (correva l’anno 1956) e nei riferimenti espliciti all’ormai mitologico quiz
Lascia o raddoppia?, la storia scorre via liscia senza avere perso alcunché della sua cattiveria, che anzi è forse maggiormente comprensibile nelle sue sfumature più ciniche ai nostri giorni che all’epoca: infatti, il famoso quarto d’ora di celebrità concesso a gente che nulla sa fare è diventato la base di un certo tipo di TV moderna, estrema ed insulsa allo stesso tempo per smania di protagonismo di gente totalmente incapace che si spaccia per fenomenale al solo scopo di apparire. Perego in fondo svolge bene il suo compito: le sue figure non sembrano prive di espressività o di dinamismo, benché non siano comparabili ad uno Scarpa o ad un De Vita. Sia chiaro che si sta facendo un complimento, e non una critica, al disegnatore, meritevole, a parere di chi scrive, di maggiori onori rispetto a quelli tributatigli in generale nel tempo.
Adesso nessuno potrà dire di non sapere cosa significhi “abigeato”. Ah, i bei tempi nei quali
Topolino aveva anche una funzione didattica…[/size][/i]
Chiude la parte standard del numero
Zio Paperone e il ballo in maschera (
Mazzanti/P.L. De Vita), prima storia pubblicata in questo volumetto dello sceneggiatore cui è dedicata la maggior parte dei redazionali. La trama è un gradevole fuoco di fila di gag al confine col demenziale, che però scorre via liscia tra una follia e l’altra, a differenza della vicenda successiva, della quale subito diremo. Pier Lorenzo De Vita disegna da par suo, con il suo stile estremamente divisivo: apprezzarlo o meno, riteniamo, è davvero solo una questione di gusti, ma alcune espressioni, tipo quelle di Paperino e Gastone che si insultano a colpi di reati più o meno rispondenti al caso in esame, restano impagabili.
Prendiamo nota: nello spazio siderale si respira tranquillamente, e non fa nemmeno quel freddo glaciale che descrivono gli scienziati![/size][/i]
Venendo quindi alla sezione
Superstar, essa si apre con
Astralpippo n. 9999! (
Mazzanti/Carpi), alla quale, come accennato, è stato concesso l’onore della copertina.
In un numero dedicato prettamente ad Attilio Mazzanti, era forse inevitabile pubblicare la sua prima storia in assoluto, che risente palesemente della corsa allo Spazio partita negli anni Cinquanta del Novecento, e proseguita a velocità folle nei successivi Sessanta.
Anche letta in quest’ottica, però,
la storia si rivela davvero inconsistente ed insensata, perché essa appare essere solo una fusione di gag stiracchiate e malriuscite, prive di un vero filo conduttore ed affastellate a caso, senza però che la trama prenda quella piega davvero demenziale che forse l’avrebbe salvata. Se solo la paragoniamo con la storia sopra citata, anch’essa sarabanda folle ed assurda di gag, si nota subito come essa abbia una sua coerenza di fondo che totalmente manca in
Astralpippo n. 9999!, anche solo per quel che riguarda aspetti banalissimi ed inaccettabili già negli anni Sessanta, come ad esempio i personaggi che, senza tute o caschi, respirano bellamente nello Spazio profondo o comunque fuori dall’atmosfera terrestre, il tutto senza congelare all’istante.
Neppure i disegni di Carpi, buono ma non certamente al suo meglio, risollevano la storia, che fallisce miseramente anche nel tentativo di strappare delle risate. Cionondimeno, la sua pubblicazione risulta alla fine apprezzabile se si guarda all’aspetto filologico della testata, che, come già visto in precedenti recensioni, rende perfettamente comprensibile ed accettabile il suo inserimento nel numero che stiamo esaminando.
Il rotocalco di Paperino: Astronauta per ripicca (
Lockman/Bradbury) è invece una breve americana del tutto dimenticabile, inserita probabilmente solo per questioni di tematica e di foliazione compressa dalla lunghezza di
Astralpippo n. 9999! (ben 62 pagine). Dubitiamo sinceramente che possa lasciare un qualsiasi ricordo nella memoria di chi l’avesse letta.
Anche
Topolino e l’impresa cosmosubacquea (
Dalmasso/Carpi) risente della corsa allo Spazio già descritta. Purtroppo, trattasi di un’altra avventura non certo memorabile, quasi ingenua nel suo svolgersi, dove tutto è prevedibile e dove Topolino appare sin troppo perfettino per essere eroe gradito e gradevole. Si salvano tuttavia molte battute, soprattutto quelle sui politici che si scontrano violentemente.
Se, però, si raffronta il Mickey qui raffigurato con quello di Topolino e lo strano caso del furgone scomparso, risulterà evidente la differenza tra il perfettino inviso a molti e il detective che tutti abbiamo apprezzato: a modestissimo parere di chi scrive, sono storie come questa, e non come i gialli martiniani scritti bene, ad avere reso odioso Topolino ad alcuni, con le ricadute che ciò ha comportato sulla popolarità del personaggio. Se vista in questa ottica di comparazione tra storie, anche la pubblicazione di
Topolino e l’impresa cosmosubacquea potrebbe forse avere un suo labile senso all’interno di questi
Grandi Classici Disney, ma il condizionale impiegato ben rende il dubbio che forse di meglio si sarebbe potuto scegliere. Carpi stavolta ci mette davvero del suo, e l’espressività di alcuni personaggi secondari altro non è se non un gradevole valore aggiunto ad una storia che poco altro merito ha per essere apprezzata.
A chiusura delle storie
Superstar e del numero, troviamo
Topolino e il mistero del Tritele (
Mazzanti/Bramante), sempre in onore dello sceneggiatore approfondito questo mese. Mazzanti prosegue col propinarci una fantascienza messa in ridicolo dal suo stesso autore, dove la tecnologia appare così assurda da risultare incredibile ed inverosimile anche più di sessant’anni dopo, ed è forse qui la colpa peggiore di questo tipo di storie: il metterci sempre a forza marchingegni impossibili che sembrano essere più dei fastidiosi
dei ex machina che dei veri e propri accrocchi futuribili capaci di dare un senso alla storia stessa. Probabilmente siamo noi lettori moderni troppo smaliziati per goderci questo tipo di trame, ma il senso di vacuità delle stesse è pienamente avvertibile. Bramante tratteggia i personaggi nel suo classico e morbido stile: sicuramente è godibile ed espressivo, anche se è lecito avere qualche perplessità sull’eccessiva staticità di alcuni
characters secondari.
Dare un voto a questo numero non è facile. Anche volendosi adeguare alla filologia che ha imposto la pubblicazione di alcune storie sintomatiche di Mazzanti, viene davvero da chiedersi se la produzione dell’autore non offrisse proprio di meglio che
Topolino e il mistero del Tritele, da affiancare a
Zio Paperone e il ballo in maschera e ad
Astralpippo n. 9999!. Ce lo domandiamo perché probabilmente l’avere pubblicato nello stesso numero storie assolutamente ingenue, come quella di Lockman e Bradbury o come
Topolino e l’impresa cosmosubacquea, ha quasi certamente fatto venire a noia al lettore, come è successo a chi scrive, un certo modo
naif di narrare, tipico degli anni Sessanta del secolo scorso, ma oggi di difficile sopportabilità. Probabilmente, scegliere altre storie dal taglio più realistico, come
Topolino e lo strano caso del furgone scomparso, avrebbe attenuato tale sensazione di tedio e di ripetitività nel fruitore, ed avrebbe reso molto più gradevole la lettura di questi
Grandi Classici Disney nuova serie.
Siamo lieti (anche se in realtà non vorremo farlo per alcun motivo) di presentarvi un rimaneggiamento del testo di quelli che ci fanno davvero arrabbiare per la loro incomprensibilità.[/size][/i]
A parte questo, il numero non è esente da ulteriori pecche. Se vogliamo partire da quella di minor conto,
non ci è dato intendere perché i redazionali dedicati a Mazzanti sembrino pubblicati in punti a caso del giornale, anziché laddove sarebbero dovuti stare meglio: ossia a fianco delle storie che gli stessi disaminano. Ci sembra una cosa così ovvia, che davvero non comprendiamo certe scelte, a meno che i redazionali non debbano avere posizioni così tassativamente fisse, da non poter essere spostati a discrezione del redattore, per quanto questo non ci paia avere qualsivoglia senso o logica.
Più grave è invece l’inversione della seconda e della terza tavola di
Topolino e l’impresa cosmosubacquea. Se si considera, ad esempio, che la versione pubblicata nel 1996 su
Topomistery 48 non presentava tale problema, viene istintivo chiedersi da dove sia saltato fuori e perché nessuno l’abbia notato.
A mezzo si colloca il perenne problema di presentare storie comunque rimaneggiate. Se da un lato ringraziamo per aver lasciato in
Zio Paperone e il ballo in maschera la vignetta dove si spiega cosa sia un “cadì” con gli espliciti riferimenti religiosi del caso (e ciò in una storia dove altri rimaneggiamenti del testo sono graficamente palesi), ci chiediamo come si possa sempre in
Topolino e l’impresa cosmosubacquea (del 1963, non si dimentichi) parlare di computer, con fumetto evidentemente modificato, invece del probabile “elaboratore” o “cervello elettronico” che originariamente, azzardiamo, si doveva trovare nel
balloon.
Dunque, se non fosse per la storia di apertura (godibile gioiello anche se pure essa presenta visibili ritocchi al testo), la quale dovrebbe essere di richiamo per tutto il pubblico che non l’ha mai letta,
questo è un numero dove la filologia domina sulla qualità delle storie. Ma l’eccessiva mediocrità di alcune, aggiunta alle pecche di cui sopra, la quale ci ha portati a chiederci se proprio non vi fosse di meglio da pubblicare e con minore trascuratezza, non ci consente di dare un voto troppo alto.
Voto del recensore:
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