la volontà di creare una sorta di continuity fra le storie, che secondo me col canone autoconclusivo disneyano ci azzecca molto molto poco.
Inizio scrivendo una premessa che ritengo alla base di quello che io chiamo "Il Grande Equivoco", e cioè che non esiste alcun canone autoconclusivo disneyano, così come non esiste nulla che si possa chiamare "canone" disneyano. C'è infatti un problema di fondo: la Disney non è, e non è mai stata, la Marvel, ed ha sempre trascurato il ramo fumettistico della sua attività, dedicando la quasi totalità delle sue energie al settore cinematografico, poi a quello televisivo, poi ai parchi a tema e al merchandising, e questo sin dai tempi di Walt. I fumetti sono sempre stati appaltati ad autori che hanno lavorato in maniera indipendente dalla casa madre, con solo poche linee guida da seguire, sparsi dapprima in tutta l'America e poi in tutto il mondo, ben consapevoli di questa situazione ma senza nulla conoscere dei lavori e persino dell'esistenza di altri autori. E allora, se inizialmente la continuity era ben presente, come si vede dalla successione delle storie di Topolino nella seconda metà degli anni '30, già dagli anni '40 la diversificazione porta alla nascita di tanti universi disneyani, praticamente uno per ciascun autore, e ognuno caratterizzato da parentele diverse, stereotipi diversi, diverse interazioni fra i personaggi, persino caratteri diversi (i Paperi di Martina hanno poco in comune con quelli di Rosa, ad esempio). Mantenere la continuity, in assenza di coordinazione da parte della casa madre (che, ripeto, non è la Marvel) non era possibile, e diversi autori, consapevoli di ciò, non hanno esitato persino a contraddire sé stessi, con Maestri come Martina e Cimino che hanno preferito l'italiana formula del "canovaccio" (=infinita ripetizione, con minime varianti, della stessa situazione) alla coerenza interna, a fronte del solo Scarpa che invece ha cercato di mantenere una certa continuity, non solo interna alle sue storie, ma collegata a quelle di Gottfredson.
Ecco quindi il Grande Equivoco: ogni autore ha il suo canone, che può essere in continuity (Rosa, Gervasio, Scarpa, Nucci) o no (Barks, Martina, Cimino), e può essere in continuity con altri autori (Scarpa con Gottfredson, Rosa con Barks, Gervasio con Rosa) o no (Nucci). Non esiste un canone disneyano, ne esiste uno rosiano, uno gervasiano eccetera, ed altri autori non ne hanno uno.
Premesso ciò, è indubbio che negli ultimi anni la direzione della rivista stia spingendo nella direzione "maggior continuity" un po' dappertutto, ma credo che non ci sia alcun diktat, come ben si vede dal fatto che la maggioranza delle storie continui a farne a meno: nel numero 3584 vi sono tre storie su quattro del tutto prive di continuity ed anche quella con le Giovani Marmotte si limita a poche citazioni, quasi tutte interne.
La continuity è un bene o un male? Nessuno dei due. Se la storia è scritta bene, è valida con o senza continuity. Se è scritta male, idem. La continuity, tuttavia, rappresenta una "opportunità": una storia del "nucciverso" o del "gervasioverso", se ben fatta, può essere goduta sia come storia a sé stante che come storia in continuity. Lo dimostra proprio il Fantomius che citi più avanti, le cui storie - tutte - presentano questa doppia chiave di lettura e possono soddisfare entrambi i palati. Una storia di Martina o di Cimino, viceversa, anche se ben fatta, presenta un'unica chiave di lettura, e questo è un loro limite, non superabile, il che non significa che Gervasio sia "migliore" di Martina, ma che ha una maggiore potenzialità - a condizione di saperci fare.
andate a recuperare "Le Giovani Marmotte e il vento della preistoria" sul 2991. Non è una storia indimenticabile, ma i nipotini non sono caratterizzati per ciascuno, viene praticamente trattato lo stesso tema della sopracitata storia nuova ed è molto, molto più scorrevole, a mio parere.
Ho trovato debole la somiglianza fra le due storie, e concordo sul fatto che nella storia del numero 2991 i nipotini non siano "caratterizzati per ciascuno". Perché questo sia un bene, però, mi sfugge: i personaggi sono tre, perché mai dovrebbero funzionare come se fossero uno solo, anche se si è sempre fatto così? Caratterizzarli "per ciascuno" può anche snaturarli ma, se fatto bene (e Nucci lo sa fare) li arricchisce non poco.
Concludo l'omelia non parlando (appunto, solo gettando l'amo del fastidio che provo) della deriva intimistica dei personaggi e delle storie, anche in questo caso bellissima in alcuni casi, ma che non deve sfociare in una ricerca esasperata e praticamente morbosa...
Ed anche in questo caso, non dubito che la deriva intimistica sia qualcosa che possa snaturare i personaggi ma, di nuovo, se fatta bene, aggiunge loro qualcosa. I personaggi validi non sono quelli bidimensionali ma, da sempre e non solo nei fumetti, quelli tridimensionali. Esplorarne l'intimità è un'opportunità per renderli tali e, se fatta come si deve (e Nucci lo sa fare), non è certo un difetto.