La "Stella del Polo" è una delle (tante) punte di diamante della poetica barksiana, e si comprendono bene i motivi per cui abbia occupato il primo posto del podio nella classifica Inducks per così tanti anni, prima di essere soppiantata, abbastanza recentemente, da quell'altro capolavoro del Maestro dell'Oregon che è "La dollalergia". Al di là dell'impianto narrativo e della superba scenografia, nella mia breve analisi non vorrei tanto focalizzarmi sulla storia in sè quanto su un importante tratto della piscologia di Paperone che emerge durante le pagine della'intera lettura, e che esplode in tutta la sua agrodolce forza nelle ultime tavole, tanto da avermi sinceramente colto di sorpresa durante il mio primo aproccio all'opera, a tal punto che, a parer mio, per poter essere apprezzata si potrebbe intessere un parallelismo con un personaggio parecchio interessante della letteratura latina, cioè il ricco Trimalchione, una delle figure più affascinanti del Satyricon di Petronio. Le somiglianze fra il multimiliardario scozzese e il ricco commerciante Romano sono facilmente individuabili da chiunque: entrambi rappresentano l'archetipo del self-made man, l'uomo che, superando impervie difficoltà, è riuscito a conquistare la vetta del mondo, con il solo sudore e lo spirito di sacrificio, che ha costruito da sè il proprio destino. Tuttavia, i due si differenziano di non poco per il loro approccio più pratico all'esistenza, e ciò non vale soltanto in relazione ai loro stili di vita, tanto differenti che Trimalchione più che ad un Paperone sarebbe paragonabile ad un Rockerduck più pacchiano e spendaccione del solito, ma anche per il modo in cui esternano i loro sentimenti. Entrambi i due personaggi sono tormentati da un'ombra che avvolge i loro animi, entrambi avvertono un profondo vuoto incolmabile all'interno dei loro cuori, una voragine che neanche le loro immense ricchezze sono riuscite a soddisfare: il bisogno di esseri amati infatti è un tratto fondamentale, a parer mio, dei due uomini (Paperone per Barks non è semplicemente un papero antropomorfo, ma un uomo fatto e finito), ma il modo in cui essi gli si rapportano li pone l'uno rispetto all'altro agli antipodi di una retta. Trimalchione, infatti, osessionato dal pensiero dell'ineluttabilità dello scorrere del tempo, similmente a Paperone nella "Disfida dei dollari", tenta di distrarsi dal pensiero della morte circondandosi di ricchezze di ogni tipo, cibo, donne, commensali. Ma egli fallisce nel suo tentativo di esorcizzare il timore per il destino che lo attende e, allora, in antitesi con la narrazione sociale che lo intenderebbe come un uomo forte e di successo, privo di timori e debolezze, compie la mossa più disperata fra tutte, osa dove nessuno che attribuisce valore alla propia dignità penserebbe mai di agire: il ricco Romano tenta di ingraziarsi il favore della servitù promettendo loro grandi richezze una volta che sarà trapassato, assicurando di ricordare ogni loro nome sul suo testamento. Il suo bisogno di essere amato è tale che egli tenta di illudersi dell'amore della sua schiavitù inscenando il suo stesso funerale, dove tutti i domiciliari sono invitati a piangere sopra le sue spoglie, per potergli regalare la certezza dell'affetto di cui il suo cuore avverte la mancanza.
Al suo contario, Paperone, non vuole illudersi dell'amore, e passivamente accetta l'odio che il mondo prova nei suoi confronti: Scrooge, da essere l'incarnazione del Sogno Americano, del business-man senza macchia e senza paura, del personaggio dinamico che crea da sè il proprio Destino, passa ad arrendersi repentinamente di fronte al disprezzo che è convinto i suoi nipoti provino nei suoi confronti. Infatti, non ha alcuna intenzione di compiere un solo passo indietro, non desidera chiarire l'equivoco, mostrare alla sua famiglia il lato più buono di sè: forse perchè non vuole essere visto come un molaccione? O magari perchè non attribuisce alle loro opinioni del valore?
Tutto il contario! Paperone ama la sua famiglia, e soffre al pensiero di essere da lei disprezzato, ma in ogni caso decide spontaneamente di caricarsi sulle proprie spalle il suo odio. Lo Zione di Barks è un uomo che, dopo esser arrivato sulla cima del tetto del mondo, dopo aver creato il proprio Destino, si arrende ad esso, convinto forse di meritare l'odio del mondo. Potrebbe dimostrare in qualsiasi momento che, per una volta, ha agito secondo virtù, di essere meritevole di lodi e di plausi, ma decide di rinchiudersi nel suo silenzio, probabilmente convinto di essere ormai destinato a recitare il ruolo del vecchio avido zio a cui interessa soltanto del denaro e niente di più.
In definitiva, a parer mio, ciò che differenza Trimalchione e Paperone è proprio il loro rapporto con il loro bisogno di essere amati: il primo avverte tale desiderio subconsciamente e lo dimostra continuamente in modo implicito durante il prosimetro di Petronio, a tal punto da essere costretto a promettere ricchezze a coloro che lo circondano per avere la garanzia di essere da loro benvoluto come se fosse già morto, mentre invece lo Zione è ben conscio di quanto desiderebbe un abraccio di conforto dai suoi nipoti, ma non ha l'ardore di richiedere tanto. Lui rifiuta la certezza dell'amore di cui è alla ricerca Trimalchione, e con sofferenza decide di essere odiato, inerte dinanzi al Destino, a cui per l'unica volta nella sua vita non ha il coraggio di ribellarsi.