La Principessa e il Ranocchio doveva essere il film della rinascita. Una rinascita architettata e voluta da John Lasseter, che con l'intenzione di tornare all'animazione tradizionale per rilanciare la Disney nel mondo delle fiabe classiche, nello stile dei musical anni '90, si è praticamente posto come ultimo avamposto del vecchio modo di concepire l'animazione, in un mondo ormai quasi completamente svenduto alle commedie in 3D. Dopo la parentesi CGI, rimasuglio dell'imposizione eisneriana che devastò gli ultimi resti di Disneyanità all'inizio del nuovo secolo, ecco tornare l'animazione con la quale tutto iniziò, quella realizzata a mano, al ritmo di 24 disegni al secondo. La prima sfida era quella di riunire un team creativo ormai da troppo tempo disperso: John Musker e Ron Clements dopo la cancellazione del progetto
Fraidy Cat , una sorta di giallo hitchcockiano, erano pressocché scomparsi dalle scene, ma il buon vecchio John memore che la rinascita anni 90 era avvenuta proprio grazie alla loro
Sirenetta, pensò bene di reclutarli e metterli alla regia del lungometraggio. Vennero riacquistate le attrezzature, i tavoli da disegno e quant'altro servisse a rimettere in moto la produzione, animatori compresi: Glen Keane era ancora impegnato a progettare la tecnica 3d con resa pittorica di
Rapunzel (oggi
Tangled) quindi non partecipò al progetto, ma in compenso ecco di nuovo artisti del calibro di Mark Henn, o Andreas Deja che rifiutatosi di cambiare tecnica era passato a lavorare per i Toon Studios, e persino Eric Goldberg che all'epoca volava di fiore in fiore prestando i suoi servizi a vari studios di animazione. Ovviamente serviva la musica, che era sinonimo di Alan Menken, che salvo il blitz con
Mucche alla Riscossa e
Come D'Incanto, ormai non batteva un chiodo dai tempi di
Hercules, dedicandosi ai musical teatrali: Menken, annunciato in un primo tempo, venne però assegnato a
Rapunzel mentre al suo posto subentrava una vecchia conoscenza pixariana: il jazzistico Randy Newman, con un certo sconcerto da parte dei fan. Il motivo era presto detto: ogni rinascita Disney aveva visto, sì, un principessa ad aprire le danze, ma aveva portato anche una certa dose di innovazioni. Pur essendo questa essenzialmente una marcia indietro rispetto alla svolta CGI di quattro anni prima, il film non doveva però dimenticare i progressi fatti nel campo della narrazione. E in questi anni era stata la Pixar a fare progressi nel campo delle trame, che infrangendo qualsiasi regola del cinema d'animazione avevano portato sempre una certa varietà tematica e imprevedibilità sceneggiatoria. Ecco quindi la favola del principe ranocchio venir essenzialmente trasformata e collocata in un setting assolutamente inedito e poco sfruttato, e cioè la New Orleans dell'età d'oro del Jazz. Una grande idea, che avrebbe conferito alla storia un fascino inedito e una certa originalità di fondo, rompendo schemi e stereotipi fiabeschi a cui il titolo avrebbe potuto far pensare. Ed è chiaro che Newman era particolarmente adatto ad interpretare le musiche di un mondo in cui le sue stesse radici artistiche affondavano.
America di inizio secolo, jazz, vodoo, e atmosfera lacustre erano quindi un cocktail vincente, originale, frizzante e culturale in cui ambientare la storia di Tiana (in un primo momento Maddy, ma poi cambiato per evitare polemiche razziste), cameriera ossessionata dal lavoro col sogno di aprire un ristorante, e Naveen, principe farfallone e lavativo, due personalità forti, realistiche e soprattutto attuali che avrebbero contribuito a svecchiare non poco l'idea artificiosa di principe e principessa che si temeva un princess movie avrebbe potuto portare con sé. Nel film però non c'è solo questo, perchè oltre ad allacciarsi alla tradizione anni 90, viene allegramente tirata in ballo anche la commedia animalesca anni '60 in stile
Libro della Giungla: Tiana e Naveen infatti, trasformati in rane a causa del maleficio dello stregone voodoo Facilier, si ritrovano a passare dalle ville borghesi cittadine alle paludi del bayou per spezzare l'incantesimo, ed è quindi l'occasione per inserire alcuni irresistibili comprimari animaleschi nel più puro stile Disney come l'alligatore jazzista Louis e la lucciola Ray, vera e propria sorpresa del film, che con la sua sottotrama poetica e struggente saprà conferire al lungometraggio un elemento inedito nel panorama Disneyano. La cosa bella è che queste spalle animalesche, a differenza che nelle opere della concorrenza, non stanno lì solo per far presenza e far ridere, ma hanno un ruolo attivo nella storia, aiutano i protagonisti, appaiono buffi e simpatici senza però coprirsi di ridicolo o cadere nel pecoreccio. E non solo loro ma anche i personaggi umani come l'amica viziata Charlotte, suo padre o il valletto di Naveen si collocano nell'affresco complessivo in maniera perfetta, con un gioco di ruoli a incastro che è il primo sintomo di come la storia sia stata scritta con intelligenza, genuinità e tanto tanto mestiere, senza ovviamente rinunciare ad uno storytelling semplice e ben chiaro, cifra stilistica dell'universalità Disneyana. C'era bisogno di storie migliori, non era un problema di tecnica, sostengono i creativi Pixar nel documentario
The Pixar Story, e infatti ora che l'antico metodo è stato riesumato appaiono ancor più goffi i tentativi degli scorsi anni di inserire a forza nei rispettivi (pur validi) film i personaggi di Fiocco e Rocco, di B.E.N., Zini e compagnia poco divertente. Con le idee giuste, dei buoni intenti e una direzione artistica ben salda e con il completo controllo della situazione si ottiene così un film ottimo, per niente pasticciato, e che pur facendosi portatore di morali nuove, non rinuncia alla tradizionale iconografia Disneyana da sogno americano incarnata dalla Stella della Sera, quella stessa Evangeline a cui il Grillo Parlante nel 1940 diceva di rivolgersi con quella positività di fondo da "tu impegnati e poi vedrai".
E veniamo al comparto grafico. E' tornato il 2d e quindi l'arte Disney si può finalmente esprimere al meglio, con la tecnica che ha praticamente inventato ed evoluto nel corso dei decenni. Però è anche vero che siamo nuovamente agli inizi, e sebbene gli animatori abbiano potuto scaldarsi le ossa grazie alle animazioni presenti in
Come D'Incanto e
Pippo e l'Home Theatre, c'è ancora qualcosa da ricostruire in termini di team per tornare ai complessi virtuosismi grafici di un
Gobbo, di un
Tarzan o di un
Pianeta del Tesoro. Ciò che però il film offre è comunque spettacolare, e lo si vede specialmente in alcuni personaggi come il capolavoro di stilizzazione Ray e quella specie di virtuosismo continuo che è Facilier, lo stregone voodoo, che ad ogni battuta o movimento trasuda carisma e un'estetica sofisticatissima. Lawrence il maggiordomo, che graficamente sembra una copia del Nathaniel di
Enchanted, poteva invece essere curato un po' di più, come anche il design di Tiana in versione ranocchia, piuttosto distante dalla maestria con cui Henn la ritrae da umana. Lo stesso vale per Mama Odie, personaggio concettualmente irresistibile ma che, dato che il suo autore è il grande Andreas Deja, ha un design un po' inferiore alle aspettative. Ottimo invece Gran Papà LeBouff, caricaturale ma simile per stile allo Zeus di
Hercules, e assai simpatica la pur schizofrenica Charlotte, che dona al film un brio irresistibile. Eccellenti le colorazioni, i fondali e le musiche di Newman, che pur non essendo d'impatto quanto quelle di Menken riescono ad sposarsi molto bene con le atmosfere, riuscendo a costituire piuttosto un contraltare moderno allo stile dei fratelli Sherman. Ad un primo ascolto magari diranno poco ma successivamente catturano parecchio l'attenzione e non escono più dalla testa. La prima canzone è
Down in New Orleans un perfetto esempio di
happy village song, in cui vengono presentati un po' tutti i personaggi e la situazione di partenza: viene inoltre descritto il setting come se la città fosse la vera protagonista della vicenda. La canzone è forse la più newmaniana di tutte, e incornicia alla perfezione l'incipit donandogli una forza che nei primissimi minuti (quelli ambientati in casa LeBouff) era assente. Tocca poi alla tradizionale
I want song che dà voce ai desideri di Tiana, la ritmata
Almost There, che come la precedente mostra la sua vera forza ad un secondo ascolto, la sequenza visualizzata è invece piuttosto particolare perché mostra i sogni di Tiana con una stilizzazione simile a quella di Mary Blair. Tocca poi alla villain song che è più che altro un recitativo e come tale mostra la sua forza più nella versione italiana dove Luca Ward intona
Friends on the Other Side, un grandioso momento in cui Facilier mostra tutto il suo carisma, ballando e duettando con la propria ombra mentre intorta Naveen e Lawrence a suon di belle parole. Tradizione vuole che anche le spalle comiche si presentino con una canzone, ed ecco che tutto lo shermanismo di Newman esplode con
When We're Human, la canzone di Louis che mette a nudo la palese ispirazione a Baloo e alle sue
Bare Necessitites: la canzone è briosa e ritmata e funge da
i want song anche per Naveen, mentre le atmosfere spensierate e i colori vivaci prevalgono. E poi c'è Ray, il sorpresone del film, che tutti temevano avrebbe potuto essere una spalla dreamworksiana e che invece ci regala non una ma ben due fantastiche canzoni, che nella versione italiana Luca Laurenti interpreta alla perfezione: la trascinante e country
Gonna Take You There con cui ci presenta la sua famiglia e nel contempo porta avanti la trama e
Ma Belle Evangeline stupendo tema d'amore che contemporaneamente delinea il suo personaggio e fa evolvere la trama amorosa dei protagonisti, con una maestria e una finezza sceneggiatoria con pochi precedenti. E poi arriviamo al clou,
Dig a Little Deeper, la canzone gospel con cui Mama Odie cerca di rieducare i protagonisti, assolutamente azzeccata e divertentissima, che tra un balletto di fenicotteri e l'altro, ricorda non poco le canzoni di Sebastian ne
La Sirenetta. Infine va segnalato il brano pop presente nei credits
Never Knew I Needed, che con Newman non ha niente a che vedere, e il reprise di
Down in New Orleans, nella scena finale, stupenda sequenza in cui la voce di Tiana suggella alla perfezione la conclusione felice di ogni sottotrama in cui ognuno trova la sua strada impegnandosi pur sotto la benevolente luce di Evangeline.
Un vero Classico Disney si rivela redditizio sulle lunghe distanze, e questo lo si sa bene sin dai tempi di
Pinocchio e
Fantasia che flopparono riscattandosi coi successivi passaggi cinematografici e con l'home video. E vuoi per il depistante "Principessa" nel titolo, vuoi per il marketing unicamente destinato alle bambine, la povera Tiana non ha certo iniziato facendo il botto, anche se bisogna ricordare che è uscita in concomitanza con l'evento
Avatar e che sicuramente non si può pretendere di tornare agli antichi splendori di punto in bianco. La politica di Lasseter è stata progettata sul lungo termine, in maniera da restituire alla Disney il buon nome e la credibilità in maniera di farla tornare gradualmente agli antichi splendori. E non si può certo dire che il film non ha ripagato i costi, perché sia in America che in Europa è rimasto a lungo in programmazione ricevendo critiche e apprezzamenti positivi. Ma sulle lunghe distanze appunto. E la Disney è un azienda che non ragiona sulle lunghe distanze ma vuole tutto e subito. E visto che un film palesemente commerciale come
Alvin 2, uscito nello stesso periodo ha ripagato i costi di produzione in una manciata di giornate, c'è da chiedersi cosa sia stato sbagliato, che errori siano stati fatti. Forse nessuno e l'errore sta nelle aspettative, ma è un dato di fatto che la dirigenza non è stata affatto contenta e la fiducia accordata al povero Lasseter è stata brutalmente ritirata. E in occasione della salita al potere dirigenziale del Disneychannelliano Rich Ross ecco che la tanto attesa rinascita è stata abortita sul nascere, prendendo adeguate contromisure:
The Snow Queen, previsto in 2d per il 2012 è stato recentemente cancellato nell'ottica di estirpare nuovamente il fiabesco dalla filmografia Disney, il prossimo
Rapunzel è stato rinominato
Tangled per gli stessi motivi e sembra che non solo il 2d ma che la stessa esistenza dei Walt Disney Animation Studios potrebbe essere messa a rischio e
Winnie Pooh essere l'ultimo Classico Disney qualora
Tangled non desse i risultati sperati. Insomma, niente affatto bene per essere una rinascita, e un vero peccato per il sogno del povero Roy Disney che morto da poco non avrebbe mai potuto immaginare che la restaurazione artistica auspicata sarebbe durata così poco. E pensare che l'unico modo per riportare la Disney agli antichi splendori sarebbe quello di sperimentare l'approccio Pixar, libero dal marketing e da ingerenze amministrative. Ma quel che accadrà solo il tempo ce lo dirà, del resto neanche
La Sirenetta fu un successo immediato, e per il momento non rimane che aspettare l'anno prossimo e vedere se l'arte di Menken e Glen Keane sapranno riconquistare il pubblico e districare finalmente questa intricata faccenda.
da
La Tana del Sollazzo