Il mio è uno strano tipo di ricordo, che però immagino comune a molti qui dentro.
Avevo pochi anni, mi addormentavo nel lettone con i miei (pensate un po' fino a dove si spingono i miei ricordi!) e nemmeno sapevo leggere.
Sapevo però leggere (e non guardare) le figure, e già sapevo riconoscere i vari disegnatori e i loro stili: Carpi, Bottaro, Barks, Chierchini e, ovviamente, Scarpa; anche se ovviamente non sapevo certo i loro nomi (e non li avrei saputi per almeno una decina d'anni: curiosamente Scarpa e Carpi furono proprio tra i primi che venni a conoscenza).
In quegli anni c'era una strana dicotomia: sui Classici c'era il vecchio Scarpa di qualche anno prima, sul Topo quello nuovo, più scattante e inchiostrato da Cavazzano. Quando imparai a leggere c'era già quello ancora più nuovo, ancor più differente da quello degli anni '50. Ebbene, io riconoscevo lo stile e i cosiddetti stilemi, i caratteri distintivi che ogni artista vero ha differenti dagli altri. I compagni di scuola mi prendevano in giro perché dicevo che quel disegnatore era lo stesso...
Scarpa è stato un po' una specie di ossessione per me: sarà che i suoi racconti storici mi erano entrati nel sangue, da La collana Chirikawa a Le sorgenti mongole, da La farfalla di Colombo a Le lenticchie di Babilonia, e de L'unghia di Kalì, vero e proprio racconto horror che mi ha seguito fin da allora, non ne vogliamo parlare? Scarpa è e resterà per me la massima espressione dei Disney italiani: si è sedimentato nelle mie sinapsi e non se ne andrà mai.
Incontrarlo a Lucca, all'inizio degli anni '90, fu per me un'autentica emozione, come se avessi visto, che so, i Beatles.