Proprio oggi ci pensavo, in relazione alla questione di
Colantuoni.
Lavoradori non è il mio disegnatore preferito in ambito Disney, ma ho sempre apprezzato il suo stile, specie nella versione più matura e sperimentale. L'uso che faceva della distorsione delle forme, con personaggi e sfondi accartocciati, mi ha sempre dato l'idea di leggere delle storie dotate della caratteristica tipica di un organismo: una vita complessiva e integrata.
Mi spiego. Nelle vignette di Lavoradori i personaggi e gli ambienti si deformano, allungano e accartocciano in sincrono, come se fossero parte di un unico grosso organismo vivente che respira ed espira. È come osservare un mondo che subisce dei ciclici cambi di gravità complessiva.
Ogni vignetta mostra un diverso fotogramma della vita complessiva di questo grosso organismo che è la storia. La storia vive, con Lavoradori. Non c'è separazione tra contesto e personaggi; questi ultimi sono asserviti ai cambiamenti improvvisi della gravità degli sfondi e degli ambienti.
Ho sempre trovato questo elemento parecchio affascinante. Un
articolo su Fumettologica (citato anche nelle pagine di questa discussione, ma che riporto che per chi se lo fosse perso) si chiedeva se Lavoradori fosse il meno disneyano degli autori apparsi sul Topo. In effetti, per molti versi, potrebbe esserlo. Ma questo elemento della storia come organismo (qui, nella forma di una gravità ambientale che modella e schiaccia i personaggi) ricorda i vecchi cortometraggi Disney. Solo che in quel caso, tutto era tondeggiante e gommoso. Lo schiacciamento e l'allungamento risultavano essere quelli applicabili a dei pezzi di gomma.
In Lavoradori, invece (specie il più maturo), tutto è spigoloso. Qui, la deformazione, anziché avere le caratteristiche della gomma, assume quelle della distorsione che si può imprimere ad un giornale appallottolato.
Insomma. Lavoradori recupera l'elemento ultradisneyano della sequenza delle scene come susseguirsi di deformazioni, in sincrono, di ambiente e personaggi. Ma a a modo suo: alla gomma, sostituisce la carta.
Un'altra differenza è la direzione di tali deformazioni: se nei primi corti Disney l'ambiente veniva distorto dalle reazioni ed emozioni dei vari personaggi (come elementi ambientali che divenivano, loro stessi, dei personaggi), in Lavoradori avviene il contrario. Quest'ultimo sostituisce al punto di vista panpsichista o "animista" Disneyano (in cui tutto era influenzato dall'anima dei personaggi e in cui tutto poteva avere un'anima, una psiche) un punto di vista per il quale sono i personaggi ad essere asserviti alle contrazioni di un ambiente che respira ed espira, certo, ma come un grosso vegetale privo di una volontà. Le emozioni dei personaggi sembrano adeguarsi alle contrazioni, come se andassero in sincrono con esse e le subissero, anziché deformare loro (direttamente) l'ambiente. Questo pare schiacciare i personaggi in relazione all'evolversi delle situazioni nelle vignette: situazioni e ambiente sono una sol cosa e i personaggi subiscono il loro vivere, per quanto si tratti di un vivere impersonale.
E anche i vari elementi in scena, anziché divenire "personaggi", si deformano come pezzi inanimati, la cui unica "animazione" (conferita dalle distorsioni che li fanno recitare in scena) è subita e mai attiva. È una recitazione subita. Come se la gravità complessiva li costringesse a recitare.
Insomma: viene ripresa l'idea di una deformazione, in sincrono, di ambiente e personaggi (propria della vecchia Disney), ma
1) in forma accartocciata, anziché gommosa e
2) in forma impersonale, anziché animista e personale.
Un terzo elemento di differenza è il tipo di deformazione; se nei vecchi cortometraggi essa era (spesso) una contrazione della scena ripresa da una prospettiva classica (quella che avrebbe avuto qualcuno seduto davanti alla sequenza degli avvenimenti, come in un teatro di cabaret) e che rimaneva invariata, in Lavoradori — invece — è la stessa prospettiva a far parte della deformazione complessiva. L'autore deforma non solo l'ambiente, ma anche la prospettiva su ambiente e personaggi, aggiungendo — così — alla classica distorsione verticale e orizzontale, anche una distorsione "obliqua".
Insomma. Non è solo la scena a deformarsi. È anche lo stesso punto di vista dello spettatore a farlo. Esso è asservito all'organismo impersonale dell'ambiente complessivo, tanto quanto tutto il resto. La gravità della scena cattura lo spettatore, lo posiziona come e dove vuole lei, anche in modo scomodo e pericolante, facendogli fare diverse capriole: il teatro diventa un caleidoscopio.
Lo spettatore viene accartocciato assieme a tutto quanto e, immaginando il suo punto di vista come un foglio, ora — così appallottolato — è obbligato ad avere più punti di vista, tanti quanti i lati di una pallina di carta:
Un intersecarsi (spesso) di prospettive diverse, che si scontrano — come spigoli — tra loro, su un mondo accartocciato, il quale — a sua volta — pare ruotare, ribaltarsi, anche nella direzione opposta rispetto a quella che è la direzione della visuale del lettore: come se quest'ultimo andasse in senso orario e la scena, invece, in senso antiorario, costringendo a provare un senso di disarmonia (assolutamente voluta dal Lavoradori), come se ci si trovasse su una nave che pende da una parte e dall'altra, obbligando tutto e tutti a scivolare, senza sosta. Tenti di aggrapparti, ma devi mollare, prima o poi.
Ovviamente, le deformazioni non sono sempre estreme. A volte, sono anche appena percettibili. Ma la cifra stilistica mi pare questa.
Alcuni esempi di quello che dico: