Non dico che questo sia il modello che il fumetto Disney debba seguire, attenzione. E' semplicemente un esempio che fa capire quanto l'illusione che ciò che ci viene raccontato sia "vero" aiuti a creare interesse.
Perfetto. E l'interesse creato non può che provenire da lettori veramente interessati (scusate il gioco di parole) a ciò che stanno leggendo, appassionati delle vicende papere e topesche e non semplici fruitori di un prodotto per dieci minuti, tanto per farsi quattro risate e rilassarsi, dopodiché l'albetto può essere cestinato.
Poi ben vengano anche questi lettori saltuari che fanno comunque aumentare il venduto e che rappresentano una percentuale sicuramente maggioritaria.
Però qui all'interno del forum, dove dovremmo essere tutti o quasi un po' più 'coinvolti' da queste storie, mi sorprende leggere alcuni commenti che sarebbero più tipici di un lettore casuale e distratto.
O forse, semplicemente, apprezza di più le storie realizzate allorchè la continuity non esisteva.
Non pensiamo infatti che tali storie fossero più infantili perchè spesso erano portatrici di istanze sociali di vario tipo, persino sindacali, politiche e femministe che pervenivano - assai più serie ed inequivocabili di oggi - magicamente disciolte nel divertimento, utilizzando ad hoc i caratteri paperi più autentici.
Ma data per assodata come dici questa attuale e apprezzata tendenza alla continuity, non trovo tuttavia per niente giusto che essa metta in discussione il mondo precedente, il che accade fatalmente perchè l'essenza dei personaggi per definizione è la stessa. E se questa impostazione di continuità è quella giusta per il mondo attuale ovviamente la precedente appare superata, sbagliata perchè dice un mucchio di castronerie.
Così le storie precedenti - che io trovo le migliori in ogni senso - vengono per forza sminuite e continua la glorificazione della continuity apportatrice del Vero e si rafforza il mito del 'Maestro' che l'ha creata.
Ho riportato alcune parti del tuo post, Paperotto, dove parli delle storie che più amiamo: quelle degli anni 60/70.
E non è una contraddizione per me dire questo, in quanto quella che oggi chiamasi 'continuity' non l'ha certo inventata Don Rosa (che, casomai, l'ha strutturata in modo capillare); essa c'era già prima, a partire da Gottfredson stesso, ma anche nelle storie italiane del periodo che preferiamo.
Da quando Scarpa creò Brigitta e Filo Sganga nel 1960/61 le storie successive con questi personaggi sono state una sorta di continuity (o meglio, situation comedy, che ha sempre e comunque delle regole precise) così come quelle con Atomino, Paperetta, Bruto (il figlioccio di Gancio) e Zenobia (sebbene in cicli circoscritti o in storie meno numerose). Tra continuity e sit-com sono anche le storie coi Bassotti (eredità barksiana dei '50) e quelle con Rockerduck, che Martina e Scarpa ripresero in memorabili storie soprattutto nei '60 e '70. Pura continuity sono state le prime memorabili storie di Paperinik nella prima metà dei '70.
Il tema del Klondike è stato sempre presente nelle storie dei 60/70: l'unica 'licenza' che Martina si prese fu alla fine di Storia e Gloria, dopodiché il tormentone paperonesco della Corsa all'Oro fatta in gioventù riprese tranquillamente nelle trame del professore come in quelle di tanti altri autori italiani.
Il Deposito sulla collina, sebbene di origine barksiana, fu meglio 'regolamentato' proprio dagli autori italiani del '60, alzando una collina altrimenti piatta (spesso Barks alternava Depositi in piazze cittadine ad altri su spianate leggermente elevate) e arricchendolo con una cupola sul terrazzo; più o meno tutti gli autori italiani da quel momento in poi si attennero a queste nuove disposizioni urbanistiche che sono diventate la Bibbia della toponomastica paperopolese.
Un altro esempio di continuity nei due decenni in questione fu quello della posizione geografica di Paperopoli, più realistica, se vogliamo, di quella attuale in quanto vedeva la città situata proprio in California, di fronte all'Oceano Pacifico (come oggi, d'altronde, sebbene lo stato sia il Calisota). Scarpa fece più proseliti con la cupola del Money Bin piuttosto che con la sua 'Calidornia' che visse lo spazio di un mattino (quello dell'Imperatore). I vari autori del periodo inserivano nelle loro storie il vero nome dello stato pacifico: da Duckburg partiva la linea aerea diretta California-Florida, dal suo porto le navi raggiungevano alcune isole in una cartina dove l'entroterra era nominato California; nella Terra vista dall'alto la freccia 'Paperopoli' puntava sempre la bassa California; a Paperone prese un colpo quando sentì alla radio che la California sarebbe stata in futuro vittima di un tremendo terremoto: "Ma Paperopoli è in California!" gridò all'improvviso lo zione. Esempio di continuity geografica nei '70.
Dunque il fascino e la bellezza delle storie Sixty & Seventies Made in Italy non sono state certo offuscate dalla 'marea donrosiana' degli anni '90 anche perché avevano una loro particolare continuity che non era quella 'ossessiva' del Don (detto positivamente da un appassionato delle sue storie) ma che aveva comunque delle basi e delle regole: quelle fantastiche storie non furono certo fatte 'a casaccio'.