https://inducks.org/story.php?c=YM+078Topolino si candida consigliere comunale per evitare che lo diventi un mafioso.
Pur trattandosi di uno spunto interessante già di per sé, il bello della presente storia è il modo spumeggiante in cui esso viene sviluppato.
I segnali di stile si avvertono già dalla divertente prima striscia, dove si gioca sul contrasto tra serietà e giocosità del protagonista.
Nella seconda invece, che corrisponde ad una delle cose più esaltanti che abbia mai letto, si tratta il conflitto tra altri tratti della sua personalità, ovvero tra la voglia di azione e di tranquillità domestica (risolvendosi in maniera dirompente a favore della prima). Si nota che lo sgherro, mandato con l’intento di dissuadere Topolino dal candidarsi, ottiene l’effetto esattamente opposto.
Le tre vignette centrali costituiscono un crescendo in tal senso: il protagonista passa da una certa indifferenza all’argomento all’insofferenza verso l’interlocutore per terminare in un atteggiamento manifestamente ostile. La sequenza è scandita dalla ripetizione della stessa parola la quale aumenta d’intensità via via e mi sembra di udire distintamente con le mie orecchie.
L’ultima vignetta raffigura la disastrosa conseguenza di quanto sopra, dove Topolino trionfa pur avendole prese: si rappresenta adeguatamente un carattere combattivo ma non invincibile.
Il neo-candidato affronta le persone che incontra con diffidenza e ironia (nel secondo caso, attingendo ad una storia di poco precedente) ed entra in contatto con l’onnipresente campagna elettorale avversaria.
Successivamente arriva al cospetto del nemico, davanti al quale sfoggia il proprio spirito indomito. E anche quando questi vuole sbarazzarsene, tenta il tutto per tutto prima imprigionandolo con se stesso e dopo, una volta tutti nella stessa situazione, a indurlo a liberarsi (e Topolino con lui).
La conclusione è una delle più strane che ricordi, in cui non si assiste né ad una vittoria né ad una sconfitta, bensì ad un pareggio, per così dire.
Si imputa all’opera il difetto di una mancata vendetta dell’antagonista verso il politicante del titolo che lo ha sfidato, mettendone in dubbio l’autorità. Però si potrebbe controbattere che magari un tentativo del genere ha avuto luogo, solo che noi non lo sappiamo perché avvenuto fuori dalle vignette, poiché non era ciò quello di cui il fumetto voleva parlare.
Soprattutto, bisogna ricordare che alla fine l’intrallazzatore si trova a piede libero senza scontare alcuna pena per i suoi crimini come minacce, tentata corruzione e sequestro di persona.
Si della tratta della migliore storia del 1946 e non solo; inoltre è una di quelle che contribuiscono a creare il mito di Topolino. Anzi, mi chiedo se basti questa a renderlo il migliore personaggio di sempre.
Con la presente Walsh dimostra la possibilità di trattare argomenti oltremodo seri in maniera leggerissima e spensierata.
Ogni volta che ripenso ad essa mi torna il buonumore.
Chiudo con una curiosità: Orazio, relegato da anni a ruoli marginalissimi, assume il ruolo di motore dell’azione.