L’attesa per questo numero di Topolino era tutta legata a Zio Paperone e… giustizia per tutti. Storia disegnata da Mottura, annunciata circa due anni fa come di prossima pubblicazione e poi improvvisamente scomparsa, uno dei diversi casi di tempistiche redazionali totalmente sballati che si sono succeduti negli ultimi anni.
Ora, decisamente a sorpresa, la ritroviamo tra le pagine del settimanale, senza una copertina dedicata (quella presente sembra riferirsi più all’altra storia con protagonista Paperone e comunque è abbastanza generica), in una anonima posizione centrale e, non c’è bisogno di dirlo, senza un riga di accompagnamento o spiegazione.
Inutile perdersi in speculazioni o fantasiose ricostruzioni, non ho idea di come fosse lo script originale di Fontana e quindi mi limito a parlare di ciò che è stato pubblicato.
Il titolo richiama esplicitamente un film piuttosto datato con Al Pacino, in cui l’attore interpreta la parte di un giovane avvocato alle prese con un giudice perverso che, oltre agli imputati, riesce a manovrare anche lui, costringendolo ad assumere la sua difesa in un caso di violenza. L’avvocato, di fronte alle prove della colpevolezza del suo assistito, preferirà scontrarsi con il sistema che pure rappresenta, rinunciando alla carriera.
È una storia emblematica sull’etica professionale degli uomini di legge e sulle storture che alcuni di essi riescono a produrre, sfruttando cavilli e scorciatoie legali per travisare il concetto di giustizia.
Fontana mantiene a grandi linee (visti i temi fin troppo espliciti del film) l’impostazione generale (Rose Nelson prende il ruolo che fu di Pacino, Zio Paperone in qualche modo è assimilabile al giudice suo rivale), ma sposta il discorso su un piano diverso. Quella che nel film è una storia di denuncia e di ingiustizie, diventa una storia di buoni sentimenti in cui è tutto troppo sfumato, dove mancano i colpevoli (o meglio uno c’è, ma viene subito dimenticato) e il messaggio che si vuol far passare e che è sacrosanto (“ognuno ha diritto ad un difensore”) finisce annacquato dal travisamento del messaggio della versione cinematografica.
Là dove i contorsionismi tra codici e cavilli hanno il preciso scopo di aggirare la legge, permettono invece qui di poter affermare con decisione che Rose “non ha mai aggirato la legge”. Un cambio di prospettiva probabilmente obbligato, trattandosi di fumetti Disney, però forse è una fortuna che quello di Norman Jewison sia un film tutto sommato non famosissimo e certamente fuori dalla visuale dei piccoli lettori, che avranno così la loro bella favola, con personaggi puri (compresi i ladri) e la morale pronto uso.
Delle altre storie del volume non c’è molto da dire. In Zio Paperone e la mobile bank, Sisti si perde in una vicenda tra il serio e il faceto, indeciso se dare qualche lezione di economia di base o piuttosto approntare una delle grandi imprese dello Zione, finendo per restare a metà del guado.
Topolino e la lunga ricerca sembra scritta per far capire che cellulari, social e in genere la tecnologia, richiamati in continuazione nella vicenda, sono anche utili (ma va?). Peccato che non ci sia una gag, non ci sia suspense (sappiamo dall’inizio che Pluto è comunque in buone mani), si va avanti fino alla fine senza nessun interesse.
La breve di Stabile regala qualche risata e diverse perplessità sui disegni di Amendola.
Chiude il numero Young Indiana: non saprei proprio dire cosa questa serie aggiunga di nuovo alle avventure dell’archeologo, che ormai si trascinano stancamente da anni. L’ambientazione scolastica magari potrà favorire una maggiore immedesimazione da parte dei lettori di quella fascia d’età ma restano storielle senza verve, nè mordente.
Oltre alle storie si segnalano un corposo articolo sui cani da slitta, una breve presentazione del 6 Nazioni di rugby e un intervista al vincitore del campionato mondiale di memoria
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