Recensione Topolino 3599 Topolino 3599 si apre con una bella copertina di
Corrado Mastantuono, blandamente collegata alla prima storia del numero.
Paperino e lo scuginamento programmato parte da una trama forse non di grandi pretese, ma vede la sceneggiatrice brava ad approfondire il rapporto che lega i tre cugini per antonomasia del mondo Disney.
Se Gaja Arrighini riesce a ben ricostruire le dinamiche che intercorrono tra i tre cugini, facendone risaltare differenze ed affinità, ma soprattutto dandoci una novella chiave di lettura di come i caratteri dei tre parenti si completino ed integrino tra loro,
gran merito va però dato a Silvia Ziche di averci saputo restituire la perfetta espressività di ogni personaggio, principale o secondario che sia: soprattutto quando gli esterni al trio non capiscano cosa succeda, le espressioni di straniamento dei personaggi rendono il lettore perfettamente partecipe delle loro sensazioni. Ed in fondo, è proprio in questo saper rendere chi legge parte della vicenda che giace il merito principale della storia. Va segnalato, infine, il ritorno di un simpatico personaggio rinvenuto in una
storia di Enrico Faccini ormai di qualche anno fa, e la cui comparsa è abbastanza spiazzante in positivo.
Prosegue poi il ciclo di
La Casa delle storie, con
Zio Paperone e il tesoro a metà. La trama forse non è originalissima (tanto che, ad esempio, il concetto di tesoro che i due magnati sembrano destinati a dividersi è stato sfruttato giusto pochi numeri fa), ma
Marco Bosco sa il mestiere e ne ricava una caccia al tesoro scorrevole e gradevole, con un piccolo colpo di scena molto ben giocato sul finale.
Blasco Pisapia alterna momenti dove i suoi paperi appaiono estremamente dinamici ad altri dove sembrano fin troppo statici: comunque, non capisco la scelta di non aver disegnato a Rockerduck le stanghette degli occhiali, che in un certo qual senso hanno sempre “recitato” con lui. L’effetto di vedere un altro personaggio all’opera, invece del classico John Davison, è piuttosto forte. Ciò non toglie che la storia meriti di essere letta, dato che poi la stessa ci fornisce una buona chiave di lettura per il successivo redazionale.
Un nuovo modo di rappresentare Rockerduck?[/size][/i]
500 Piedi: Ombre nel grano seguita però a dominare su tutto il resto dell’albo. Anche questa terza puntata, dove qualche mistero inizia a venire a galla, si rivela di estremo coinvolgimento per il lettore, che vive sulla sua pelle il crescendo di tensione patito da Topolino. La vicenda raggiunge il culmine non tanto sul finale di puntata (certo a sorpresa e d’effetto, seppur non così esageratamente inatteso), ma forse poco prima della metà, quando
Topolino deve decidere letteralmente da che parte stare, e si trova nella difficoltà di mettere insieme vari dettagli che gli permettano di fare la scelta giusta. Fra i vari aspetti positivi della sceneggiatura di
Bruno Enna, merita una particolare menzione il ruolo di Clarabella, che esce dallo stereotipo del personaggio un po’ frivolo e tutto chiacchiere, dimostrando un’inusuale ed inusitata capacità d’iniziativa (forse emersa dalla necessità di salvare il “suo” Orazio), che nuovi slancio e linfa dà ad un personaggio tradizionalmente quasi sempre di contorno e solo raramente al centro dell’azione.
Davide Cesarello è abile a trasfondere tutte le sensazioni che la sceneggiatura voleva trasmettere mettendoci del suo con disegni espressivi ed adattissimi alla circostanza, mediante tratti ed elementi grafici che richiamano il miglior Massimo De Vita, del quale Cesarello, insieme a Zironi, si sta confermando degno erede. Le capacità del disegnatore non emergono solo nella rappresentazione dei personaggi, ma anche nella raffigurazione degli sfondi, ricchi di dettagli e mai pesanti o pedanti per l’occhio e per il piacere dell’appassionato. Resta sempre nel mistero la ragione per la quale tutto sia stato raffigurato con un aspetto estremamente retrò, ma ritengo che appunto questo sia uno dei garbugli che Topolino (o chi per lui) dovrà districare nelle puntate a venire.
Un Topolino ben raffigurato in preda ai dubbi[/size][/i]
Mezza straniera (e sottolineata come tale dal bordo giallo delle pagine) è invece
Zio Paperone, Paperino e il ritorno a Kalevala, che vuole essere l’ideale seguito della nota storia scritta da Don Rosa,
La Ricerca di Kalevala, molto popolare in Scandinavia (poiché ai suoi miti e leggende s’ispira), e dunque ritenuta meritevole di ricevere un seguito. Benché sia il secondo capitolo della vicenda,
la storia si legge anche senza conoscere l’antefatto, ma qualcosa qui e lì sembra leggermente zoppicare, come se la sceneggiatura di Kari Korhonen in qualche punto si perdesse. Tuttavia, la raffigurazione di mostri e di figure mitologiche a noi poco note dà un valore aggiunto ad una trama che procede a balzelloni, spedita in vari punti, e ferma su vignette del tutto inutili in altre. Inutile dire che i disegni di
Giorgio Cavazzano sono ineccepibili anche per quanto riguarda i personaggi più tradizionali, in grado di soddisfare abbondantemente la fame di bellezza disneyana che caratterizza ogni singolo lettore della testata, dal più occasionale al più affezionato ed esigente. Rispetto ad altre storie in stile Egmont, quindi, questa appare molto meno sconclusionata della media, ed in fondo strappa anche qualche risata qua e là; la speranza è che il lettore non la debba scartare a priori perché poco invogliato stante la sua matrice straniera, anzi!
Completano il numero un simpatico
Che aria tira a… Paperopoli (
Ziche), un editoriale dove il direttore ci rivela ancora un poco della sua peculiare visione della testata (
Topolino deve avere una media sempre alta, indipendentemente da celebrazioni e programmazioni), nonché due brevi (ma interessanti) articoli sugli archivi privati e sull’epica nordica.
Focus sul nuovo progetto Disney[/size][/i]
Il pezzo forte dei redazionali si trova però a giornale capovolto: una doppia intervista a Dario Moccia e a Claudio Sciarrone, in vista del lancio delle cards di Disney Anthology. Le interviste chiariscono la genesi del progetto di queste card da collezione, dalla prima idea di Moccia sino all’effettiva realizzazione, con ciascuna di esse che omaggia un corto disneyano dagli esordi alla modernità, per mano di disegnatori sempre diversi e dalle tecniche di realizzazione più disparate, seppur coordinate dalla guida di Sciarrone. La raccolta sembra essere un prodotto più destinato ad un pubblico di appassionati disneyani che di meri collezionisti di figurine (peraltro si apprende dalle interviste che il rischio doppioni è scongiurato), ma potrebbe guadagnarsi il merito di avvicinare un pubblico più vasto tanto al mondo delle card di alta qualità grafica ed illustrativa, quanto a quello dei cortometraggi Disney d’ogni epoca.
L’iniziativa ci appare quindi interessante, ben strutturata e fondata su ottime premesse, in attesa di potere commentare in presa diretta l’effettiva resa editoriale delle card in questione.
In conclusione, il lettore non può certo lamentarsi di questo numero, dove le storie nostrane sono tutte di ottima qualità, ma dove anche la straniera, pur con qualche limite nel modo di narrare, non sfigura.
Voto del recensore:
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