Recensione Topolino 3601 Per un lungo periodo, la dimensione legata al passato da cercatore d’oro di Paperon de’ Paperoni ha avuto i connotati del mito: introdotta da Carl Barks e subito recepita dagli autori italiani, l’esperienza vissuta nel Klondike ha conservato per anni i propri dettagli sfumati, senza che venisse approfondita nei particolari.
Poi, negli anni Novanta, Don Rosa ha realizzato
Life & Times of Scrooge McDuck, riordinando, con un suo metodo che avrebbe avuto grande presa sui lettori di tutto il mondo, le avventure che avrebbero portato lo Zione a diventare il papero più ricco del mondo e
spalancando quindi le porte alla possibilità di raccontarne la giovinezza.
È accaduto così che le storie che vedono un giovane Paperone ancora alla ricerca di ricchezze in giro per il mondo siano diventate sempre più frequenti; di queste, l’ambientazione più utilizzata è rimasta senza dubbio
la più classica, che lo vede agire nel gelido territorio nordamericano del Klondike.
Ed ecco quindi che, in apertura di
Topolino 3601, ritroviamo la serie
K, con
Luca Barbieri ai testi e
Francesco D’Ippolito ai disegni che offrono una nuova avventura di Paperone ai tempi della corsa all’oro.
Purtroppo, nonostante i presupposti del ciclo appaiano interessanti sulla carta (si tratta della lettura di alcuni diari scritti da Scrooge durante i mesi trascorsi nel Klondike), il risultato è invero piuttosto deludente. Anche
la storica location appare ormai troppo sfruttata e comincia a perdere quell’effetto suggestivo che l’aveva sempre contraddistinta, come una miniera nella quale il filone d’oro sembra ormai prossimo all’esaurimento.
Come rappresentare l’azione senza l’ausilio della tipica gabbia
Il più duro dei duri vede una sceneggiatura in cui si susseguono una serie di espedienti narrativi che dovrebbero far risaltare il carattere, la determinazione, l’altruismo, l’onestà, la scaltrezza di Paperone ma che finiscono per essere
fin troppo ridondanti nell’evidenziare tutto ciò. Anche gli elementi umoristici non funzionano, perché se l’ironia è data dalle lamentele di una papera sull’eleganza della sua divisa, in una terra piuttosto aspra e desolata, a risentirne è la credibilità della storia intera.
Se la trama non brilla, non si può certo invece trascurare il lavoro di D’Ippolito ai disegni, con
un uso della tavola molto libero e raramente legato alla classica gabbia, portato avanti al meglio senza far diminuire la leggibilità dell’avventura. Ben curata anche la colorazione di
Manuel Giarolli, con delle splendide tinte verdi e marroni che restituiscono la sensazione di essere nei boschi in cui si svolgono gli eventi.
L’ottima colorazione di
Irene Fornari, già evidenziata nelle precedenti puntate, caratterizza anche la nuova e penultima puntata di
500 piedi. Dopo il leggero rallentamento della scorsa settimana, dovuto ad alcune necessarie spiegazioni, l’azione riprende ad avanzare a passo spedito, per interrompersi con il più classico dei
cliffhanger che non vediamo l’ora di sapere risolto.
Bruno Enna, senza perdere di vista i nostri eroi, concentra in questo episodio
la sua attenzione sugli antagonisti, riservando un nuovo piccolo colpo di scena su queste
Piccole, laboriose e fameliche avversarie. D’altra parte, anche senza voler rivelare la loro identità, va detto che per le loro caratteristiche e per la loro struttura sociale, si tratta di creature che hanno sempre attirato l’attenzione dell’uomo, affasciandolo e spaventandolo al contempo.
Prosegue l’ottimo lavoro di
Davide Cesarello alle matite, sempre in grado di rappresentare al meglio tanto un’atmosfera rurale carica di mistero quanto alcuni claustrofobici interni, senza perdere di vista nessuno fra i molti personaggi chiamati in scena.
L’inquietante centro nevralgico degli antagonisti[/size][/i]
Schiacciata fra le due storie portanti della versione “frontale” del numero, troviamo poi la breve
Paperoga e la fortuna transitiva, che vede
Paolo De Lorenzi ai disegni e
Francesco Testi… ai testi
(si chiede scusa per non avere resistito nel fare questo gioco di parole). L’esordiente sceneggiatore giostra abbastanza bene il trio di cugini paperi, confezionando una vicenda che riesce a strappare un sorriso, ma che non appare comunque destinata ad essere ricordata a lungo.
Capovolgendo il libretto, infine, introdotta dalla copertina di
Skottie Young, possiamo assistere alla
terza contaminazione fra i supereroi Marvel e i personaggi Disney sulle pagine di Topolino. Stavolta questo nuovo
What if…? presenta
Minni diventa Captain Marvel. La trama, collaborazione a quattro mani di
Luca Barbieri e
Steve Behling, cerca di ricalcare per quanto possibile la storia che vede la bionda Carol Danvers vestire per la prima volta i panni della supereroina e così scoprire faticosamente la sua nuova identità, integrando tale vicenda con alcuni sviluppi successivi per restituire una avventura più coerente e completa.
Davvero ottimi i disegni di
Giada Perissinotto, decisamente
a suo agio nel riproporre in veste disneyana alcune pose del fumetto americano degli anni Settanta. Rimane qualche perplessità di fondo in merito all’intera operazione, ma può essere in fondo la scusa per riscoprire i veri natali di alcuni personaggi che oggi sono grandi protagonisti del cinema contemporaneo.
Usa 1977 – Italia 2024[/size][/i]
Voto del recensore:
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