Recensione Topolino 3619
Assalto alle edicole. Questo ha provocato
l’operazione dialetti-bis di Topolino, ovviamente in senso positivo. Undici settimane
dopo il milanese, il fiorentino, il napoletano e il catanese, che avevano contraddistinto il numero
3608, ecco che su
Topolino 3619 è apparsa
una storia in torinese, veneziano, romanesco o barese, a seconda della regione di pertinenza (in italiano nelle restanti). Inutile aggiungere come anche stavolta, nelle zone interessate, i
libretti siano
andati subito a ruba: pressoché impossibile, dal pomeriggio del mercoledì, accaparrarsene una copia per chi non avesse proceduto per tempo a prenotarla dal benemerito giornalaio di fiducia.
Un’iniziativa rivelatasi di grande successo, persino oltre le più rosee aspettative, è stata dunque replicata a stretto giro di posta, confermando l’eccellente resa, grazie anche alla meticolosità degli adattamenti, eseguiti da rinomati esperti di linguistica. E nell’editoriale il direttore Alex Bertani assicura che
si provvederà presto ad allargare gli orizzonti, coinvolgendo altri territori. Bene così, nell’auspicio che questo fortunato progetto possa fare da trampolino per avvicinare il maggior numero di lettori al settimanale anche in occasione delle uscite più
canoniche.
La copertina del numero ricalca quella di metà gennaio, sempre realizzata da
Andrea Freccero. Allora vi avevamo trovato un elegante Zio Paperone, che ammiccava da sotto una speciale tuba con fascia tricolore: stavolta, anch’egli in abito da cerimonia, c’è Topolino, con un papillon bianco, rosso e verde.
Se lo Zione era stato il protagonista della prima storia in dialetto,
Zio Paperone e il PDP 6000 (di Niccolò Testi e Alessandro Perina), ora tocca a Mickey prendersi la scena in
Topolino e il ponte sull’oceano. In verità, colui che, come spesso accade, ha l’onore di comparire nel titolo, divide più o meno equamente lo spazio con Minni, Clarabella, Pippo e Orazio.
Alessandro Sisti, sempre una garanzia, ci regala
un’avventura spassosa e rocambolesca, nella quale una banda di malviventi viene sgominata con modalità inusuali, sullo sfondo di una ridente località vacanziera che si affaccia sul Pacifico. A ognuno dei personaggi è assegnato un ruolo specifico, caratterizzato con sapienza e ironia, nonché funzionale allo scorrimento della trama, e
il meccanismo a orologeria tramite cui le varie situazioni si concatenano è inappuntabile. Le due ragazze si muovono in contesti che di solito sono prerogativa dei rispettivi fidanzati (e viceversa), mentre Pippo è il jolly, la scheggia impazzita, che, in qualche modo, fa saltare il banco.

Attenzione alle spalle…[/size][/i]
Si ride parecchio già nella versione “nazionale”, ma
il dialetto – chi scrive ha gustato la storia anche in romanesco, ma vale senz’altro per tutte le varianti –
dona una marcia in più a certe battute, suscitando, non di rado, un effetto esilarante.
Nel rimarcare la gradevolissima leggerezza della vicenda fanno la loro parte gli efficaci disegni di
Marco Gervasio,
cavazzaniani al punto giusto grazie anche alle chine di
Alessandro Zemolin, e non va dimenticata la colorazione fresca di
Manuel Giarolli.
Introdotte da un
recap di Marco Travaglini sulle origini del personaggio, seguono le due parti di
Paperino Paperotto e la spia che venne dal cielo. Qui, ancora con le matite di
Nicola Tosolini,
Bruno Enna torna a occuparsi sul libretto delle vicissitudini di Quack Town, a tre anni esatti dalla bellissima
Paperino Paperotto e il volo dell’albatro, e lo fa con
un nuovo gioiello, curato nei minimi dettagli.
Fin dal titolo, e dalla quadrupla d’apertura, respiriamo
un clima in stile James Bond, stemperato dai bambini che lo ricreano a propria immagine e somiglianza. Abbiamo un enigma da risolvere alla loro maniera, un misterioso aviatore in avaria da identificare e
un MacGuffin tipicamente hitchcockiano (i documenti
top secret). Il tutto nel consueto genuino clima bucolico, finemente riprodotto, tra feste di paese, piccoli disastri in fattoria e monopattini sequestrati.

Giovani intercettatori all’opera[/size][/i]
Le
tenere e briose dinamiche tra Paperino e i suoi amici sono impagabili, e non è da meno la rappresentazione degli adulti. Tra questi, rivediamo con piacere il papà di Louis, in un ruolo secondario ma cruciale, e
facciamo la conoscenza con il miliardario misantropo Harold Duckes (palese il riferimento alla discussa figura di Howard Hughes), probabilmente destinato a entrare nel cast in pianta stabile.
L’autore sardo miscela ogni elemento da par suo, tessendo con abilità le varie sottotrame, divertendo ed emozionando con
superlativo senso della misura. Paperino Paperotto è una sua creatura, ne conosce l’universo narrativo come le proprie tasche, e ciò traspare nitidamente da ogni pagina.
Lo stesso discorso vale per Tosolini, pienamente a suo agio nel ritrarre il mondo di Quack Town, che padroneggia con la sicurezza del veterano.
L’espressività, la spontaneità, la vivacità che l’artista veronese instilla in Donald & Co. valorizzano una sceneggiatura già di per sé calibrata alla perfezione.
Le sei tavole di
Pippo a torto nell’orto, al contrario, scorrono rapide senza lasciare traccia.
Tito Faraci delinea una
gag allungata non molto originale, con l’ennesima tentata invasione aliena, che nemmeno il sempre affidabile
Valerio Held può far brillare più di tanto.

Pluto in stile Peanuts[/size][/i]
Più riuscita
Saggezza canina, per la serie
Vita da Pluto. Qui
Francesco Pelosi, coadiuvato ai disegni da un ottimo
Mattia Surroz, ci permette di entrare nella mente del cane di Topolino, facendoci osservare la realtà che lo circonda attraverso i suoi occhi. A differenza dei
non-cani,
Pluto pare davvero aver compreso quali siano le priorità dell’esistenza. Simpatica anche la citazione alla tradizionale posa di Snoopy, sdraiato sul tetto della cuccia.
Infine,
Zio Paperone sull’isola del lupo mannaro rappresenta una
sorta di sintesi, se non di Bignami, della classica avventura di Scrooge e nipoti a caccia di tesori in luoghi ignoti. Lo è fin troppo, considerato che
Marco Nucci procede a un ritmo vertiginoso, esponendo in poche vignette ciò che d’abitudine è trattato su più pagine. Ben pochi aspetti vengono approfonditi e
i personaggi appaiono piatti, stereotipati, dando l’idea di provenire da certa produzione minore nordeuropea.
Visto l’epilogo, resta il dubbio se la cosa sia voluta, se magari si tratti di un semplice
divertissement, pur fine a se stesso. In ogni caso, nonostante le valide matite di
Mario Ferracina, il risultato lascia perplessi, come se il soggetto non fosse stato adeguatamente sviluppato, bensì completato in fretta e senza eccessiva convinzione.
Detto del quanto mai affollato
Che aria tira di
Silvia Ziche e della tavola autoconclusiva
Il più grande… giornalista!, in cui il Paperoga di
Enrico Faccini ci strappa un ultimo sorriso, restano da ricordare la rubrica
Fumettando, con
Andrea Maccarini che continua a istruirci su come disegnare Newton, e l’anteprima del nuovo kolossal in cinque capitoli
Terravento, al via la prossima settimana.
Riepilogando, il numero parte bene, raggiunge
l’apice con un ispirato Paperino Paperotto, ma poi, escludendo la breve di Pluto (che assolve il proprio compito), patisce un sensibile calo. La qualità iniziale gli vale, comunque, una valutazione complessiva di tre stelle e mezza.
Voto del recensore:
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