Recensione Topolino 3623
È il nuovo ciclo
Re Gambadilegno a svolgere la funzione di traino per
Topolino 3623.
Per l’onore di Ducktopia, primo di quattro episodi autoconclusivi, è introdotto, oltre che dalla bella copertina di
Giuseppe Facciotto (la
variant a tema partenopeo per il Comicon è invece di
Blasco Pisapia), dal
Che aria tira di
Silvia Ziche, dall’editoriale del direttore e dall’utile
Dove eravamo rimasti… di Stefano Petruccelli. A seguire, inoltre, la rubrica
La parola della settimana, curata da Marco Dixit, trae spunto da un
balloon della storia. Insomma, si punta molto su questa serie, e il debutto lascia ben sperare.
Francesco Artibani e
Licia Troisi ci riportano nel regno di Ducktopia, accompagnati stavolta ai disegni da Lorenzo Pastrovicchio, che raccoglie il testimone da
Francesco D’Ippolito (peraltro, il sodalizio dell’artista triestino con Artibani è già da tempo rodato). L’idea alla base del progetto è illustrarci che cosa sia accaduto tra la penultima e l’ultima stagione, quando
Gambadilegno era rimasto
intrappolato in questa dimensione parallela.
È lo stesso Pietro a narrare le proprie imprese ai colleghi e ai secondini, mentre sta scontando la propria pena, rinchiuso nel noto
carcere di massima sicurezza dell’Isola di Corallo. La cornice è azzeccata e rende la lettura più gradevole anche a chi non sia particolarmente appassionato di
fantasy.
Nell’occasione scopriamo
come fu che Gamba, da primo cavaliere che era diventato, prese addirittura il posto di Bocciolo sul trono. Tutto ciò tra imbrogli,
j’accuse di giganteschi orchi, rocamboleschi
duelli dei capi di galliche ascendenze e un divertente epilogo in stile
Le ali della libertà.
Artibani e Troisi gestiscono bene ogni elemento, rielaborandolo con perizia in chiave Disney, danno ritmo agli eventi e fanno in modo che emergano vari lati della personalità di un protagonista cui il carisma non fa più difetto. Dal canto suo,
il Pastro, affrancato da gabbie stringenti,
può dare libero sfogo alla propria creatività. Il risultato, senza dimenticare il contributo ai colori di
Manuel Giarolli, è godibile e instilla curiosità per quel che ci aspetta nelle uscite che seguiranno.

Il campione del popolo[/size][/i]
Sorprende in positivo la per nulla pubblicizzata Paperino e il caso zero, avventura in due parti scritta da
Francesco Vacca e disegnata da
Federico Maria Cugliari. Il
plot verte, appunto, su
un caso di spionaggio industriale perpetrato ai danni di Paperone. Assieme a Paperino, si occupa delle indagini una
new entry, la praticante avvocata
Arringa Busillis, nipote d’arte dello scarpiano Cavillo (che compare a sua volta).
Ben presto, in mezzo a qualche falsa pista,
si scopre come nella faccenda sia implicato Red Duckan, l’avido miliardario da sempre abile nell’operare loscamente entro i confini della legalità. Si procede così con un
serrato montaggio alternato, nel corso del quale assistiamo anche alle peripezie dei Bassotti con Intellettuale-176 e incontriamo, oltre ad Archimede e ai nipotini, alcuni dipendenti dello Zione, più o meno sospettati per la fuga di notizie.
La vicenda, con il giusto equilibrio tra
suspense e risate, si segue con piacere, ponendo inoltre qualche attualissimo interrogativo sull’efficacia pratica di talune intelligenze artificiali. Ben delineato soprattutto
il personaggio della sbadata ma volenterosa Arringa, che
mostra un’ottima alchimia con Paperino e notevoli potenzialità in vista di auspicabili storie future.

Oops…!!![/size][/i]
Abbiamo poi due brevi. Simpatica è
Pippo e una nuova cuccia, in cui troviamo Pippo intento a ricostruire – seguendo astruse istruzioni degne di colossi scandinavi dell’arredamento! – la cuccia di Pluto, distrutta dalla caduta di un ramo durante un temporale. La gag allungata, scritta da
Riccardo Pesce e ben disegnata dal semiesordiente
Davide Percoco, strappa una genuina risata.
Trascurabile, invece, l’egmontiana
Zio Paperone e l’iper mega Numero Uno, di
Stefan Petrucha e
Diego Bernardo, che racconta l’ennesimo fallito assalto di Amelia alla prima monetina del papero più ricco del mondo.
Segue il kolossal
Terravento, giunto al quarto capitolo. Dopo l’ambigua Jill, Topolino fa conoscenza con la non ancora ben inquadrata Boreas, comandante della fazione ribelle dei predatori, e con il presumibile vero
villain della storia, Blackie, mastodontico capo dei razziatori, segretamente in combutta con le misteriose Ombre. Se i primi tre episodi erano stati contraddistinti da tante
vignettone mute (o quasi), incentrate sugli ariosi e sterminati panorami desertici raffigurati da un ispirato
Mario Ferracina, qui
Alex Bertani e
Luca Barbieri danno
maggiore spazio a dialoghi e delucidazioni, cercando di farci capire qualcosa in più di ciò che accade nel futuro distopico da loro immaginato.
In un
contesto lontano dalla disneyanità, nel quale l’ironia è assente, il dipanarsi della trama non risulta, però, troppo originale né coinvolgente, stentando ad approfondire psicologie e motivazioni dei personaggi. Susciterebbe interesse la fase del processo, in cui questa versione post-apocalittica di Topolino deve «rispondere di crimini… a dei criminali», ma, dopo la lentezza a tratti esasperante delle puntate precedenti, proprio qui lo svolgimento appare affrettato.

Verso l’udienza[/size][/i]
L’azione torna a far capolino nelle pagine finali, che portano all’abituale
cliffhanger. Staremo a vedere se la prossima settimana tutti i nodi verranno al pettine (ma sono davvero tanti…) o se, al termine del quinto e ultimo capitolo,
ci attenderà l’ormai altrettanto consueto rinvio a una nuova stagione.
Intanto, è la tavola autoconclusiva
Al buio, per la serie
Battista maggiordomo esistenzialista, con
Roberto Gagnor e
Simone Tempia ai testi e
Carlo Limido alle matite, a congedarci da un numero che, ponderando alti e bassi, non si spinge oltre la media.
Voto del recensore:
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