Recensione Topolino 3626
La bella e divertente copertina di
Andrea Freccero ripropone finalmente per questo
Topolino 3626 una illustrazione il più pulita possibile, dopo cinque settimane consecutive nelle quali uno strillo campeggiava nella parte bassa del disegno.
In apertura del numero, fa il suo ritorno la versione più comica e parodistica del personaggio di Paperinik, ripescato da
Roberto Gagnor ai testi e da
Marco Mazzarello ai disegni in
Paperinik contro il terribile Prolissus.
La storia, va detto,
è collegata ad una più che meritevole collaborazione con l’Enciclopedia Italiana e con la Fondazione Treccani, volta al recupero di parole desuete, senza trascurare tuttavia l’evoluzione che la nostra lingua subisce costantemente, soprattutto in quest’epoca di globalizzazione e di contaminazioni a livello letteralmente planetario. Un buon redazionale, immediatamente successivo alla storia, illustra il correlato Festival della Lingua Italiana con una ben più che interessante intervista a Massimo Bray, coordinatore del predetto festival.
Tuttavia, se il contorno è ottimo, la pietanza principale appare piuttosto insipida, anche a coloro i quali, come lo scrivente, possono dirsi dei grandi fan dello sceneggiatore.
Se dal lessico impiegato traspare la più che buona volontà di dare lustro al nostro vernacolo, lanciando il corretto messaggio secondo il quale preservare la lingua italiana non significa sigillarla nel passato precludendole la possibilità di evolversi,
la trama sinceramente fatica a catturare il lettore, data l’astrusità dell’antagonista e dei suoi marchingegni, assolutamente fuori contesto rispetto al Paperinik vendicatore di torti che ci eravamo abituati a rivedere sul settimanale. Probabilmente piacerà a chi apprezzava il Paperinik parodistico ai confini del demenziale di troppe trame
in auge sino a qualche anno fa, ma appunto un
plot in tal senso difficilmente può essere gradito ai fan del vendicatore di martiniana memoria.
Mazzarello svolge il suo compito in modo diligente: se complessivamente i disegni sono buoni ed espressivi, cionondimeno qualche mimica dei becchi di Paperino e di Paperone crea qualche piccola perplessità perché leggermente sproporzionati. Tuttavia il miglioramento del tratto rispetto all’era pre-Bertani è palese, e ci auguriamo che la strada intrapresa dall’artista non abbia ad interrompersi, bensì a continuare.

Proporzioni gradevoli, ma resta qualche perplessità sui becchi[/size][/i]
Ad un articolo apparso sullo scorso numero si ricollega, invece,
Zio Paperone e l’anima del vecchio castello, dove l’anima
promozionale non sovrasta la trama di una tradizionale caccia al tesoro ideata da
Niccolò Testi in puro stile Vecchio Cilindro,
condita di buone gag e di un finale che definire sorprendente forse è troppo, ma che comunque non delude il lettore. Verrebbe da dire che questa sia una storia così classica che più classica non si può, ed in fondo questo è, ma è quel classico che non stanca, che non svilisce i personaggi rinchiudendoli in meri stereotipi, e che invece si lascia leggere proprio perché in fondo la trama dà al lettore ciò che egli vuole. La storia è dunque promossa, come lo sono i disegni di
Giampaolo Soldati, autore che si sta sempre più ritagliando un posto nel cuore degli appassionati: alcune espressioni dei personaggi sono assolutamente impagabili, soprattutto in alcuni primi piani, e potrebbero financo ormai considerarsi la cifra stilistica dell’artista.

Ogni vignetta offre la giusta espressività di zio Paperone
La rodata coppia
Tito Faraci ed
Enrico Faccini inaugura invece un nuovo ciclo di brevi, dalle ceneri di uno terminato poco tempo fa:
Gli allegri mestieri di Paperina – Sostituta d’ufficio. Se le
gag non mancano nella prima parte, causate anche dalla rottura del precedente
cliché,
la storia però si perde nel finale, che appare fin troppo buonista per strappare quelle risate un po’ ciniche alle quali il duo autoriale ci aveva abituati, e che sicuramente ora rimpiangiamo. Contiamo però che negli episodi a venire questo lato ritorni, e in abbondanza, per il diletto puro di noialtri lettori.
Torna anche il
ciclo dell’orrore in salsa disneyana con
Lord Hatequack presenta… l’ora del terrore: Topolino, Pippo e il ripostiglio interminabile, che vede esordire sulla serie
Francesco Pelosi ai testi, supportato ai disegni da
Luca Usai. E
lo sceneggiatore non manca il bersaglio. Intendiamoci, il terrore non è esagerato, e l’inquietudine forse poteva essere fornita in dosi maggiori, ma come prima storia dell’autore con questi personaggi il risultato è più che meritevole. Seppure Nucci rimanga, ad oggi, il miglior cantore delle fantasie di Lord Hatequack, Pelosi non delude, anche se contiamo che il rodaggio sia breve e che anche il neoacquisto alle sceneggiature riesca presto a premere sull’acceleratore sino al limite che il mondo Disney impone su certe tematiche. La trama comunque scorre liscia e mai banale, e
i disegni ben rendono il puro cinismo di un certo personaggio, per non dire la sua assoluta malvagità.
Chiude il numero l’ultima (per ora) storia del ciclo di racconti ambientati nel mondo parallelo di
Ducktopia, per come narrati, e forse un po’ ingigantiti, da quel furfante matricolato che risponde al nome di Pietro Gambadilegno, e che tanto comunque amiamo.
Re Gambadilegno – Il mio regno per una struzzertola in realtà non rispetta del tutto la premessa del titolo, perché stavolta il buon Pietro racconta una vicenda che lo ha visto protagonista quando era ancora solo Primo Cavaliere di Ducktopia, e non sovrano di quel mondo.
Se l’alternarsi tra narrazione in
flashback e momenti nel presente è sempre gradevole nonché foriera di qualche divertente trovata, stavolta il lettore esce un po’ deluso dalla vicenda, perché la stessa di fatto lascia in sospeso molte questioni in merito al movente che ha spinto il vero criminale a compiere la serie di furti che sta attraversando Ducktopia. E
la trama messa in piedi da Francesco Artibani e
Licia Troisi sembra incompiuta, quasi inconcludente perché neanche ci sembra essere successo qualcosa che spieghi un qualsivoglia accaduto degli episodi precedenti. Stavolta il tutto sembra un’occasione persa, per quanto infarcita di battute e gag divertenti se prese singolarmente.
Lorenzo Pastrovicchio ai disegni si rivela perfetto cantore visivo delle gesta di Gambadilegno, sempre preciso e puntuale nel tratteggiarlo con quell’aria da spavaldo sbruffone che ben s’attaglia a questa simpatica canaglia.

Come dare inizio ad una amicizia eterna ed indistruttibile… ma forse anche no[/size][/i]
Completano il numero un redazionale sul ritorno di
Lilo e Stitch al cinema, stavolta in versione
live action, l’ultima scheda dedicata al come disegnare Battista, una
one-page ancora dedicata a Paperino e Paperoga alle prese col ciclismo e un’interessante
preview della prossima storia di
Topolino, con il ritorno del criminale Gamma sulle pagine del settimanale, oltre alla pagina del Direttore e al tradizionale (e divertente)
Che aria tira a… Paperopoli in apertura del settimanale.
Insomma,
è un numero dove le luci e le ombre si bilanciano, e che definire nella media è sicuramente adatto a rendere l’idea della qualità di questa uscita.
Non scontenta, ma neanche registra picchi capaci di fare gridare al miracolo. Sia chiaro, però, che non può parlarsi certo di un numero insufficiente: ritenerlo tale sarebbe fare un torto all’impegno comunque profuso da tutti gli autori che hanno confezionato questo libretto.
Voto del recensore:
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